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Alla ricerca di nuovi antibiotici

Poco oltre la metà del secolo scorso il consensus nella comunità scientifica era che la mortalità da microbi fosse un ricordo del passato.
Sir Frank MacFarlane Burnet (Nobel per la medicina 1960) disse:
"One can think of the middle of the twentieth century as the end of one of the most important social revolutions in history. The virtual elimination of the infectious diseases as a significant factor in social life".
Non era una esagerazione ma la summa di eventi rivoluzionari come la diffusione degli antibiotici, la vaccinazione di massa e il miglioramento delle condizioni igieniche. Eppure ancora oggi la morte per infezioni è la terza causa di morte a livello globale (circa il 15% dei decessi, numeri che triplicano in aree prive di presidi sanitari).

A 50 anni di distanza, il mondo corre il rischio di trovarsi catapultato in un nuovo medioevo sanitario.
Il pericolo sanitario, sottovalutato dal grande pubblico, ma terrorizzante per chi si occupa di tematiche mediche ha un nome: superbatteri. Con tale termine, quanto mai appropriato, si identificano non (solo) batteri super-virulenti ma batteri resistenti ad un ampio spettro di antibiotici (per una figura riassuntivi sui meccanismi di resistenza nei batteri gram-negativi --> qui).
Tra i batteri multiresistenti sono da menzionare, per i rischi connessi, le seguenti tipologie:
  • classe CRE (Carbapanem resistant Enterobacteria), il cui acronimo sta ad indicare la resistenza ai carbapanemi, antibiotici ad ampio spettro utilizzati negli ospedali come ultima diga di fronte a batteri resistenti ad altri antibiotici. Tra questi alcuni ceppi di Escherichia coli e di Klebsiella pneumoniae.
  • classe MRSA (Methicillin-resistant Staphylococcus aureus), tra cui alcuni ceppi di Staphylococcus aureus, responsabili di infezioni in luoghi critici come asili, centri per la dialisi e carceri.
  • classe CRAb (Carbapenem resistant Acinetobacter baumannii) diffusi nelle aree in cui sono ricoverati individui con immunodepressioni.
  • classe VRE (vancomycin resistant Enterococcus) abbastanza rari per il momento in Europa.
Il fenomeno della resistenza agli antibiotici ha una doppia origine. La prima è di natura storica ed attiene al collasso dell'URSS (e con essa del sistema sanitario) che ha rarefatto la continuità terapeutica (anche quella antibiotica) favorendo la comparsa di ceppi resistenti (vedi figura sotto)



La seconda causa è nell'uso sconsiderato della terapia antibiotica prescritta in modo superficiale e senza controllo. Un problema evidente a partire dagli anni '60. Nella figura sotto si nota la chiara correlazione a livello nazionale tra utilizzo "libero" di antibiotici e la presenza di resistenza agli antibiotici; in ambito europeo la Francia ha il minor numero di batteri ancora sensibili alla penicillina, mentre l'Olanda è il paese più virtuoso.
Credit: H. Goossens et al, (2005) Lancet


Risultato, mentre non troppi anni fa l'incidenza di infezioni associate ceppi resistenti agli antibiotici era un tema di interesse per la sola comunità scientifica data la sporadicità del fenomeno e l'essere limitato all'ambiente ospedaliero (naturale terreno di coltura) ora è un problema globale.
Se oltre al problema della resistenza derivante da auto-prescrizione di farmaci, aggiungiamo la ricomparsa di malattie come la tubercolosi (che in alcuni ceppi presenta una resistenza a 7 antibiotici diversi) ed un certo rallentamento nel processo di sviluppo di nuovi antibiotici da parte dell'industria farmaceutica (costi elevati, tempo di vendita utile breve, etc) il quadro che ne risulta è quello di una potenziale catastrofe sanitaria.
Immaginate un mondo in cui l'efficacia antibiotica è minima ed il risultato è un'aumentato tasso di mortalità per malattie o incidenti oggi banali ma che erano la prima causa di mortalità soltanto 70 anni fa.
Sebbene in ritardo le autorità sanitarie hanno imposto un giro di vite nell'utilizzo della terapia antibiotica, che necessita ora di prescrizione e viene di fatto scoraggiata.

Il mondo della ricerca non si è fermato ed ha cominciato a percorrere vie prima trascurate. Uno dei risultati ottenuti è stato descritto in un articolo pubblicato da PNAS, "Inhibitor of streptokinase gene expression improves survival after group A Streptococcus infection in mice". L'approccio seguito da David Ginsburg della università del Michigan, è diverso da quello standard. Ad oggi gli antibiotici in uso appartengono ad uno dei due meccanismi generali: citostatico (ad esempio danneggiando la parete cellulare) o citotossico. Conseguenza è il calo quasi immediato del titolo batterico ma anche una forte spinta selettiva che porta alla comparsa di ceppi resistenti; fenomeno la cui probabilità di successo è amplificata se il trattamento, come troppo spesso avviene, è incompleto e/o dosato scorrettamente. Tralascio le spiegazioni teoriche per amor di semplicità.

Ginsburg al contrario ha deciso di non combattere il batterio in se ma la sua virulenza. Se un batterio patogeno viene privato della sua patogenicità ma lasciato vivere tranquillo, verrà meno il processo selettivo di comparsa della resistenza: la patogenicità è infatti nella quasi totalità dei casi un effetto collaterale della perdita di equilibrio interno tra le varie popolazioni batteriche. Risultato di questo approccio sono alcune molecole molto interessanti il cui fine è evitare che una infezione (del resto in noi albergano normalmente molti tipi di batteri non solo innocui ma anche utili) diventi virulenta.
Nota. Il persistere di batteri pericolosi nonostante un "apparentemente" risolutivo trattamento antibiotico non è unicamente dovuto alla comparsa di ceppi mutati resistenti al farmaco. In molti casi questo è dovuto a peculiarità intrinseche al batterio tra cui la propensione a vivere all'interno della cellula (rickettsie, clamidie, micoplasmi e Mycobatterium sono in questo modo "protetti" dall'azione degli antibiotici classici) e la capacità di diventare spore, quindi passare allo stato "dormiente": no metabolismo = protezione da antibiotici. Per eradicare le spore sono in fase di sperimentazione nuovi antibiotici tra cui gli acildepsipeptidi (Conlon BP et al, Nature 2013) che sembrano particolarmente efficaci nel trattamento dello Staphylococcus aureus.

Molti sono gli approcci in fase di sperimentazione. Alcuni di natura prettamente biotecnologica (vedi l'articolo "nanoarma antibatterica"), altri di derivazione naturale come il Miele di Manuka (qui).
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Post successivi sull'argomento antibiotici: 1 ; 2  ; 3 o in generale il tag "antibiotici"

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