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Cannabinoidi, cancro e sclerosi multipla: una nuova arma?

I cannabinoidi (marijuana e derivati) sono usati oramai da diversi anni nelle fasi terminali di malattie gravi (tumori, sclerosi multipla, …) grazie al comprovato effetto palliativo sui sintomi. 
Nell'ambito della sclerosi multipla si è osservato un miglioramento sia nel controllare gli aspetti di spasticità non altrimenti controllabili tipici della SM che nel contenere il dolore (Jody Corey-Bloom et al., Canadian Medical Association Journal, May 14).

 
Tuttavia il loro utilizzo potrebbe essere allargato a finalità terapeutiche (e non solo sintomatiche quindi) se alcuni degli effetti anti-tumorali (riduzione della crescita e della progressione) osservati in modelli animali dovessero essere confermati in studi clinici.
Questa idea emerge da un Opinion Article pubblicato su Nature Reviews of Cancer di giugno.


L'origine della Luna (by Eric Gakimov)

Una parte della Lectio Magistralis di un noto astrofisico, prossimo ospite alla Milanesiana.

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di ERIC M. GALIMOV
L’origine e l’evoluzione della vita e l’origine del sistema Terra-Luna sono tra i più ardui problemi scientifici, poiché è difficile sottoporli a uno studio sperimentale, e la loro analisi teorica è ambigua: troppi i fattori coinvolti e alcuni di essi non sono noti (…). Il paradigma dell’origine del sistema formato dalla Terra e dalla Luna è la teoria del mega impatto. Essa ipotizza una catastrofica collisione di due vasti corpi planetari nella storia iniziale del sistema solare. Il risultato fu che la Terra e la Luna ne emersero come corpi magmatici completamente fusi (…).
 
L’ipotesi del mega impatto fu avanzata alla metà degli anni Settanta da due team di scienziati americani. Secondo la loro tesi, la Luna si formò con l’addensamento del materiale fuso espulso nell’orbita circumterrestre in seguito alla collisione della proto-Terra con un altro corpo planetario delle dimensioni di Marte.
Il problema cruciale che si trovano ad affrontare gli scienziati impegnati sull’origine della Luna consiste nella domanda: perché la massa lunare è carente di ferro rispetto alla massa terrestre? Il contenuto di ferro della Terra è del 33,5%, mentre quello della Luna è in una percentuale compresa tra il 10% e il 15%. L’ipotesi del mega impatto fornì una semplice risposta: la collisione da cui nacque la Luna si verificò nel momento in cui la Terra aveva già attraversato il processo di differenziazione e gran parte del ferro si era concentrato nel suo nucleo metallico, e la Luna si formò dal mantello terrestre, carente di ferro.
Un più dettagliato studio al computer della dinamica del mega impatto compiuto all’inizio del Duemila mostrò che il materiale fuso espulso in un’orbita circumterrestre proveniva non tanto dal mantello terrestre ma soprattutto, almeno per l’80%, dal corpo impattante. Poiché l’origine e la composizione chimica del corpo impattante sono sconosciute, ciò privava la teoria dell’impatto di argomenti geochimici. Inoltre, la derivazione della Luna dal corpo estraneo alla Terra rende le affinità tra la Terra e la Luna, come la somiglianza nel frazionamento isotopico, argomenti contrari all’ipotesi del mega impatto (…)
Un modello alternativo (…) la Luna non si è formata in seguito a una collisione catastrofica, ma tramite la frammentazione di un immenso addensamento di particelle gassose (…). La contrazione di questo addensamento gravitazionale conduce all’aumento della temperatura al suo interno con una conseguente parziale evaporazione delle particelle e dei corpi solidi da cui è formata  (…) conduce alla formazione di due corpi condensati, embrioni della Terra e della Luna. Entrambi sono poveri di ferro ed elementi volatili e ricchi di elementi refrattari.
L’ipotesi proposta sembra quindi piuttosto convincente. Soddisfa i principali requisiti: povertà di ferro sulla Luna, identità isotopica tra Terra e Luna, ricchezza di elementi refrattari sulla Luna e scarsezza di elementi volatili. Supera le principali difficoltà della teoria del mega impatto. Nonostante ciò, la teoria del mega impatto continua a dominare la letteratura scientifica (…). La nuova concezione è incompatibile con la teoria oggi accettata sulla formazione dei pianeti del sistema solare. Il paradigma dice che i pianeti si formarono tramite collisione dei corpi solidi, i planetesimi. Si ritiene che i planetesimi siano cresciuti da qualche metro a centinaia di chilometri. La formazione della Luna dovuta a un mega impatto è coerente con la teoria standard della formazione dei pianeti. A differenza della teoria standard, la nuova concezione ipotizza che la formazione di corpi planetari possa verificarsi da uno stato disperso. Ma questa supposizione non dimostrata rende discutibile l’ipotesi. Dovremmo quindi riconoscere che la nuova concezione, nonostante i suoi vantaggi, non può essere accolta per via della sua parziale imperfezione.



