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I topi avatar e la terapia antitumorale

La ricercatrice Megan Sykes ha fatto un passo in più nell'ambito di una tecnologia da anni in uso neila ricerca biomedica: ha prodotto un topo dotato di un sistema immunitario umano - il suo. Da qui il soprannome dato al topo dalla Sykes "piccolo-me" o anche avatar.
Ecco vedo gia' le orde di animalisti insorgere sulla inutilita' di questi lavori. Sedetevi e capiamo insieme perche' in tutti questi anni si sia lavorato duramente per ottenere risultati simili.
Anzi no diciamolo subito. I motivi sono due e sono strettamente interconnesi fra loro:
  • al momento non esiste nessuna possibilita' di prescindere dagli animali per sviluppare modelli di malattia su cui sperimentare i farmaci; 
  • il vero limite sta nelle problematiche connesse alle differenze fisiologiche che spesso impediscono di avere dei modelli perfetti. A tale scopo si fa sempre piu' ricorso ad animali modificati geneticamente. Come sarebbe possibile altrimenti riprodurre malattie che nell'uomo sono una conseguenza del processo di invecchiamento pluridecennale?
Creare un topo con un sistema immunitario umano ha quindi una utilità multipla:
  • trasferire il substrato cellulare specifico del malato (ad es. con leucemia) in un animale in modo da sviluppare farmaci assolutamente calibrati;  
  • sviluppare farmaci anticorpali con effetti collaterali al minimo (vedi tutte le problematiche connesse al riconoscimento del self e non-self da parte del sistema immunitario).

Bene.
Con una procedura equivalente possono essere creati, oramai in modo quasi routinario topi portatori dello stesso tumore (un avatar quindi, o usando termini tecnici modelli murini ortotopici) che cresce in un dato paziente in modo da sviluppare terapie mirate. I ricercatori possono così testare diversi farmaci sui topi avatar, con la speranza di trovare un trattamento ottimale. Questo approccio mirato esemplifica la medicina del futuro, la medicina personalizzata, a sua volta figlia della farmacogenomica (farmaci unici cosi' come ogni paziente e' unico)
Come afferma al New York Times Colin Collins, professore alla University of British Columbia "questo metodo permette di testare nuovi farmaci senza che i pazienti sperimentino gli effetti tossici".
I topi così modificati, o avatar, sono in sviluppo da decenni ed ancora si lavora per cercare di migliorarne l'affidabilità. Gli esperti avvertono che non è stato dimostrato che l'uso di avatar prolungherà la vita dei malati di cancro; si tratta inoltre di esperimenti costosi e ancora non rimborsabili (fattore questo fondamentale negli USA).
Tuttavia è un approccio su cui sicuramente si vuole, se in mente si ha il progresso medico-scientifico, continuare ad investire. Una volontà non solo dei ricercatori ma soprattutto dei malati.
Facciamo un esempio concreto.
Un bambino di 9 anni Michael Feeney. che da anni lotta contro il sarcoma di Ewing ha dovuto essere operato al polmone per rimuovere un tumore li localizzato.
Michael Feeney e sua mamma (®NYT)
A questo scopo lo scorso febbraio a New York mentre era in corso l'intervento chirurgico finalizzato alla rimozione del tumore, in attesa fuori dalla sala operatoria c'era un corriere pronto per portare il campione alla Champions Oncology una biotech specializzata. Quattro ore più tardi, i tecnici erano già all'opera: il tumore sezionato in cinque pezzi venne posizionato sottocute in altrettanti topi anestetizzati (procedura classica per la propagazione in animali con sistema immunitario deficitario). Due mesi più tardi, dopo che la massa tumorale era cresciuta, i tumori vennero prelevati, sezionati e ricollocati sottocute in altri topi. Un mese dopo era disponibile materiale sufficiente per iniziare gli esperimenti.
La famiglia di Michael ha pagato 25.000 $ per la creazione degli avatar e la sperimentazione di quattro diversi farmaci o combinazioni di farmaci. I risultati sono arrivati ​​a luglio. Una combinazione di quattro farmaci - gemcitabina, docetaxel, Avastin e Afinitor - è risultata "fortemente attiva" nel ridurre il tumore nei topi. Una combinazione di farmaci che NON sarebbe stata scelta usando le procedure classiche che impongono di usare (a ragione) farmaci testati e funzionanti, anche parzialmente, in un campione statisticamente significativo di pazienti. La medicina personalizzata amplia le possibilità.
Ovviamente nel frattempo Michael non e' stato lasciato in balia della malattia o in attesa di una cura personalizzata all'epoca solo teorica. Sta partecipando insieme ad altri pazienti ad una sperimentazione clinica di un farmaco. A differenza degli altri pazienti tuttavia, qualora la sperimentazione non dovesse dare risultati positivi, avrebbe una possibilità in più. La possibilità fornita dai risultati sui topi.
Come dice la madre di Michael sempre al NYT "A noi è sembrato giusto. Cerchiamo di fermare la crescita del tumore agendo sullo stesso tumore ma in topo. Così mio figlio affronterà solo quelle terapie testate e funzionanti per le sue cellule". 

