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Dal Progetto Genoma alle neuroscienze ... passando per gli insetti (1/3)

No, non sono i postumi delle molteplici feste pre-natilizie a base di alcol che mi hanno indotto a titolare il post in modo così ... sconclusionato.
Sebbene apparentemente non correlati, gli elementi presenti nel titolo sono fra loro legati
  • il genoma, NON soltanto i geni, è in grado di condizionare il comportamento; 
  • gli insetti sociali sono un ottimo modello per comprendere come questo avvenga.

Nei prossimi tre articoli cercherò di contestualizzare le ultime ricerche a riguardo evitando però di dare troppe cose per scontate. E' necessario infatti avere prima chiaro anche solo a grandi linee cosa sia il genoma se si vuole comprendere perchè e come l'ambiente agisca su di esso.

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Cominciamo da genoma e dintorni (parte 1/3)
(®Scientific american)
Bene o male tutti hanno sentito parlare del Progetto Genoma (PG), dei risultati ottenuti e degli scenari conoscitivi che ha illuminato (andate qui se proprio non sapete nulla del genoma). 
Possiamo in effetti ragionevolmente parlare di un prima e di un dopo il PG: se prima, pur nella consapevolezza che c'era ancora molto da capire, si riteneva che i i meccanismi base fossero ben delineati, il quadro che è via via emerso ha fatto scorgere quelli che non erano semplici dettagli ma veri e propri pilastri regolatori prima non conosciuti o sottovalutati.


La sequenza nucleotidica è solo un aspetto del genoma (®Broadinstitute.org)

Quando ero ancora all'università il sentire comune era che la stragrande parte del DNA fosse paragonabile al DNA spazzatura: sequenze accumulatesi durante l'evoluzione, non in grado di codificare alcuna proteina o RNA "sensato" ma che l'evoluzione aveva conservato
  • o come stabilizzatore (essendo maggioritario assorbiva senza problemi la maggior parte degli errori che la duplicazione del DNA naturalmente generava)
  • o semplicemente perchè non creava svantaggi (per definizione quindi non selezionabile).
Si scoprì poi che la definizione di DNA spazzatura era alquanto impropria e che esisteva una dimensione nuova e fondamentale prima poco caratterizzata. Una dimensione legata alla attività trascrizionale non genica che genera trascritti di RNA di lunghezza diversa che non solo non codificano per alcuna proteina ma non sono nemmeno, come prima pensato, dei trascritti spuri. Hanno infatti funzioni regolatorie molto importanti (e solo in parte note) fra cui quella di legarsi a RNA messaggeri canonici oppure al DNA (in zone regolatorie e non); in questo modo condizionano qualitativamente (il cosa), quantitativamente (il quanto) e temporalmente (il quando) l'espressione genica.

I riflettori si sono allora via via spostati dai geni, regioni genomiche depositarie del codice per la produzione di specifiche proteine, alle regioni prima considerate accessorie o inutili. Si è passati quindi da una visione centrata sul gene ad una visione genomica.
Capisco che alcune definizioni base possano ancora sfuggire. Vediamo innanzitutto cosa è il genoma.
Il genoma di un organismo è il DNA nel senso più ampio del termine; non solo i geni ma tutta la sequenza. Nel passare dallo studio della sequenza nucleotidica alle modificazioni presenti su essa (cosa diversa rispetto alle mutazioni in quanto queste non cambiano il nucleotide ma solo la sua accessibilità alle proteine regolatrici) si entra nel reame della epigenetica.
La  epigenetica è la genetica dei caratteri non (sempre) trasmissibili e legati all'ambiente. Un confine labile in quanto i due campi sono strettamente legati fra loro.
  • Solo ~1% del genoma codifica per trascritti poi tradotti in proteine.
  • Il 19% del genoma ha una struttura open accessibile a fattori trascrizionali
  • Più del 50% del genoma contiene modificazioni reversibili (metilazioni, etc) direttamente sul DNA (es. metilcitosina) o sulle proteine (istoni) con cui il DNA interagisce.
Una mutazione genica è una incorporazione errata ad esempio di una timina al posto di una citosina; la mutazione può essere silente (nessuna alterazione della proteina codificata) o missense (cambia l'aminoacido incorporato). Al contrario una modificazione diversa-da-mutazione (sia essa all'interno o all'esterno di un gene) come ad esempio la metilazione delle citosina regola la accessibilità di proteine terze a quella regione. Perchè? Queste modificazioni contribuiscono al grado di compattamento del DNA, un processo dinamico che permette sia di "proteggere" il DNA non in uso da agenti ossidanti, di regolare l'accesso alla regione e di facilitare la ripartizione dei cromosomi al momento della divisione cellulare.
Sempre semplificando al massimo, nei mammiferi la metilazione di una regione genomica è tipicamente associata al suo spegnimento trascrizionale. Lo studio ad ampio raggio delle regioni e delle modificazioni genomiche è condotto dal consorzio Encyclopedia of DNA Elements (ENCODE). Ad oggi sono state analizzate le sequenze di un centinaio di tipi cellulari; da questi si spera di ottenere una sorta di impronta digitale che permetta di capire le basi regolatorie del processo di differenziamento cellulare. Ancora semplificando: capire l'insieme quali-quantitativo dei geni che una cellula deve esprimere per differenziarsi da staminale del derma a cheratinocita.
Una sintesi del passaggio da una visione gene-centrica a genoma-centrica (®Nature.com)