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Tra i recenti contributi allo studio della nascita della Luna, l'articolo pubblicato sulla rivista Science a marzo 2015. L'approccio usato dagli astronomi della NASA è stato indiretto e basato sul fatto che dopo l'impatto della Terra con un pianeta delle dimensioni di Marte sarebbero stati scagliati nello spazio una miriade di frammenti di dimensione intorno al chilometro, parte dei quali sarebbero stati catturati dalla fascia di asteroidi sita tra Marte e Giove. Molti di questi frammenti, fusi con quelli preesistenti, sarebberon poi precipitati nel corso dei miliardi di anni successivi sulla Terra. Lo studio delle caratteristiche di queste rocce ha permesso di datare l'origine della Luna in 4,47 miliardi di anni fa. Un valore simile a quello ottenuto con altri metodi e che quindi ne è la conferma.  
Fonte
W. F. Bottke et al, Science 17 April 2015 

Ripristinare l'uso della mano in pazienti con lesioni spinali? E' possibile.

Nuova tecnica chirurgica può revertire la paralisi ripristinando almeno parzialmente l'uso della mano.
Justin Brown, UC San Diego Health System
Justin Brown un neurochirurgo della UCSD è uno dei pionieri nello sviluppo di tecniche chirurgiche finalizzate a restituire l'uso della mano in pazienti con lesioni spinali sotto la vertebra cervicale 5. La procedura è utilizzabile anche su pazienti che abbiano perso totalmente l'uso della mano purchè siano presenti dei nervi funzionanti nel braccio o nella spalla. Nell'operazione il nervo sano viene prelevato e collegato all'estremità nervosa alla base del movimento delle dita. Secondo Brown "i nervi crescono ad una velocità di circa 1 mm al giorno. In un periodo di 6-12 mesi i pazienti in genere riacquistano un livello di funzionalità soddisfacente con associato miglioramento della qualità di vita". Il muscolo da cui il nervo viene prelevato può andare incontro a temporanea debolezza ma alla fine riacquista in toto la sua forza originale.
Un approccio molto importante per i pazienti quadriplegici. Solo negli USA vi sono 300000 persone con lesioni spinali con 12000 nuovi casi ogni anno. Più della metà di questi casi hanno lesioni a livello cervicale con conseguente perdita di funzionalità della mano.
Un segnale incoraggiante per i tanti pazienti costretti alla immobilità.

L'evoluzione Infinita (Desmond Morris)

L'evoluzione è un argomento affascinante anche in un tempo, come l'attuale, dove il suo effetto sembra essere stato contrastato dalla progressiva cancellazione degli stimoli selettivi.
Se da una parte questo si accompagna ad un benessere individuale, in ambito di popolazione determina un incremento, mai visto nella storia umana, nella frequenza di alleli potenzialmente dannosi o semplicemente a fitness (cioè associata alla possibilità di riprodursi) bassa. Vivere da bambini in ambienti asettici, deprivati della parte stimolatoria-selettiva, è del resto noto da tempo essere associato in età adulta ad una maggiore predisposizione ad allergie e/o a sensibilità a malattie infettive comuni.
Con queste premesse quindi l'articolo di Desmond Morris apparso originariamento sul The Telegraph e tradotto su la repubblica è un articolo che vale la pena leggere come spunto per riflessioni ulteriori.