Questa metodica quindi potrebbe ovviare ad i limiti intrinseci dei farmaci antitumorali sviluppati nei topi. Diversi studi infatti suggeriscono che i tumori appena estratti da pazienti e trasferiti in topo riproducono la malattia più fedelmente di cellule tumorali cresciute in laboratorio.
Il problema vero di questi esperimenti e' che spesso i pazienti non hanno i 4 mesi necessari affinche' i tumori possano essere propagati nei topi e le diverse combinazioni di farmaci testate.
Ronnie Morris, presidente della Champions, afferma che l'azienda ha fino ad ora preso in carico circa 160 pazienti ed ha testato farmaci su topi per 60 di loro. Gli altri 100 sono deceduti nel periodo di tempo intercorso o perche' il tumore non era cresciuto nei topi. Un problema quasi irrisolvibile purtroppo. Quando un paziente ha una aspettativa di vita così bassa le possibilità di azione sono estremamente limitate.

Approcci di questo tipo non sono limitati alle malattie oncologiche:
  • Megan Sykes (Columbia University e Massachusetts General Hospital) ha replicato in topo il sistema immunitario di un individuo utilizzando un campione di midollo osseo. L'obiettivo immediato è quello di studiare come il diabete di tipo 1, una malattia autoimmune, si sviluppa. " In futuro" afferma Sykes "questi topi immuni personalizzati potrebbero produrre cellule del sistema immunitario che potrebbero essere trapiantate nel paziente per aiutare a combattere le malattie"
  • Alla Washington University di St. Louis, Jeffrey Gordon ha effettuato un trapianto di batteri dall'intestino di una persona ad un topo. I topi così ottenuti, dotati di una flora intestinale umanizzata, potrebbe essere usati per studiare, ad esempio, come un cambiamento nella dieta influenzi la salute della persona.


Come dice la madre di Michael "Io non ho mai amato i topi. Ma se Michael verrà salvato da un trattamento risultante da esperimenti sul suo avatar murino, li amero' per sempre"

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Le citazioni dei medici sono state prese dall'eccellente articolo di Andrew Pollack sul New York Times del 26 settembre.


Una galassia lontana lontana nel tempo

Eh si. Oggi parliamo di una galassia lontana poco piu' di 13 miliardi di anni luce. Una enormità. Per rendere l'idea parliamo di una "istantanea" pervenuta a noi da un passato così lontano che è riconducibile a quando l'universo aveva "solo" 490 milioni di anni. Usando il classico paragone dell'orologio se i 13 miliardi di anni fossero una giornata di 24 ore noi saremmo alle 24:00:00 mentre questa immagine sarebbe stata scattata alle 00:54:27sec.
L'articolo con immagine dal passato, ottenuta nell'ambito del progetto "Cluster lensing and supernova survey with Hubble" (CLASH - qui il sito del progetto) è apparsa su Nature qualche giorno fa. L'articolo vede fra gli autori alcuni astronomi italiani degli osservatori di Bologna e di Trieste. Vediamone i dettagli.
L'osservazione della galassia ottenuta con i telescopi spaziali Hubble e Spitzer, e' stata possibile grazie al fenomeno della lente gravitazionale forte. In termini molto semplificati, i fotoni originati da galassie lontane vengono deviati dal campo gravitazionale di strutture cosmiche intermedie rispetto a noi (in questo caso l'ammasso galattico Macs 1149+2223) dando luogo ad un effetto "lente di ingrandimento". Questo effetto, predetto dalla teoria della Relativita' e' in grado di amplificare  di circa 15 volte la luce altrimenti debolissima. Un valore sufficiente perche' sia rilevata dai telescopi spaziali.
In basso a destra l'immagine della galassia lontano nel tempo (®NASA/ESA/STScI/JHU)

Una osservazione importante per gli astronomi che permetterà' loro di guardare all'universo nelle prime fasi dopo il big bang.