Mi fermo qui sugli aspetti tecnici che da soli necessiterebbero di un libro. Importante è comprendere come il DNA è più di una semplice sequenza di geni. Ed è su questa complessa sovrastruttura che l'ambiente agisce.
L'ambiente può agire sulla informazione genetica direttamente (radiazioni e agenti chimici) o indirettamente (stress ambientali di natura molto varia, alcool/fumo/etc, che possono alterare lo status delle modificazioni genomiche e quindi l'espressione genica pur in assenza di mutazioni).
L'ambiente AGISCE quindi sulla informazione genetica.

Questa frase è molto importante in quanto contiene una chiara rivalutazione del lamarckismo, sebbene su basi nuove e impossibili da ipotizzare a suo tempo da Lamarck. 
La dicotomia fra darwinismo e lamarckismo si basò su differenze concettuali allora non conciliabili: mentre il darwinismo prevedeva una forza interna (l'evoluzione) che favoriva gli organismi in grado di adattarsi meglio all'ambiente, il lamarckismo ipotizzava che fosse l'ambiente a indurre il cambiamento.
Facciamo un esempio basato su una osservazione oramai entrata nei libri di genetica: le farfalle urbane che nella fuligginosa Inghilterra a cavallo tra '800 e '900 acquisirono una colorazione bruna rispetto a quella chiara prima predominante. Darwin avrebbe spiegato tale fenomeno con la selezione naturale operata dagli uccelli (i predatori naturali delle farfalle) che avrebbero visto più facilmente e quindi eliminato le farfalle chiare il cui colore spiccava sui muri imbruniti dalla fuliggine. Il colore chiaro rappresentava un fattore negativo di fitness (capacità in un dato ambiente di generare progenie a sua volta fertile) ma non negativo in senso assoluto. Prima dell'era industriale il colore chiaro era favorito in quanto meglio si adattava al "colore" dell'ambiente circostante. Dopo la drastica diminuzione delle emissioni carbonifere avvenuta negli ultimi 30 anni la pressione selettiva che favoriva il fenotipo scuro è diminuita e le farfalle chiare hanno riacquistato l'antico vantaggio. Le farfalle scure sono sempre esistite nell'ambito di una popolazione "chiara" sebbene con bassa frequenza (mutazioni spontanee). Darwin non aveva ovviamente idea di cosa fosse il DNA e delle basi cellulari e molecolari della trasmissione ereditaria; tuttavia aveva compreso che gli organismi più adatti all'ambiente erano quelli che la selezione naturale "favoriva".

Se fosse stato vivo, Lamarck avrebbe invece sostenuto che era stato l'ambiente a determinare il cambiamento e che l'organismo "tende a cambiare per adattarsi". Il suo motto era "la funzione [necessaria] crea l'organo [necessario]".
Fino a pochi anni fa il darwinismo, sebbene aggiornato alle conoscenze attuali, aveva relegato il più vecchio lamarckismo negli scaffali impolverati delle teorie antiquate; veniva talvolta riesumata nei corsi base di genetica e approfondita solo da chi si interessava alla storia della scienza.
La genetica classica ben si adattava al concetto di selezione anche se alcuni aspetti sfuggivano. Più difficile sarebbe stato spiegare come l'ambiente potesse modificare l'espressione genica e favorire l'emergere di un carattere piuttosto di un altro. Ovviamente tranne nei casi in cui l'ambiente coincide con sostanze mutagene.
Il problema principale era capire come mai pur avendo in comune lo stesso identico patrimonio genetico le cellule di un organismo potessero assumere forme e funzioni così diverse. Si potrebbe ipotizzare che tutto è previsto nel codice (molto complesso) oppure in modo più semplice si potrebbe pensare che sia l'ambiente (anche solo il contatto fra cellule diverse) a fornire i segnali che guidano lo sviluppo. E si sa, la Natura ottiene la massima complessità con il minimo lavoro possibile.

Come potrebbe del resto una cellula capire che strada differenziativa intrapprendere se non ci fossero degli "indicatori stradali" a ricordare "dove andare" data la sua posizione?