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 La scoperta scientifica annunciata qualche settimana fa sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences – la specie umana è ancora in evoluzione – sorprende tanto quanto affermare che l’acqua è bagnata. Certo che ci siamo ancora evolvendo! Gli esseri umani, come ho già dichiarato, sono scimmie in posizione eretta, non angeli caduti. Siamo animali. Animali straordinari, ma pur sempre animali. Procreiamo e quindi ci evolviamo.
Il significato di fondo della riproduzione sessuale – cosa che, a differenza dei panda, sappiamo fare abbastanza bene – è insito nel fatto che essa consente a una specie di essere adattabile. Ogni generazione è il frutto dei successi riproduttivi dell’ultima generazione. E l’ultima generazione è generata sotto l’influenza dell’ambiente così come esso era durante il breve arco di tempo trascorso su questa Terra. Se quell’ambiente cambia, anche i successi procreativi cambieranno di conseguenza.
Non c’è niente di misterioso sulla morte: si tratta semplicemente di un meccanismo congenito dei nostri geni che ci consente di avere il tempo di riprodurci e di passare oltre. Abbiamo tutti geni che rendono la sostituzione delle nostre cellule sempre meno efficiente col passare degli anni, fino a quando diventiamo così deboli che cadiamo vittime di una malattia o di un’altra. Ogni specie ha questi geni, che operano a velocità diverse, in funzione della taglia dell’animale e di molti altri fattori. Un uomo vive più a lungo di un topo, ma i topi si moltiplicano più rapidamente degli uomini. E i microbi si riproducono più rapidamente di tutti e questa – come potrà confermarvi qualsiasi ricercatore medico – è una grossa seccatura, perché implica che riescano a evolversi così rapidamente da poter sviluppare tempestivamente l’immunità nei confronti dei nostri ritrovati terapeutici più recenti.
Di conseguenza, per comprendere in che modo gli esseri umani si stiano evolvendo, tutto ciò che dobbiamo fare oggi è osservare in che modo sta cambiando il nostro ambiente. Se quest’ultimo è immutato, la nostra evoluzione si interromperà. Se viceversa è sottoposto a qualche tipo di sconvolgimento, allora la nostra evoluzione accelererà. Naturalmente, essendo noi animali di grossa taglia, il nostro processo evolutivo è molto lento. Negli ultimi dodicimila anni abbiamo vissuto un unico grande cambiamento ambientale, come specie di primati: l’urbanizzazione. Fino al punto in cui scoprimmo l’agricoltura, avevamo sempre vissuto in piccole comunità tribali di cacciatori e raccoglitori. Una volta piantate le sementi e addomesticati gli animali, però, ci concedemmo l’opportunità di mettere insieme scorte di cibo. Ciò permise ai primi villaggi di diventare cittadine e poi alle nostre cittadine di diventare città piene di specialisti che facendo nuove scoperte straordinarie ci indirizzarono verso l’eccellenza tecnologica.
Accadde così che la primigenia scimmia nuda antropomorfa, che si era evoluta per vivere in piccoli gruppi, all’improvviso si trovò circondata da estranei, in popolazioni urbane sempre più ampie. E questo processo perdura ancor oggi a ritmo sostenuto. Questa è stata l’unica grande pressione esercitata dall’ambiente su noi uomini, intesi come specie. Chiunque scoprisse di essere incapace ad adattarsi a questo nuovo mondo affollato, pieno di trambusto, di stress sociale e di rumore, incontrerebbe difficoltà a metter su casa, famiglia e procreare. L’evoluzione per loro si interromperebbe e la specie andrebbe avanti. Esistono molteplici modi con i quali l’evoluzione può accomiatarsi da soggetti di questo tipo, per esempio facendo sì che si suicidino, provocando in loro la depressione, procurando loro qualche disturbo da stress o interferendo direttamente nell’atteggiamento che hanno nei confronti dell’atto dell’accoppiamento.
Se alcune tipologie di persone non si riproducono in questo nuovo mondo urbano, ciò a poco a poco cambia la nostra specie. La cosa avrebbe un impatto anche nel caso in cui questi esseri umani diventassero “riproduttori limitati”, permettendo alla nostra specie di diventare più efficiente, un nuovo tipo di Scimmia Antropomorfa Urbana.
Alcune correnti filosofiche e di pensiero hanno avuto un effetto negativo sul successo della procreazione. Per smettere di riprodursi non è necessario buttarsi giù da un alto edificio. Lo si può fare semplicemente prendendo la decisione di non riprodursi. Monaci, suore, preti cattolici, scapoli, nubili, gay e lesbiche hanno tutti probabilità di gran lunga inferiori di trasmette i propri geni e quindi di influenzare il futuro genetico della specie umana. Naturalmente, possono sempre influenzare il futuro culturale della nostra specie grazie ai loro insegnamenti o alla loro creatività. Ma il loro patrimonio genetico andrà in gran parte sprecato. Le loro uova ovuleranno, il loro sperma si formerà, ma vi saranno bassissime probabilità che si incontrino.
Un’altra categoria di persone per la quale vi sono minori probabilità di procreare può essere quella dei cosiddetti “intellettuali altruisti”. Si tratta di coloro che osservando che la specie umana con i suoi sette miliardi di esseri viventi oggi è già estremamente popolosa, avvertono l’esigenza – dato che questo trend non pare dar segno di voler decrescere in futuro – di limitare il numero della specie uma-
na. Se dunque tali individui decidono di conseguenza che è meglio non mettere al mondo figli, o quanto meno di avere una famiglia molto contenuta, contribuiranno meno al futuro della
specie di coloro che non si danno pensiero di queste cose e si riproducono in piena libertà.
Ad avere le migliori probabilità di influenzare il futuro della nostra specie dal punto di vista
genetico sono dunque le grandi famiglie felici – quelle con genitori premurosi e tanti figli. Dico “felici” perché le famiglie infelici hanno invece maggiori probabilità di mettere al mondo figli
che avranno problemi a riprodursi. Sono le famiglie felici quelle che meglio si sono adattate al nuovo mondo urbano. In qualche modo sono riuscite a lottare con successo con il loro
nuovo ambiente affollato e non hanno capitolato, pur nello stress e sotto tensione. Tutto ciò lascerebbe intuire che la nostra specie oggi stia evolvendo in direzione di una condizione meno ansiosa, meno burrascosa, meno violenta. Essere in grado di godersi una vita famigliare felice nel bel mezzo delle difficoltà odierne significa essere adulti più tranquilli, più spontanei, più gioiosi, più pacifici e più ottimisti di quanto si fosse in passato.
Ma che dire delle atrocità che continuiamo a sentire ogni mattina dai notiziari? Siamo certi che la specie umana non sia costituita ancora da animali aggressivi e violenti, capaci di commettere azioni di incredibile ferocia? Sì, ma il fatto che la maggioranza delle persone viventi sul pianeta resti raccapricciata da queste azioni perpetrate da un’esigua minoranza, riflette chiaramente che come specie ci siamo evoluti. I notiziari non riferiscono mai quanti esseri umani si sono svegliati questa mattina e hanno vissuto una giornata tranquilla e pacifica, rispetto a coloro che sono stati travolti dal finimondo. E il finimondo fa notizia soltanto perché è così raro. Senza accorgersene, l’indole della nostra specie negli ultimi anni si è evoluta, ed è diventata leggermente più giovanile e allegra. Questa è la nostra migliore speranza per il futuro.
Ancora qualche parola, in conclusione, sulla sovrappopolazione. Mentre noi aumentiamo sempre più di numero, coloro che non tollerano la situazione si riprodurranno sempre meno e la nostra specie continuerà ad adattarsi alla vita nelle metropoli. Ai primordi della nostra evoluzione, sviluppammo una caratteristica precisa: sopravvivere collaborando. Tale capacità è connaturata ai nostri geni e può rafforzarsi geneticamente a mano a mano che passa il tempo.
Mentre ci moltiplichiamo e diventiamo sempre più numerosi, però, ci troviamo alle prese con il grande pericolo al quale ci espongono i nostri nemici invisibili, il pericolo maggiore per noi: i virus e i batteri che si riproducono velocemente. I microbi ostili migliorano le loro caratteristiche incessantemente e una delle situazioni nelle quali prosperano meglio in assoluto è “la contiguità dell’ospite”. In altre parole, quanto più ci ammassiamo a vivere nelle nostre megalopoli, tanto più si moltiplicano per i nostri nemici microbi le occasioni di colpire a livelli di epidemia. Se per esempio un virus mortale riuscisse a evolversi e da contagioso diventare infettivo al punto da poterlo prendere dalla persona che ci siede accanto, allora ci ritroveremmo alle prese con una nuova Morte Nera. E la nostra popolazione di sette miliardi di individui nel volgere di pochi anni potrebbe ridursi a un milione. In ogni caso, quel milione di persone – le più resistenti – alla fine inizierebbe di nuovo a riprodursi e nel giro di poche migliaia di anni torneremmo nuovamente a essere in tanti. Quanto ho esposto potrebbe sembrare un sistema basato sullo spreco. Decisamente staremmo molto meglio se fossimo come i topolini comuni: quando la loro popolazione diventa eccessiva, le femmine incinte riassorbono l’embrione. Se la sovrappopolazione colpisce invece le volpi, non sono i cacciatori a controllarne il numero, ma le volpi femmine, che smettono di entrare in calore fino a quando il numero della loro popolazione non torna nella norma. Per qualche motivo, la specie umana è priva di questi efficienti meccanismi di controllo della popolazione. Siamo una specie talmente nuova sulla Terra che non sembra che abbiamo ancora trovato il tempo di metterlo a punto. Forse un giorno, chissà…
(Traduzione di Anna Bissanti) © 2012, The Telegraph