La scoperta fornirà nuove informazioni sulle prime fasi evolutive dell’Universo, un periodo da alcuni denominato Cosmic Dark Age. Un nome questo, oltre che suggestivo, pertinente essendo il cosmo in quel periodo immerso in nubi idrogeno neutro, in grado di assorbire ogni radiazione luminosa.

Se vi siete chiesti come sia possibile per noi vedere oggetti del nostro universo, formatisi con il Big Bang (13.8 miliardi di anni fa) e che distano da noi 46 miliardi di anni luce senza infrangere la legge dell'impossibilità di superare la velocità della luce ... vi rimando ad un ottimo articolo tematico su reccom.org. La risposta "breve" è che non la distanza è "viziata" dall'espansione fisica dell'universo per cui non serve viaggiare più veloci della luce.


Link utili
- Articoli di Nature sull'argomento: aprile 2012; settembre 2012

- Spitzer Space Telescope Project, qui  

- Post precedente sul telescopio Spitzer, qui

- Immagini successive sull'argomento ottenute con Hubble, qui

Tè con latte? Meglio di no

E' domenica pomeriggio. Affrontiamo quindi un tema leggero, che ben si lega alla pausa per il di mezzo pomeriggio.
Dal momento in cui il tè sbarcò in Inghilterra una domanda cominciò ad insinuarsi nei salotti di ogni strato sociale: zucchero o latte (il limone per ovvi motivi logistici è meno radicato che da noi)?
Una domanda innocua e legata ad i gusti personali, tuttavia ... con conseguenze dirette sulla qualità della bevanda assunta.
Andiamo con ordine.
Milk or sugar ?
Accanto all'acqua, il tè è la bevanda più consumata nel mondo. Pieno zeppo di antiossidanti, vitamine e altri composti, il tè è da tempo correlato positivamente sia con una migliore funzione immunitaria che con un ridotto stress ossidativo cellulare. Un dato confermato da diversi studi e su cui ritornerò in futuro per sottolineare alcune differenze importanti fra il tè verde e quello nero.
Oltre al tè anche il cacao ed il caffè possiedono effetti positivi simili (vedi European Journal of International Medicine).
Tornando agli effetti positivi associati all'assunzione del tè ne possiamo annoverare altri quali la prevenzione della carie, il miglioramento dei livelli di zucchero ematici e chiari benefici cardiovascolari.

Qualche tempo fa alcuni ricercatori tedeschi dimostrarono (vedi The European Heart Journal) che l'aggiunta di latte priva il tè di alcuni dei suoi effetti benefici. Nello studio furono analizzati 16 adulti sani a cui venne dato da bere tè nero (il tipo di tè più comune), tè nero con una piccola quantità di latte scremato o acqua calda come controllo. Successivamente i soggetti vennero analizzati per la funzionalità cardiovascolare utilizzando diversi marcatori standard fra cui la pressione arteriosa.
Mentre il tè nero mostrava un significativo miglioramento della funzione vascolare, l'aggiunta di latte eliminava completamente gli effetti benefici del tè. Risultati simili condotti nei topi hanno di fatto confermato tali osservazioni.
La spiegazione più probabile è che le proteine del latte neutralizzino le molecole antiossidanti naturalmente presenti nel tè. Una caratteristica questa non limitata alle proteine presenti nei prodotti caseari. Si è infatti dimostrato che anche il latte di soia (quindi le sue proteine) annullano le proprietà antiossidanti del tè.
Dati analoghi sulla interazione fra latte e tè verde sono stati pubblicati quest'anno su European Journal of Nutrition.

Conclusione
Se vi piace il tè con il latte bevetene pure a sazietà. Male non farà (ma su questo ne discuterò in futuro... meglio il tè verde). Tuttavia i benefici effetti degli antiossidanti presenti nel tè saranno sostanzialmente persi.


p.s.
Critica al lavoro pubblicato: il numero di soggetti testati nello studio tedesco avrebbe dovuto essere maggiore.

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Sulle proprietà del tè verde vedi anche qui o sul sito del NIH.

La missione GRAIL e la gravità lunare

Una sbirciatina ai primi risultati della missione GRAIL (Gravity Recovery And Interior Laboratory) della NASA, iniziata nel 2011 con l'invio delle due sonde, Ebb e Flow, in orbita lunare.
A precision formation-flying technique, the twin GRAIL spacecraft.
I due satelliti della missione
Scopo della missione, misurare il campo gravitazionale della Luna e correlare i dati alle caratteristiche geologiche del satellite.

