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Stress post-traumatico. Predisposizione genetica più stress sono alla base di un disturbo dall'alto costo sociale

Perché alcune persone in seguito ad eventi traumatici sviluppano il cosiddetto post-traumatic stress disorder (PTSD) mentre altre ne sembrano immuni?
Non si tratta di domande di poco conto se si considerano sia i costi sociali che la diversità di eventi scatenanti (o all'origine) di questi disturbi comportamentali. Disturbi che non sono limitati ad i soldati che operano su fronti caldi, ma che colpiscono anche tutori dell'ordine e persone che hanno subito (in modo continuo o episodico) violenze psicofisiche o in generale ogni evento che stressogeno.
Si stima che circa il 7% della popolazione americana ne sia affetto, con percentuali molto maggiori nei reduci. I costi sociali che ne derivano vanno ben al di là del fatto in se, in quanto sono spesso la causa di derive comportamentali che minano non solo la sfera personale ma anche il nucleo familiare e nei casi più gravi la comunità. Troppo spesso si legge di atti sconsiderati compiuti da reduci o da vittime di abusi.
Sintomi classici della PTSD sono improvvisi flashback, intorpidimento emotivo o rabbia ed iper-reattività, fuga da ogni situazione anche solo lontanamente associabile all'evento (ad esempio rumori improvvisi, etc). In molti casi l'evento stesso è rimosso dal soggetto, che sperimenta gli effetti senza riuscire ad associarli alla causa scatenante.
Il fatto che non tutte le persone sottoposte a eventi simili (o apparentemente più gravi) siano soggetti a queste derive psicotiche fa pensare che vi possa essere una qualche base organica predisponente. Una precondizione, forse genetica, che rende taluni individui più sensibili a certi stimoli ansiogeni.
L'interesse è alto soprattutto da parte delle forze armate. La possibilità di identificare a priori i soggetti più sensibili allo stress favorirebbe l'attuazione di terapie psicologiche e/o farmacologiche mirate durante e subito dopo il periodo di arruolamento.
Da un articolo del New York Times di aprile 2012 ricavo questi numeri estremamente inquietanti sul PTSD nei soldati di ritorno da Iraq e Afghanistan.
Mentre la frequenza dei decessi americani sul nelle due zone è cumulativamente di circa 1 ogni 36 ore, i reduci in patria mostrano una frequenza circa 25 volte superiore (!!!) con un morto suicida ogni 80 minuti.  Numeri inquietanti  in quanto non fanno notizia come invece quelli riferiti a reduci violenti verso terzi.

Da qui l'importanza dei lavori sotto riportati.
Ricercatori della UCLA del gruppo di Armen Goenjian hanno analizzato il DNA di 200 persone appartenenti ad ampie famiglie in cui furono registrati casi ripetuti di PTSD dopo essere sopravvissuti al devastante terremoto del 1988 in Armenia. Dalla indagine genetica si scoprì che coloro che possedevano alcune particolari varianti di due geni necessari per la produzione di serotonina, TPH1 e TPH2, erano a rischio di sviluppare la PTSD.
Questi risultati dovranno ora essere confermati su una popolazione più ampia ed eterogenea di quella testata. Non si può infatti escludere la possibilità che l'appartenenza ad un gruppo etnico definito  sottintenda il fatto che tali varianti siano assenti in altre popolazioni caucasiche. 

Sul fatto che la serotonina sia coinvolta in realtà la sorpresa è minore. Questo neurotrasmettitore è coinvolto nella regolazione di aspetti che comprendono l'umore, il sonno, l'appetito ed il sesso. Sostanze stupefacenti come le anfetamine agiscono infatti inibendo il riassorbimento (quindi l'eliminazione) sinaptico di questo fattore, provocando il permanere dell'effetto mediato (benessere ed eccitazione). Tale stimolazione può alla lunga, ed in alcuni soggetti, generare resistenza e quindi a sintomatologie di scarso appagamento, depressione, etc.
Alcuni noti antidepressivi (fluoxetina) seguono lo stesso percorso: inibiscono il riassorbimento della serotonina agendo quindi come antidepressivi.

Sempre alla UCLA il team di Michael Fanselow ha osservato (dati pubblicati sul Journal Biological Psychology.) un significativo aumento del numero di recettori per i neurotrasmettitori eccitatori nella amigdala di ratti che presentavano una lesione cerebrale che li rendeva più "stressati e facilmente spaventabili". In altri termini l'amidgala, sede della emotività, era molto più facilmente attivabile. Un dato questo che dovrà ora essere confrontato con l'essere umano.

