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Il virus del Nilo occidentale: una minaccia sottovalutata?

In un mondo in cui le barriere geografiche sono quasi simboliche, lo spostamento di persone e cose si associa alla diffusione di ... elementi indesiderati.
Anche non considerando i casi in cui tali elementi sono stati importati consapevolmente (i conigli in Australia, le nutrie in nord Italia, lo scoiattolo americano in Europa, etc) con conseguenze importanti sull'ecosistema locale, molti di più sono i casi in cui l'elemento (sia esso animale, vegetale o microbico) ha semplicemente viaggiato da clandestino.
In quest'ultima casistica potremmo includere esempi vari che spaziano dagli insetti parassiti delle piante (fra cui quello cinese che sta infestando i nostri castagni) a virus e microbi in genere (la SARS è l'esempio più conosciuto). In alcuni casi la migrazione è avvenuta all'interno dello stesso paese (vedi il post sull'epidemia virale originatasi nel parco di Yosemite in USA) sempre grazie all'effetto amplificante del turismo di massa.
Mentre alcuni paesi (vedi USA e Australia) attuano pesanti limitazioni all'entrata di materiale di origine biologica (dai semi al semplice panino al prosciutto... provare per credere) i paesi europei non possono sia per ragioni geografiche che culturali (il lassismo mediterraneo) applicare politiche di contenimento.
Ovviamente tali flussi sono sempre avvenuti solo che ora le barriere naturali che hanno contenuto la diffusione di virus come Ebola in zone molto limitate e remote del continente africano (a causa del decorso rapido e spesso letale), non sono più invalicabili. Per una serie di sfortunate coincidenze un virus del genere potrebbe essere, e senza che questo fatto sia associato ad un intento criminale, catapultato in una qualunque delle maggiori città europee in meno di 24 ore.
Alcuni virus e batteri hanno da tempo iniziato questo cammino. Si tratta principalmente di organismi che sono o inerti nell'uomo o hanno un decorso/sintomatologia non importante o molto lenta. Alcuni esempi: il virus influenzale della SARS; il batterio che ha riesumato un problema estinto in Europa, la tubercolosi; la Dengue e il Virus del Nilo occidentale (WNV) di cui scrivo oggi.

Il WNV rientra nel genere dei Flavivirus a loro volta parte della famiglia Flaviviradae. Di questa famiglia fanno parte anche i generi responsabili della Febbre Gialla e del Dengue, quello dell'epatite C (ma anche il meno noto HPgV) e altri virus che infettano alcuni animali di allevamento ma non l'essere umano.
Il WNV è stato identificato la prima volta, come dice il nome, in una regione compresa fra l'occidente del Nilo e la parte orientale dell'Uganda. In Italia la casistica dell'infezione da WNV è sempre stata trascurabile nell'uomo con solo alcuni picchi di infezioni equine. Al contrario altre aree geografiche, escludendo quelle in cui il virus è endemico, hanno registrato un incremento di casi allarmante.