Tre i risultati al momento ottenuti.
  1. La crosta della Luna è più sottile di quanto fino ad ora ipotizzato. Le prime stime, iniziate con le rilevazioni sismologiche ottenute grazie a strumenti posizionati sulla Luna dalle prime missioni Apollo, indicavano uno spessore di circa 60 chilometri, valore abbassato successivamente a circa 45 chilometri. Ora, i dati della missione Graal suggeriscono che lo spessore medio della crosta è di soli 30 chilometri. Conoscere lo spessore della crosta lunare è importante in  quanto fornisce informazioni sui processi che hanno portato alla formazione del nostro satellite.
  2. Esiste una stretta correlazione tra le variazioni del campo gravitazionale della Luna e la topografia lunare. In estrema sintesi le variazioni del campo gravitazionale lunare sono associate alla presenza di grossi (e profondi) crateri più che alla composizione interna.
  3. Non si è avuta conferma sulla esistenza di crateri estremamente vecchi, importanti per correlare l'evoluzione lunare ad i grossi impatti meteoritici. Un approccio considerato fino ad ora valido anche nello studio di altri pianeti, o planetoidi, del sistema solare.

Sotto un video della NASA riferito alle fasi iniziali della missione.

Articolo di riferimento su Nature.
Link al sito ufficiale, qui.
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Per altre notizie di Astronomia, seleziona il tag o clicca qui.

Definito il valore esatto di 1 UA ... finalmente!

Senza squilli di trombe o rullar di tamburi nei giorni è stato ridefinito uno dei parametri più importanti nell'ambito delle misure astronomiche, l'Unità astronomica (UA).
Un esempio dell'utilizzo della misurazione in UA

L'unità di misuta UA corrisponde alla distanza fra Terra e Sole era stato fino ad ora numericamente mal definito. Nel senso che il concetto chiaro di distanza fra i due corpi celesti mal si conciliava con le caratteristiche orbitali. E' abbastanza ovvio che in un orbita ellittica la distanza fra i due corpi vari a seconda del momento in cui tale distanza viene misurata. Un problema molto serio quando queste variabili entrano a far parte dei calcoli degli astronomi.
 Ora, grazie all'accordo sui nuovi standard, si è deciso ufficialmente che 1 UA corrisponde a 149.597.870.700 metri, non un metro di più, non un metro di meno.
Certo, per noi comuni terrestri nulla cambierà ma per quella particolare specie terrestre che va sotto il nome di "astronomi" questo fatto significherà calcoli più rapidi e meno mal di testa.
Le problematiche incontrate (ed alcune nozioni storiche) nella definizione di questa misura sono ampiamente discussi nell'articolo di Nature, qui

Ebola. Un miope taglio ad i finanziamenti.

Un nuovo focolaio di infezione del virus Ebola (e 31 vittime accertate) nelle zone al confine fra Uganda e Congo ha risollevato il problema della assenza di farmaci idonei a contenere la diffusione della malattia. Un problema discusso lontano dai riflettori dei media, impegnati come sono a seguire diatribe politche, gossip ed eventi sportivi.
®UN
La malattia emorragica associata al virus Ebola ha un unico "limite": a causa di una serie di caratteristiche geografiche e biologiche i focolai di infezione sono delimitati al cosiddetto punto zero, la zona in cui si verifica la prima infezione. Caratteristiche riassumibili nei seguenti punti:
  • densità di popolazione minima.
  • decorso della malattia rapido e ad alta letalità
  • assenza di portatori sani. Attenzione, questo non vuol dire individui sopravvissuti all'infezione ma "diffusori sani di virus". I soggetti sopravvissuti hanno "sconfitto" il virus.
L'insieme di questi punti ha impedito la diffusione della malattia al di la dei singoli villaggi. Una epidemia che tuttavia sporadicamente ricompare. Un dato questo che suggerisce l'esistenza di un ospite naturale del virus, ad esso meglio adattato, che casualmente (a causa di contatti interspecie saltuari) trasmette il virus all'essere umano. Non abbiamo prove certe su quale sia il serbatoio naturale del virus, anche se alcuni ritengono possa trattarsi di alcune specie di pipistrelli africani.
Un inciso per chiarire il significato di "meglio adattato": il virus migliore (quello cioè che potrà propagarsi meglio) è un virus che non porta alla morte dell'ospite (tantomeno in tempi brevi). Morto l'ospite, nessuna possibilità di replicazione per il virus. D'altra parte una costante esposizione a patogeni letali seleziona gli individui geneticamente più resistenti, in grado di "cronicizzare" una infezione altrimenti incontrollata. Il risultato sarà una diffusione massiccia del virus ed una morbilità ridotta. Particolarmente interessanti sono a riguardo una serie di studi condotti sulla popolazione europea autoctona, quindi discendente dai sopravvissuti alle devastanti e ripetute epidemie di peste negli ultimi 800 anni, che mostra chiaramente le tracce genetiche di questo percorso selettivo.