Jack Osborne, sclerosi multipla: capire le cause per pensare ad una cura

E' di poche ore fa la notizia che Jack Osborne (figlio di cotanto padre) è affetto da sclerosi multipla.
©wikipedia
 Sebbene rimanga il dispiacere di sapere che un giovane abbia contratto una malattia grave e, per il momento, non curabile sono ben consapevole del fatto che tale malattia colpisce ogni anno 1 persona ogni 1000, nella maggior parte dei casi di età fra i 14 ed i 40 anni.
Nella sfortuna l'unica speranza è che, come avvenuto per Michael J. Fox con il Parkinson, questo sia prodomico ad un sempre maggiore interesse nella ricerca e nella raccolta fondi e/o sensibilizzazione a tale scopo. Consiglio a tal proposito di leggere l'interessante Lucky Man di M.J.Fox e di dare uno sguardo al sito della sua fondazione, promotrice di molti progetti di ricerca ed un recente finanziamento da loro fornito.
Il caso Jack Osborne è tuttavia paradigmatico nella ricerca delle cause scatenanti la malattia. Negli anni diversi ipotesi sono state fatte e diversi virus sono stati indiziati fra i potenziali colpevoli indiretti. Tuttavia non sono state trascurati agenti chimici sia correlati all'inquinamento che a sostanze ad azione psicotropa il cui potenziale effetto epigenetico sulle cellule germinali non è da escludere e permetterebbe di correlare l'abuso di sostanze del padre (che a sua volta mostra dei chiari segni neurologici) con la malattia del figlio. 
Ho usato il termine "colpevoli indiretti" perchè la malattia è (o meglio si ritiene, ... leggi sotto) di tipo autoimmune. Detto in termini semplici il sistema immunitario, vuoi per una reazione eccessiva ad una infezione oppure per l'esposizione di antigeni cellulari prima nascosti, non riconosce più come propri alcuni tessuti e li attacca. 
Questo è quello che si pensava fino ad ora. Tuttavia una ricerca  appena pubblicata su Nature Review Neuroscience fa sorgere negli autori il dubbio se la malattia sia puramente autoimmune (ed infiammatoria) oppure se vi sia anche una componente degenerativa che precede la parte infiammatoria. Tale osservazione non è di secondaria importanza nell'approntare terapie adeguate.


- Articolo precedente sull'argomento SM, qui
- Articolo successivo sull'argomento SM, qui

Appendicite: chirurgia o antibiotici ?