L'infezione avviene attraverso la puntura  di di zanzare infette (per avere in precedenza pasteggiato con sangue di un uccello). Se nella maggior parte dei casi il ciclo infettivo rimane delimitato agli uccelli, anche gli esseri umani e altri mammiferi con cui conviviamo (cani, gatti e cavalli) sono potenziali bersagli. Nel caso umano poi la trasmissione virale può avvenire anche tramite trasfusione di sangue o trapianto di organi da una persona infetta. Nella maggior parte dei casi gli esseri umani rimangono asintomatici, ma circa nel 20% dei casi compare la cosiddetta "febbre del Nilo occidentale" caratterizzata da febbre, mal di testa, dolori muscolari, nausea, eruzioni cutanee, tutti sintomi che possono protrarsi per settimane. In poco meno del 1 % dei casi la malattia assume connotati più seri con la comparsa di effetti neurologici permanenti come debolezza muscolare, perdita della vista e perfino coma.
Non esiste un trattamento specifico per la malattia da WNV.
La diagnosi di infezione WNV è fatta direttamente rilevando la presenza di proteine del virus (test ELISA) o materiale genetico (test PCR) nel sangue o nel liquido cerebrospinale.
In alternativa la diagnosi indiretta è fatta con la rilevazione di anticorpi anti-WNV; tale test è possibile solo a distanza di settimane dall'avvenuta infezione.
Come si trasmette il virus (®EPA)
Il 2012 verrà infatti ricordato come il peggiore per gli USA da quando è iniziato il monitoraggio in uomo delle  infezioni da WNS. All'inizio di settembre i casi registrati erano superiori a 2600, di cui 118 ad esito mortale (dati del Centers for Disease Control and Prevention - CDC - di Atlanta).
Il WNV, come del resto la Dengue ed altre, è trasmessa dalle zanzare con un passaggio attraverso gli uccelli. I sintomi della malattia sono estremamente variabili e spaziano da un decorso tranquillo e senza alcuna manifestazione fino a infiammazioni cerebrali che lasciano i sopravvissuti con disabilità di entità variabile ma spesso permanenti: fra queste la paralisi o l'affaticamento cronico.

Un dubbio però è da poco emerso: gli individui infettati e guariti sono veramente sani?
L'ipotesi sollevata è che l'infezione possa compromettere in una certa percentuale di casi la funzionalità renale di lungo periodo. Un problema il cui impatto socio-economico potrebbe, se l'infezione prendesse piede, essere simile a quello dei pazienti cronicamente infettati dal virus dell'epatite.
"Siamo solo all'inizio del nostro lavoro, e questo mi preoccupa" afferma Kristy Murray una epidemiologa del Baylor College of Medicine a Houston, artefice della scoperta del legame fra infezione e funzionalità renale (pubblicato su PLoS One - link) . 
Racconta la Murray che tale l'ipotesi venne dalla identificazione, in 5 pazienti su 25 sopravvissuti, di RNA virale nelle urine; un dato che suggeriva la presenza stabile del virus nel rene di quei soggetti. Da quel momento i pazienti vennero monitorati per la comparsa di proteinuria (proteine in eccesso nelle urine), un indicatore di problemi renali. Lo studio iniziato nel 2003 e pubblicato a luglio riporta che dei 139 pazienti analizzati, sopravvissuti all'infezione del 2003, circa il 40% mostrava i segni di una malattia renale.

Una scoperta che è bene dirlo non è ancora totalmente accettata dalla comunità scientifica.
Come afferma Lyle Peterson del CDC, lo studio di Murray manca infatti del gruppo di controllo (una trascuratezza imperdonabile a mio avviso) e inoltre un gruppo di soggetti simili studiati in Colorado non mostra tracce di RNA virale nelle urine (vedi J. Infectious Disease). Una assenza confermata anche da Michael Busch direttore del  Blood Systems Research Institute a San Francisco.
A queste obiezioni Murray risponde che l'analisi del RNA non è banale (confermo!) e che i campioni da lei inviati ad un laboratorio indipendente perché fossero testati secondo un protocollo definito, si sono confermati positivi al RNA virale.
(®SGO/BSIP/CORBIS)
A tagliare la testa al toro potrebbe servire una immagine al microscopio elettronico (ancora non pubblicata ma resa disponibile, vedi qui a destra) in cui si evidenziano particelle sferoidali molto simili a quelle virali, presenti nell'urina.

E' importante sottolineare che tutte le persone coinvolte concordano sul fatto che non si tratta di una diatriba personale ma di verifiche necessarie prima di attivare tutta la serie di contromisure (estremamente costose) richieste qualora venisse accertato che il WNV può indurre una malattia cronica. 
Soprattutto perché al momento non esiste alcuna terapia farmacologica per contrastare tale infezione.



Letture utili 
- Persistent infection with West Nile virus years after initial infection
Murray, K. et al. J. Infect. Dis. 201, 2–4 (2010), link




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