Ma cosa succederebbe se tale focolaio si espandesse a causa della diffusione in una zona maggiormente popolata (vedi le ultime news a riguardo, Reuters e WHO) o peggio per la comparsa di ceppi virali a decorso relativamente più lento ma ugualmente letale? Questi problemi sono da tempo sotto analisi da parte del Dipartimento della Difesa Americano (DoD) il quale ha finanziato molte ricerche volte a trovare un vaccino o meglio ancora un inibitore virale di pronto utilizzo. Un trattamento da usarsi sia in caso di epidemie naturali che in conseguenza di azioni terroristiche.
Ha suscitato quindi qualche perplessità la decisione del DoD di non confermare, causa tagli al budget federale, i finanziamenti a due biotech (la canadese Tekmira e la americana Sarepta) impegnate nella ricerca di farmaci iniettabili in grado di interferire con la replicazione virale (Nature).
Una decisione che ha creato perplessità.
  • Tekmira è nel mezzo della fase 1 (safety) volta a testare l'assenza di effetti collaterali su soggetti sani del suo inibitore basato su siRNA.
  • Sarepta dovrebbe iniziare a breve lo stesso test su un farmaco in grado di bloccare una proteina virale, vp24, necessaria per la replicazione virale.
In entrambi i casi i test sono necessari per passare alla fase successiva, quella del test su animali. Una procedura che prevede di saltare completamente la sperimentazione su uomo (la 'animal rule' della FDA) in tutti quei casi in cui la sperimentazione su uomo sia non-etica o non fattibile
Tekmira ha già svolto test preliminari sui macachi dimostrando protezione a dosi altrimenti letali di uno dei ceppo di Ebola più virulenti (identificato in Zaire), un ceppo che causa il 90% di mortalità in uomo.
®Centers for Disease Control and Prevention (http://www.cdc.gov/)
Dal momento della scoperta del virus nel 1976 Ebola ha ucciso circa 1600 persone (qualcuna anche in un laboratorio tedesco in cui veniva studiato--> vedi Marburg virus). Un numero chiaramente irrilevante se rapportato al numero di decessi annuali per l'Influenza, ma impressionante se si considera la percentuale di decessi sul numero di infettati.

Il DoD afferma che la decisione non è un taglio tout-court ma una scelta finalizzata a valutare separatamente ciascuna azienda, e quindi ad allocare meglio risorse scarse.
Si spera quindi che il DoD aggiri i limiti di budget ed investa su un problema potenziale globale.

Forse non è superfluo osservare che dobbiamo sperare che DoD intervenga visto che da noi il concetto di investire in anticipo sulla ricerca è un concetto ben lungi dall'essere compreso...

Notizie dal mondo Pharma (agosto 2012)

Alcune notizie dal mondo pharma. Notizie, per ovvi motivi di spazio e di interesse generale, limitate alle fasi avanzate del processo di approvazione del farmaco (dalla fase III in avanti) per il mercato americano ed europeo.

Actelion Ltd. avvisa che il farmaco sperimentale Macitentan non mostra segni di efficacia per il tumore del polmone. 120 su 700 pazienti trattati sono morti a causa delle complicanze della malattia legate ad ipertensione dell'arteria polmonare. Bisognerà aspettare i risultati dello studio in doppio cieco randomizzato per vedere se vi siano stati dei minimi benefici nella curva di mortalità. 
Una precisazione per i non addetti ad i lavori. L'elevata mortalità in certe patologie è attesa in quanto o i pazienti sono in fase terminale o non esistono farmaci/trattamenti per rallentare la malattia. Le procedure di sicurezza costantemente applicate servono per essere sicuri che il farmaco sperimentale non peggiori la situazione rispetto ad i controlli non trattati con in farmaco sperimentale. I 120 morti osservati quindi rientrano nella frequenza attesa (in caso contrario il trattamento verrebbe bloccato attraverso la cosiddetta procedura ad interim). 
Altra considerazione importante riguarda il trattamento standard: i pazienti trattati con un farmaco sperimentale (doppio cieco, random) lo ricevono in aggiunta al trattamento migliore disponibile (farmacologico/chirurgico) o ad una una cura palliativa qualora non vi sia altro trattamento efficace. Questo il razionale per cui se il farmaco funziona ci si aspetta un miglioramento nella curva di malattia e/o di sopravvivenza e mai un peggioramento.