Appendicite: chirurgia o antibiotici ?
 La risposta sarebbe stata fino a poco tempo fa scontata a favore dell'intervento chirurgico. Tuttavia … dopo devono essersi chiesti i medici inglesi perchè utilizzare una tecnica invasiva, a rischio moderato (pur sempre un intervento in anestesia totale) e più costosa (di questi tempi poi) quando l'appendicite è una infiammazione con componente batterica.
Un team di ricercatori del Nottingham Digestive Diseases Centre NIHR Biomedical Research Unit si è posto il problema e lo ha affrontato analizzando i risultati di quattro diversi studi clinici randomizzati. Lo scopo principale: confrontare, nell'ambito di appendiciti acute non complicate, l'efficacia del trattamento antibiotico rispetto all'opzione chirurgica.
Risultato: il trattamento antibiotico è associato al 63 % di successo ad un anno dal trattamento e presenta il 31 % di complicazioni in meno se confrontato con l'opzione chirurgica. I restanti pazienti sono stati, per il permanere della sintomatologia, successivamente operati senza che questo abbia indotto sintomatologie più serie del normale.
La conclusione degli autori è che in assenza di complicazioni, il trattamento antibiotico, effettuato sotto attento controllo merito è una opzione vantaggiosa sia per i pazienti che per le strutture sanitarie.

L'articolo è stato pubblicato sul British Medical Journal

Un articolo su Anirban Bandyopadhyay: nanorobot e cervello

E' sempre un piacere leggere un articolo di divulgazione scientifica ben scritto. Ancora di più se riguarda la frontiera neuroscienze-nanotecnologia-robotica.
Un plauso quindi alla brava Viviana Kasam per l'intervista-articolo.



Articolo da Viviana Kasam, Domenicale de Il Sole24ore (10/6/2012) (tutti i diritti riservati)
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CERVELLO ARTIFICIALE
Nanobots e destinazione cervello?
È costituito da due parti, connesse da una struttura analoga all'ippocampo (a forma di spirale). La meta inferiore rappresenta la regione sensoriale, che risponde a informazioni in entrata di tipo automatico, sincronizzate e inviate alla meta superiore. Il livello superiore è costituito da tre importanti cavità interconnesse e riempite di tessuto cerebrale costituito da un network di nanocircuiti cerebrali sopramolecolari.
L'inventore è Anirban Bandyopadhyay -Anì per gli amici e nella comunità scientifica, causa l’impronunciabilità del suo cognome - non è un oratore trascinante, anzi, si fa fatica a capirlo, nel suo inglese perfetto ma pronunciato all’indiana. Ha il piglio del primo della classe, con troppe cose da dire e troppo poco tempo per farlo. Non è facile
nemmeno comprendere la complessità della sua visione. Però si ha la netta impressione di trovarsi avanti a un genio. Impressione condivisa dalle trecento e più persone che hanno avuto il privilegio di ascoltarlo la settimana scorsa a Fabriano, durante il Festival Poiesis.
Secondo questo giovane scienziato, 36 anni, che lavora in Giappone, a Tsukuba, presso il Nims, e ha già avuto due ricerche pubblicate su Nature, è inutile accanirsi nel tentare di riprodurre l’attività cerebrale con computers sempre più grandi e sofisticati e attraverso istruzioni sempre più dettagliate e complesse. "L’intelligenza è un pattern - sostiene - non una serie di informazioni binarie. Per questo non concordo con chi sostiene che il cervello è un computer. Il cervello non ha software: è tutto hardware e funziona con soli 24/ 25 watt di energia".
È da qui che bisogna partire. Anì è radicalmente contrario ai progetti, tipo Connectomy in America e Blue Brain in Europa, che cercano di creare cervelli artificiali utilizzando megacomputers, che consumano 800 / 1.ooo megawatts di energia (quella di una grande centrale nucleare) e richiedono trilioni di algoritmi basati sul principio "if.. then..".
"Non arriveranno mai a creare un cervello pensante, capace di imparare e soprattutto di sbagliare - [l’errore è il fondamento del progresso] - . Al massimo, otterranno un robot capace di eseguire compiti complessi. Ma un cervello artificiale di quel tipo non arriverà mai a riconoscere un cane da un gatto, cosa che un bambino di pochi mesi sa fare».
E allora? Allora bisogna partire da qualcosa di completamente diverso. Un cervello artificiale che sia tutto hardware, costituito di materia organica capace di svilupparsi da sola, funzionando con la modalità dei frattali, che si moltiplicano restando uguali a se stessi. Anirban c’è riuscito, utilizzando le nanotecnologie, che erano il suo campo di ricerca finché il padre non ha avuto un ictus «e mi sono chiesto che cosa potevo fare per riparare il suo cervello».
Quattro sono i principi "assolutamente innovativi" su cui lavora il prof. Bandyopadhuyay per costruire un cervello biologico artificiale: 
  • non è necessario il software. Le istruzioni sono codificate all’interno del materiale organico; 
  • deve funzionar con bassa energia (24/ 25 Watt) come il cervello reale. «Il futuro è della tecnologia a bassissimo consumo energetico, anche per le apparecchiature che utilizziamo quotidianamente», profetizza; 
  • deve poter imparare dall’esperienza. Come i bebè, diventa più intelligente crescendo. Il processore deve poter cambiare i suoi circuiti mentre impara, come fa il cervello umano.
  • deve possedere i sette livelli di intelligenza, le "seven lands of wonders" codificate già nei Veda (che Anì conosce bene e difatti la sua piattaforma per creare la macchina superintelligente si chiama Brahma). Si tratta di: 
    • un buon livello di elaborazione delle informazioni; 
    • l’associazione degli eventi presenti con quelli del passato; 
    • la correlazione tra eventi diversi; 
    • la previsione del futuro; 
    • la ricostruzione indiziaria del passato; 
    • l’immaginazione di passato e futuro a partire da minimi input sensoriali; 
    • la coscienza, o livello dell’identità.
Come ottenere tutto ciò?
Bandyopadhyay ha messo a punto una sorta di gelatina, costituita da semplici molecole organiche della famiglia dei chinoni, inserite in un brodo di coltura e che vengono "istruite" attraverso input di luce laser, agenti chimici o campi elettrici che agiscono direttamente sulla materia, cioè sull’hardware, o se si vuole essere precisi sul wetware, fissando particolari parametri di simmetria negli oscillatori. In questo modo il concetto di "programmazione"diventa obsoleto.
Le molecole si aggregano in clusters sempre più grandi e con diversi livelli di frequenza, che simulano le aree del cervello e si specializzano in attività diverse ma correlate.
Dunque l’intelligenza artificiale non ha più l’aspetto metallico e rigido del robot o del computer; è piuttosto una gelatina apparentemente amorfa, ma composta di molecole organiche complesse, capaci di interagire tra loro creando dei frattali che ripetono in ogni livello la stessa  struttura ramificata. Esistono già.
Quali le applicazioni? "Infinite", spiega il professore, ad esempio robot che imparano dall’ambiente e che possono affrontare situazioni nuove.
Più prossima nel tempo la possibilità di costruire entità intelligenti di ogni dimensione, dal nano al mega. "Già esistono i nanobots (capsuline intelligenti) che possono essere iniettati nel corpo umano e distruggere selettivamente le cellule malate". Quello a cui sto lavorando è la creazione dei nanobrains, una sorta di nanochirurghi in grado di operare il cervello dall’interno, e di rimuovere i grumi di sangue in una emorragia cerebrale. Stiamo già facendo i test nelle cellule umane. E stiamo affrontando in modo assolutamente innovativo l’Alzheimer. I nanobrains potranno rimuovere le placche amiloidi, ma anche lavorare sui microtubuli, le piccole strutture di micro-elaborazione dei segnali all’interno dei neuroni e ripararli evitando la denaturazione di proteine, alla base della malattia".
Quanto tempo ci vorrà? "Ci stiamo lavorando, con due strumenti: le differenti bande di frequenza dei biomateriali e  l’azione fisica dei nanobrains. Ci vorrà del tempo, ma non dieci anni".
Curiosa combinazione di attaccamento alla tradizione e di visione proiettata nel futuro, Anirban nel tempo libero si diletta di pittura tradizionale e di musica classica indiana Raga oltre allo studio del Sanscrito.
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Questo la dice lunga sulle differenze di preparazione teorica fra uno dei nostri ricercatori trentenni da solotto ed uno affamato e visionario come qullo indiano.