Sappiamo bene che già nell'oocita fecondato e nelle primissime fasi di divisione embrionale esistono gradienti di sostanze, quali i fattori di crescita, che condizionano l'attività delle cellule che si troveranno in quella regione. Durante tutto lo sviluppo embrionale ma anche nell'organismo adulto una cellula funziona "correttamente" in quanto si trova in un ambiente che favorisce il corretto differenziamento: in una data posizione si trova un neurone e non una cellula della glia o un adipocita o altro. Il differenziamento a sua volta deriva dall'attivazione specifica di gruppi specifici di geni e/o dallo spegnimento forzato di altri.
L'ambiente quindi condiziona l'espressione genica non sostituendosi ad essa ma "modulando" il substrato genetico.  
Non si avrà allora, come avrebbe pensato Lamarck, una risposta univoca ma una risposta condizionata dalla genetica dell'organismo.
L'ambiente nel senso più ampio del termine (aria, cibo, luogo di vita, stimoli, stress, etc) trasferisce all'organismo un qualche stimolo a cui le cellule rispondono cercando di mantenere al meglio la propria funzionalità.
A tale proposito consiglio la lettura degli oramai classici articoli su folati e metilazione (qui) e sulle conseguenze dopo decenni dei soggetti nati durante la carestia olandese del '44 (qui e qui
Per mantenere l'omeostasi le cellule regolano le vie metaboliche, a diversi livelli: genico (a monte, quindi direttamente sui geni che codificano la proteina target) o proteico (agendo sulla velocità di eliminazione di proteine non più necessarie). A seconda delle casi la regolazione potrà essere specifica (uno/pochi geni) oppure ad ampio raggio. Nel primo caso l'intervento sarà mirato (ad esempio la produzione/spegnimento di una proteina), nel secondo riguarderà ampie regioni del genoma (ad esempio lo spegnimento in toto nelle femmime di mammifero di uno dei due cromosomi X).La regolazione ad ampio raggio è particolarmente interessante in quanto permette di comprendere come un fattore ambientale possa condizionare l'espressione non solo della cellula ma anche della sua progenie.
Esistono molti studi scientifici che si sono focalizzati sui gemelli monozigotici come strumento ideale per cercare di distinguere la componente ambientale da quella genica. Si tratta principalmente di studi retrospettivi finalizzati a comprendere ad esempio perchè uno solo dei gemelli abbia contratto una malattia in cui la componente genetica non è irrilevante. Fra questi studi ricordo gli studi sulla leucemia nei bambini. Le forme tumorali che compaiono nei bambini sono generalmente riferite a mutazioni trasmesse dai genitori (anche se presenti solo in alcune cellule germinali) e/o comparse nelle primissime divisioni cellulari dopo la fecondazione. Questo pechè un tumore necessita di un certo numero di mutazioni per svilupparsi e la comparsa di tali mutazioni anche negli individui predisposti ha bisogno di un certo numero di divisioni cellulari.
Dalla comparazione del DNA dei gemelli non furono trovate differenze riconducibili a mutazioni che data la giovane età avrebbero dovuto comparire in utero subito dopo la scissione dello zigote nei due individui; la mutazione "base" avrebbe dovuto essere presente non solo nelle cellule tumorali ma soprattutto nelle cellule sane di alcuni distretti corporei. Ancora più interessante, anche in quei gemelli che condividevano una mutazione predisponente solo uno dei due si ammalava (o meglio acquisiva le mutazioni necessarie affinchè la malattia comparisse).
Questo fenomeno si spiegava con un evento ambientale che, agendo stocasticamente su un substrato genetico predisposto (cioè con mutazioni facilitanti altre mutazioni o deregolanti i sistemi di controllo interno), avesse indotto uno stato facilitante la comparsa di nuove mutazioni.
In altre parole la presenza di una mutazione può essere predisponente ma non sufficiente per una malattia. Se tuttavia a questa si somma una infezione virale (o altri fattori di stress) la probabilità che lo stato infiammatorio cronico indotto provochi nuove mutazioni è basso ma reale. Due genomi identici immagazzinano in pochi anni delle "impronte" epigenetiche legate alla azione dell'ambiente esterno. In alcuni casi tali impronte si fissano geneticamente.
La domanda era allora come ciò avvenisse e come tale modificazione generasse conseguenze a lungo termine.

Anche qui ci sarebbero capitoli di libri da scrivere sui meccanismi epigenetici. Ricordiamo solo quanto scritto prima: sono meccanismi regolatori reversibili che modificando in vario modo il DNA (e le proteine ad esso associate) rende una data regione più o meno disponibile ad essere "letta".
Solo avendo queste considerazioni in testa si potrà comprendere per quale motivo stress traumatici, agenti inquinanti, l'assunzione di droghe ed alcol (etc) siano in grado di condizionare l'espressione genica sul lungo periodo. In parte di questo ne ho accennato quando ho parlato degli stress post-traumatici (qui) e altri ne vedremo in post futuri.
Ma adesso basta con il pistolotto preparatorio. Nel prossimo post vedremo come le modificazioni genomiche in api e formiche siano alla base della loro struttura sociale.

(CONTINUA parte/2-il genoma e le api)

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