Medivation Inc. annuncia risultati positivi (tolleranza ed efficacia) per il farmaco MDV3100 contro il tumore della prostata, testato su pazienti precedentemente trattati con chemioterapia.

Takeda Pharmaceutical Co. Ltd. afferma di avere raggiunto gli obiettivi attesi per la fase III del farmaco Vedolizumab da usarsi nella sindrome del colon irritabile in pazienti refrattari ad altri trattamenti.

La FDA ha approvato la KALYDECOTM (ivacaftor) della Vertex Pharmaceuticals in quanto ha fornito risultati convincenti nel trattamento sintomatico della fibrosi cistica. Potrà essere fornito a pazienti di età superiore ad i 6 anni (indice questo di farmaco molto sicuro) purchè portatori di una specifica mutazione nel gene responsabile della malattia.

La FDA ha approvato l'utilizzo di Erivedge (Vismodegib) in capsule della Genentech, la prima medicina disponibile per pazienti con carcinoma basale avanzato.

La FDA ha approvato due farmaci anti-obesità. In entrambi i casi le specifiche indicano che l'utilizzo deve essere associato ad una dieta ipocalorica e a esercizio fisico.
  • Qsymia™della VIVUS Inc. è indicato sia per soggetti obesi (BMI>30) che sovrappeso (BMI>27).
  • BELVIQ della Arena Pharmaceuticals, Stesse indicazioni di cui sopra.

La Gilead Sciences ha annunciato due pillole nella lotta all'AIDS.
  • Quad. Una singola pillola giornaliera permette di unire i 4 farmaci ad oggi necessari per la terapia di mantenimento anti-AIDS. Questa pillola contiene i 4 principi attivi (elvitegravir, cobicistat, emtricitabine e tenofovir disoproxil fumarate) normalmente usati. Come spesso avviene in questi casi lo studio clinico era finalizzato a dimostrare la non-inferiorità di questa pillola rispetto al riferimento Atripla®.
  • la FDA ha approvato Truvada a scopo preventivo (purchè associato a comportamenti sessuali adeguati). Tale pillola contiene emtricitabine e tenofovir disoproxil fumarate ed è il primo farmaco disponibile per diminuire la possibilità di contrarre infezioni da HIV.

Dati preliminari per ribavirin della Gilead Sciences e Bristol-Myers Squibb mostrano una efficacia terapeutica pari all'88% nel trattamento contro l'epatite C. Una malattia molto importante per le complicanze a lungo termine.

La Baxter International ha riportato dati per cui una terapia di tipo immunitario è in grado di stabilizzare le condizioni dei pochi pazienti con Alzheimer trattati per almeno tre anni. Si spera quindi che venga iniziato al più presto uno studio clinico statisticamente idoneo per provare questi risultati preliminari.

La FDA ha approvato l'uso del Kyprolis (carfilzomib), un inibitore proteasico della Onyx Pharmaceuticals in pazienti con mieloma multiplo per i quali si siano rivelati inefficaci almeno due trattamenti standard e si sia osservata una progressione della malattia.

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Post precedente a riguardo: giugno

Terapia genica: ci siamo

Questione di giorni e nel mondo occidentale diventerà realtà il primo trattamento di terapia genica. Verso la fine di luglio infatti lo European Medicines Agency's Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) ha raccomandato alla European Medicines Agency (EMA) l'approvazione in ambito EU di un trattamento chiamato Glybera (alipogene tiparvovec), prodotto da una piccola azienda olandese (uniQure biopharma). L'uso del Glybera è raccomandato per la chylomicronemia, malattia molto rara (2 casi per milione) in cui la deficienza dell'enzima lipoproteina lipasi (vedi su OMIN e Medline) il paziente non è in grado di "processare" il proprio grasso. Unico rimedio fino ad ora, una dieta a contenuto di grassi minimo. Un rimedio, aggiungo, estremamente poco efficace visto che un alta percentuale di pazienti va incontro a pancreatiti potenzialmente letali.
In cosa consiste dunque Glybera?
E' un trattamento che mediante una serie di iniezioni intramuscolari rifornisce le cellule con il gene codificante l'enzima deficitario. Il gene è contenuto all'interno di un vettore di origine virale (AAV - adeno associated virus) che funziona particolarmente bene nelle cellule muscolari.
Il percorso che ha portato alla approvazione di questo farmaco è stato complesso vista la novità del trattamento e gli obblighi volti a tutelare i pazienti. Un aspetto particolare del trattamento, cioè la necessità di associare a queste iniezioni farmaci immunosoppressivi (per evitare una reazione anti-trattamento) aveva generato dubbi nel board regolatorio. Dubbi che avevano portato dopo due anni di obiezioni e contro-deduzioni alla non-approvazione del trattamento nel 2011. Questo blocco è stato superato inserendo una postilla al trattamento in cui si afferma che il suo commercio è possibile SOLO in presenza di situazioni critiche, il trattamento deve essere monitorato, a spese dell'azienda, ed i risultati (incluse le anomalie) devono essere prontamente trasmessi alla EMA.
Con questo obbligo, e vista la sostanziale sicurezza emersa dagli studi clinici, la EMA ha di fatto aperto la strada a nuovi farmaci "genici".