OGM si, OGM no

Un ottimo articolo è appena apparso EMBO journal. Ovviamente gli autori sono scienziati e non i tanti, troppi, improvvisati cianciatori di scienza (giusto ho sentito parlare Mario Capanna ... che profondità tecnica ... pieta!!!!!!!)

Il titolo è esplicativo

Stop worrying; start growing

(Torbjörn Fagerström, Christina Dixelius, Ulf Magnusson & Jens F Sundström, EMBO reports (2012) 13, 493 - 497)

Ever since the Asilomar Conference on ‘Recombinant DNA' in February 1975, regulatory policies relating to recombinant DNA technology have focused on the idea that this technology implies threats to human health and the environment. As a consequence, the explicit goal of these policies is to protect society and nature from an assumed hazard, or, if protection is not possible, at least to delay the implementation of the technology until scientific evidence shows it to be harmless. 
These policies were widely accepted at the time, as public concerns were, and still are, important. As time has gone by, the evidence for negative impacts of genetically modified (GM) crops has become weaker. However, the regulatory policies within the EU are still rigid enough to prevent most GM crops from leaving the confined laboratory setting; should some candidate occasionally overcome the hurdles posed by these policies, the precautionary principle is invoked in order to ensure further delaying in its use in the field. The reason for this over-cautious approach is widespread public resistance to GM crops, caused and amplified by interested groups that are opposed to the technology and invest heavily into lobbying against it ...


continua qui


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clicca il tag "Dimensione X" per i post su argomenti in cui il rigore scientifico si scontra contro pratiche "ideologiche" o peggio "illogiche".

il passaggio di Venere. Il tracciato ed il video

Questa la simulazione per seguire il passaggio di Venere davanti al Sole dall'Italia. Sebbene non siamo in una posizione ideale come quella del Pacifico anche qui qualcosa si potrà vedere.