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 A distanza di alcuni mesi da questo articolo mi è capitato sott'occhio dell'altro materiale (vi invito a leggere l'articolo nella sua interezza su Nature 12 ottobre) che aggiungo qui come compendio.
L'effetto immediato dello stress da pericolo e le conseguenze cerebrali (®Nature.com)
Nelle persone con PTSD, due aree del cervello sensibili allo stress sono ridotte: l'ippocampo (una regione del sistema limbico importante per la memoria) e la corteccia cingolata anteriore - ACC (una parte della corteccia prefrontale coinvolta nel ragionamento e nel processo decisionale).
Mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI), una tecnica che permette di seguire il flusso di sangue nel cervello, si è scoperto che quando le persone con PTSD ricordano il trauma, tendono ad avere una corteccia prefrontale meno attiva ed una amigdala iperattiva (ricordo ancora che è una regione del cervello che elabora la paura e l'emozione).
Le persone che hanno sofferto un trauma ma che non sviluppano lo PTSD, mostrano al contrario una maggiore attività nella corteccia prefrontale.
Kerry Ressler, un neuroscienziato che lavora presso la Emory University di Atlanta ha dimostrato che questi individui resilienti hanno forti connessioni tra la ACC e l'ippocampo. Questo suggerisce che la resilienza dipende in parte dalla comunicazione tra il circuito preposto al ragionamento nella corteccia e la circuiteria emotiva del sistema limbico. Un meccanismo che previene corto-circuiti emotivi.

(articolo successivo sul tema "terapie future per il PTSD" --> qui)

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(aggiornamento agosto 2015)
Uno dei trattamenti più usati per le persone con PTSD è la somministrazione di antidepressivi come i SSRI (inibitori della ricattura della serotonina dal canale sinaptico). Ma questo potrebbe essere controproducente in base a quanto scoperto da ricercatori del MIT. Se infatti tali trattamenti sono utili nei depressi classici, grazie all'aumento della concentrazione locale di serotonina, nel caso delle persone traumatizzate questo avrebbe l'effetto indesiderato di aumentare il processo di consolidamento della memoria e la facilità con vengono "ripescati" da essa gli eventi che hanno indotto lo stato di stress che si vuole curare.
L'approccio invece dovrebbe essere quello di usare farmaci in grado di diminuire la serotonina dissociando così eventuali inneschi ambientali dalla memoria associativa (clicca QUI per ulteriori dettagli).

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(aggiornamento marzo 2016)
Il protossido d'azoto somministrato dopo un evento traumatico può aiutare a prevenire i ricordi dolorosi di "sedimentare" nella memoria.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Psychological Medicine da un gruppo del UCL (Londra) evidenzia come le persone che hanno respirato questo gas (per circa 30') dopo la visione di spezzoni di film violenti, ne conservavano un ricordo molto più sbiadito (e non stressogeno) rispetto a coloro a cui era stata fornita aria normale.
La ricerca ha coinvolto 50 volontari adulti senza altre problematiche psicologiche a cui sono stati mostrati alcuni spezzoni di un film definito dai critici "così violento e crudele che la maggior parte delle persone lo ritengono inguardabile'. Gli spezzoni sono stati scelti in quanto dimostratisi in grado di creare una forma (seppur blanda) di quei ricordi definiti intrusivi comuni in seguito a traumi.
Nota. Le intrusioni sono ricordi involontari che compaiono spontaneamente e che inducono sensazioni o stati d'animo di estremo disagio se non psicologicamente dolorosi.
Nella settimana successiva alla visione i volontari hanno redatto un diario giornaliero per registrare la frequenza di 'intrusioni' riconducibili al film. Il gruppo a cui era stato fatta respirare la miscela protossido di azoto e ossigeno dichiarava un numero di intrusioni inferiore alla metà rispetto ai controlli.
L'ipotesi più accreditata è che il gas interferisca nel processo di consolidamento della memoria esperienziale (basata sui recettori NMDA) che avviene generalmente durante il sonno; è noto infatti che il protossido blocca tali recettori.
Un'altra osservazione interessante è che i soggetti più "portati" a sperimentare ricordi intrusivi erano colo che avevano dichiarato un certo grado di dissociazione dopo avere visto il film. La dissociazione è una misura di quanto qualcuno sperimenti una sensazione di estraneità ad una certa esperienza come se non la stesse vivendo; tra i sintomi dissociativi vi è un'esperienza distorta del tempo, la sensazione che le cose siano irreali/onirici e la sensazione di distacco dal proprio corpo. Quando questo avviene, è il campanello d'allarme per la comparsa del PTSD.
Vale la pena indagare se questo trattamento sia utile per prevenire l'insorgenza di tale trauma, fornendolo subito dopo che il trauma si è verificato (cosa in parte già in uso dato che il protossido è uno degli antidolorifici più usati dai paramedici nei primo soccorso).
(Fonte: RK Das et al, Psychol Med. 2016 Mar 4:1-11)


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