Ricordo che sebbene l'approvazione da parte dell'EMA sia vincolante per i paesi membri, ogni paese differisce nei tempi in cui tale farmaco di fatto raggiungerà il mercato: fra le problematiche più importanti vi sono quelle legate al rimborso da parte del servizio sanitario nazionale.

Glybera rappresenta l'ultimo passo in ordine di tempo di un processo iniziato negli USA nel 1986 con l'approvazione per uso clinico del OKT3, il primo anticorpo anticorpo monoclonale ad uso clinico. Come OKT3 fu l'apripista di tutta una serie di farmaci anticorpali che invasero il mercato negli anni successivi, tale è la speranza per Glybera. Una speranza tuttavia limitata dal fatto che essendo tali trattamenti pensati, per tutta una serie di validi motivi, per patologie molto rare, le probabilità di vedere un incremento esponenziale di questi trattamenti nei prossimi anni è di fatto limitata.
Limitata è vero ma presente visto che sono in fase di esecuzione tutta una serie di studi clinici che usano la terapia genica come mezzo per trattare malattie altrimenti incurabili. Glybera ha spianato la strada permettendo agli enti regolatori di implementare normative idonee alle nuove tecnologie disponibili. Una volta che la pista è aperta ed il terreno battuto (per scoprire possibili insidie nascoste), il percorso (ed i costi) di chi viene dopo sarà ragionevolmente più agevole.

(fonte EMA)

prodotti per l'igiene: quando anche le multinazionali si preoccupano

Shampoo, deodoranti, lozioni, creme, … ma quanti sono i prodotti per la cura della persona che sono parte della nostra routine? Su questo argomento ragiona Melissa Beattie-Moss (foto a lato; per l'articolo vedi qui) della University of Pennsylvania, che sottolinea come la Johnson & Johnson abbia deciso spontaneamente di rimuovere entro il 2015 dai suoi prodotti in vendita in USA, un numero cospicuo di prodotti potenzialmente (sebbene date le dosi sia improbabile) dannosi.
Come dicevo sopra questa mossa non è il risultato della pressione della opinione pubblica americana, in larga parte ignara della presenza di tali sostanze, e difficilmente attribuibile a motivazioni etiche (per carità, sicuramente presenti in molti dirigenti). Molto più probabile che si tratti di una mossa preventiva per evitare contestazioni future.
Quali sono le sostanze incriminate? Ad esempio parabeni, ftalati e formaldeide. Quest'ultima molecola, presente nello shampoo-icona della J&J (quello per bambini), è entrata sotto i riflettori delle autorità di controllo in seguito ad uno studio collaterale del National Cancer Institute, conseguente alla massiccia contaminazione dei containers forniti agli sfollati per l'uragano Katrina. Dai dati ottenuti la formaldeide venne scientificamente associata ad un aumentato rischio di tumore del sangue e linfatico, quindi inserita nella lista di monitoraggio. Da qui la decisione della J&J di rimuovere da subito eventuali elementi di contestazione.
Come affermato da Miriam Freedman, professore di chimica alla Penn State, "la formaldeide non è inserita nella lista dei componenti dello shampoo in quanto pur presente, tecnicamente non c'è. E' un prodotto di degradazione di altri ingredienti".
Difficile tuttavia dire se la presenza della formaldeide in questi prodotti possa in qualche modo causare problemi di salute. Innanzitutto dipende dalla quantità che in questo caso dipende a sua volta da un processo terzo, la degradazione. Inoltre quando si parla di tossicità diversi sono i livelli in cui può espletarsi. Una tossicità acuta è limitata nel tempo e può essere fatale (ad esempio l'avvelenamento da funghi). Al contrario una tossicità cronica può agire sul sistema  nervoso o sul sistema immunitario o su quello endocrino con una azione a breve apparentemente nulla che si palesa sul lungo periodo. Un problema questo vero per alcune tossine ma non per altre che, sotto un certo dosaggio, sono totalmente innocue (l'organismo è in grado di neutralizzarle).