Un mio post precedente su questo evento qui


 Uno dei primi video disponibili sull'argomento


Consiglio di visualizzare gli altri video dello stesso autore LittleSDOHMI

gravidanza sopra i 30 anni? pianificare per tempo

Ci sono articoli scientifici che dovrebbero essere fatti leggere ad un pubblico generalista soprattutto se giovane. Articoli che trattano argomenti importanti e la cui conoscenza permette di attuare comportamenti "preventivi". Argomenti non necessariamente vitali ma che hanno un grosso impatto sulla qualità di vita "percepita". Argomenti quali la gravidanza.
Preciso subito che non mi riferisco alle conoscenze base che dovrebbero essere note alla stragrande maggioranza dei giovani nei paesi culturalmente progrediti. So che non è così ma ci sono molti siti ben fatti a riguardo. 
Parlo di un argomento che come genetista mi interessa molto di più: la gravidanza e l'età. Prendo lo spunto da un articolo pubblicato da uno dei tanti ricercatori emigrati che ricoprono ruoli importanti all'estero. L'autore dell'articolo, comparso sulla rivista Fertility & Sterility, è Pasquale Patrizio del Department of Obstetrics & Gynecology alla Yale School of Medicine, laureatosi in medicina a Napoli e specializzazione in bioetica alla università della Pennsylvania.
In questo articolo l'autore fa il punto sui problemi, derivanti da concezioni errate, che le donne hanno sulle gravidanza in età non-giovane. Uno dei problemi riscontrati riguarda le aspettative ottimistiche delle pazienti (uso questo termine per semplicità medica) verso le tecnologie di fecondazione in vitro o in generale quei trattamenti miranti a facilitare il concepimento (che aggrego con il termine generale IVF). La frase da loro spesso ripetuta è un chiaro indicatore delle aspettative nutrite: "ma come è possibile? Sono sana, faccio attività fisica regolare,… e non riesco a concepire!").

La realtà può essere riassunta in alcuni dati:
  • ritardare la maternità, qualunque sia il motivo (economico, carriera, affetti, etc) è associato ad un invecchiamento della funzionalità ovarica. Tale funzionalità decresce considerevolmente già a partire dai 30 anni
  • l'età media delle donne che si rivolgono alla IVF è di 43 anni. Come detto sopra l'aspettativa è generalmente eccessivamente ottimistica.
  • scarsa consapevolezza dell'esistenza del legame inverso fertilità-età. Si ritiene che fino a 50 anni sia sufficiente un piccolo aiuto, anche ormonale, per aumentare le chance gestazionali.
  • spesso queste aspettative sono aggravate dalla visione di VIP anagraficamente simili con prole.
  • Il successo delle tecniche di IVF per donne sotto i 35 anni è aumentato del 9% tra il 2003 ed il 2009.
  • Nello stesso periodo tuttavia il numero di donne sopra i 41 anni che si rivolge alle cliniche è aumentato del 41%.
  • La frequenza di IVF riuscite per donne di 42 anni è rimasto negli anni fermo al 9%.
  • i rischi associati, ma indipendenti da IVF, quali aborto spontaneo, difetti genetici e/o di gestazione aumentano esponenzialmente sopra i 35 anni.

Come fare?
L'autore suggerisce alcune semplici regole per aumentare le possibilità di successo e che possono essere riassunte nel semplice "pensateci per tempo".
Congelare i propri oociti quando si è nel massimo "splendore riproduttivo" permetterà di pianificare future gravidanze. In alternativa vi è l'utilizzo di oociti donati, una procedura che, tranne nei casi di problemi fisiologici nella donna fornisce buone percentuali di successo. Certamente all'autore sfugge il fatto che esistono paesi sottosviluppati come l'Italia dove la fecondazione eterologa è vietata, ... .
Aggiungo io che non si dovrebbe usare come parametro di riferimento i risultati di alcuni "luminari" italiani che, per motivi che con la scienza hanno poco a che fare, permettono a donne sessantenni di avere figli.
Un master in bioetica potrebbe forse, ma ne dubito, chiarire le idee a queste persone. Ma questa è una mia opinione.
L'importante è che la consapevolezza delle possibilità/rischi si diffonda nelle giovani generazioni in modo da favorire, dove possibile, la programmazione di scelte future.


Sul tema fecondazione in vitro vedi il successivo articolo --> qui
Sul rapporto tra ciclo riproduttivo femminile e rischio neoplasie --> qui

Fonte
- A persistent misperception: assisted reproductive technology can reverse the “aged biological clock”
Nichole Wyndham et al, Fertility and Sterility Volume 97, Issue 5 , Pages 1044-1047, May 2012

Scontro fra galassie ... in un futuro lontano

 
(®video prodotto dalla NASA)


I dati prodotti in tutti questi dal lavoro ininterrotto di Hubble hanno fornito (e continuano a fornire) materiale su cui gli astronomi e gli astrofisici possono sviluppare teorie sempre più precise sulla evoluzione dell'universo. L'ultima fatica scientifica ha permesso di prevedere con precisione il movimento delle galassie e quindi in senso lato di capire quale sarà il nostro futuro.
Fra circa 4 miliardi di anni la nostra galassia si scontrerà con quella di Andromeda. La cosa non deve spaventare più di tanto per tutta una serie di motivi:
  • lo scontro fra galassie è un termine fuorviante. Considerando lo spazio esistente fra una stella e l'altra all'interno della stessa galassia, si tratterà più di una cambiamento della forma più che dei suoi componenti base. Le stelle probabilmente non ne risentiranno
  • la terra fra 4 miliardi di anni non esisterà più da un pezzo. Considerando il ciclo di vita del Sole (destinato a transitare attraverso la fase di gigante rossa) è prevedibile che già fra un miliardo di anni la terra sarà stata abbrustolita ben bene eliminando di fatto ogni traccia di vita.
  • l'evoluzione biologica umana non si interrompe (sebbene la tecnologia negli ultimi anni stia di fatto togliendo molti fattori selettivi...). Pensiamo a quanto siamo cambiati nel passaggio da ominidi a homo sapiens sapiens in poche centinaia di migliaia di anni. Pensiamo quanto sarebbero diversi, se ancora esistenti, i nostri discendenti non dico fra 3 miliardi di anni (il tempo che ci separa nel passato dal brodo primordiale) ma anche solo fra 1 milione di anni. Inimmaginabile
Questo non toglie quanto sia affascinante proiettare il nostro sguardo nel futuro della nostra galassia. A cui volenti o nolenti parteciperemo ... come atomi.

i gorilla, gli scimpanze e noi

I gorilla sono dopo gli scimpanzé i nostri più prossimi parenti e per questo di enorme importanza nello studio sulle origini dell'uomo,
Particolarmente importante quindi la notizia che il genoma del gorilla è stato infine assemblato e comparato con quello di altri primati superiori.
Stime recenti indicano in 25 milioni di anni dell'antenato comune
tra scimmie del vecchio e del nuovo mondo
Che noi fossimo strettamente imparentati con i gorilla e gli scimpanzé era stato proposto circa 150 anni fa da Darwin e da Huxley. Tuttavia un conto sono le similitudini anatomo-fisiologiche, un altro sono le evidenze genetiche ora disponibili grazie alle tecniche e soprattutto alle competenze molecolari sviluppate. 
I progressi nel campo della genomica hanno permesso di indagare il codice genetico e di seguirne le variazioni usandolo come orologio evolutivo. Da questi studi è stato possibile comprendere come da un punto di vista filogenetico si sia più vicini alle scimmie africane (in particolare gorilla e scimpanzé) rispetto agli orangutan.

Molto interessante è stato il datare il punto di separazione fra uomo e scimpanzé e fra uomo/scimpanzé e gorilla a circa 6 e 10 milioni di anni fa, rispettivamente.
Nota. Alcuni ritrovamenti recenti datano a 2,8 milioni di anni le prime tracce fossili appartenenti ad individui del genere Homo.
Il percorso di speciazione che nell'evoluzione dei primati è stato continuo e pieno di biforcazioni ha dato luogo a molti rami secchi (estinzioni). Un percorso accidentato che è ben evidente nel genere Homo, dove tutti i rami diversi dal sapiens sapiens si sono estinti.
Questo percorso irto di "incidenti evolutivi" è stato tuttavia il vero motore che ha permesso all'uomo di colonizzare in circa 200 000 anni ambienti fra i più disparati e selettivi.

Tornando alla parte genomica è curioso osservare che in circa il 30% del genoma l'omologia è maggiore fra uomo e gorilla e in altre regioni fra gorilla e scimpanzé, invece che come atteso fra uomo e scimpanzé. Le regioni in cui l'omologia torna a "favorire" la coppia uomo-scimpanzé sono quelle codificanti (geniche), fatto questo che distingue un carry-over casuale da uno selezionato.
Sequenze geniche in effetti molto particolari. Confrontando le sequenze geniche nei diversi primati si è visto che i circa 500 geni (sui 30000 stimati) in cui vi è stata una evoluzione accelerata sono quelli coinvolti in funzioni sensoriali, in particolare l'udito.

Fra le tante informazioni ottenute alcune molto interessanti riguardano i gorilla. Comparando le sequenze di diverse specie di gorilla (Gorilla gorilla - g. occidentali - e Gorilla beringei - g. orientali) è stato possibile datare la loro divergenza, o se vogliamo l'antenato in comune, intorno a 1,75 milioni di anni fa, sebbene siano evidenti tracce di successivi scambi genetici. Ricordiamo per inciso che la speciazione è considerata completa quando le due specie non possono originare, incrociandosi, prole a sua volta fertile (esempio classico è l'asino ed il cavallo).
Altri dati. Le specie di gorilla orientali sono passati attraverso "colli di bottiglia" genetici, implicanti un forte impoverimento della diversità genetica, causati molto probabilmente da fenomeni di deriva genetica/founder-effect, fenomeni questi tipici di popolazioni originate da pochi individui colonizzatori e quindi indicativo della migrazione da "occidente verso oriente".

Mettendo assieme i due dati sopra descritti (la forte selezione incontrata dai primati, ed i rami secchi, con i bottleneck incontrati) con la conseguente massiccia riduzione periodica del numero di individui si comprende come le tracce contaminanti inter-specie siano state la vera risorsa che ha permesso ad i primati di superare i periodi di crisi numerica (e quindi della pericolosa povertà genetica) della popolazione.
Una ricostruzione questa che ci fa vedere, attraverso un cannocchiale girato indietro nel tempo, un periodo nell'evoluzione della nostra specie in cui la sopravvivenza è stata per molti versi precaria. Una sopravvivenza favorita probabilmente da scambi genetici, forse più che saltuari, con i cugini Neanderthal.
Una storia, la nostra, in comune con gli altri grandi primati. Un dato questo che dovrebbe ricordarci di proteggere e preservare questi lontani cugini sempre più in pericolo a causa di stravolgimenti ambientali contro cui nulla possono.

"Allora fatemi capire: tutto andava bene fino a che un vostro cugino prese il comando?"  Fonte; Scally et al 



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