La Food and Drug Administration (FDA) non è inerte e tiene sotto controllo l'industria della bellezza, una industria il cui fatturato è di circa 50 miliardi di dollari. Un controllo tuttavia nettamente meno incisivo di quello che si applica alle industrie farmaceutiche (per farmaci e/o strumenti medicali).
Con l'eccezione dei coloranti, gli ingredienti nei cosmetici non devono essere approvati dalla FDA.
Alle aziende si richiede di sottoporre volontariamente i documenti sui componenti usati. Per questo motivo nel 2011 su pressione di gruppi di tutela dei consumatori è stato preparato un documento in discussione al Congresso americano chiamato Safe Cosmetics Act, che dovrebbe portare ad una legge che abiliti la FDA a ritirare i prodotti sospetti e di imporre nuove ricerche per definire i livelli di massima esposizione consentiti.
Questa la norma che appare ora  sul sito della FDA (testo completo qui):
"FDA's legal authority over cosmetics is different from other products regulated by the agency, such as drugs, biologics, and medical devices. Cosmetic products and ingredients are not subject to FDA premarket approval authority, with the exception of color additives. However, FDA may pursue enforcement action against violative products, or against firms or individuals who violate the law." 
Normative in Ministero salute italiano ed EU: qui.


Una precisazione su un concetto che per molti purtroppo continua a non essere ovvio. Il punto NON è distinguere fra prodotti naturali e sintetici. Molti prodotti naturali sono non solo tossici acutamente ma anche cancerogeni. E viceversa, i prodotti sintetici sono generalmente meglio studiati e testati in quanto si è meno mentalmente legati al concetto di naturalità. Ad esempio la formaldeide è un prodotto che si forma sia in natura che per per sintesi chimica; i metalli come il piombo sono del tutto naturali; etc .

Quindi una rinnovata attenzione a quello che usiamo per la cura è fondamentale.

Il "pillolo" per il maschio: una nuova molecola in arrivo?

 Da un po di tempo si parla del pillolo, un neologismo per indicare la pillola contraccettiva per lui. Una soluzione ideale sia per i maschi ansiosi, che potrebbero così evitare paternità indesiderate o operazioni chirurgiche preventive (vasectomia), sia per quelle donne per le quali l'uso della pillola è sconsigliato.
 Fino ad oggi tuttavia questa soluzione è rimasta sul tappeto delle possibilità sia per motivi culturali che per mancanza di un trattamento sicuro ed affidabile.
Ma forse qualche novità all'orizzonte c'è.
Secondo quanto riportato in un lavoro pubblicato su Cell da James Bradner del Dana-Farber Cancer Institute a Boston, topi maschi trattati con la pillola divenivano completamente sterili senza alterare la libido o la funzionalità degli organi preposti. Fatto ancora più importante, la sterilità indotta, dovuta ad una riduzione del numero e della mobilità degli spermatozoi, è completamente reversibile: rimuovi il trattamento e recuperi la fertilità.

Ma l'aspetto più interessante deve ancora venire.
Come ben sa chi si occupa di scienza sperimentale la maggior parte delle scoperte viene dalla capacità dei ricercatori di comprendere eventi inattesi, e usarli, invece di nasconderli "sotto il tappeto" in quanto anomali. Uno dei motivi questo (come la scoperta del VIAGRA, della PCR, e di tanto altro) che spiega perché sia assolutamente controproducente finanziare solo quei campi della ricerca scientifica definiti come ricerca "applicata".
Perché questo pistolotto introduttivo? Semplice. La molecola ora sotto esame è un inibitore della proteina BRD4 ed il suo utilizzo era stato pensato per tutte altre finalità, cioè come anti-tumorale. Durante lo studio si scoprì che tale inibitore interagiva inaspettatamente con una proteina espressa principalmente nei testicoli, BRDT, il cui ruolo  è chiave nel processo di maturazione degli spermatozoi. Un dato questo inatteso e non particolarmente gradito data la capacità della molecola di traversare la barriera emato-testicolare; una barriera, come quella ematoencefalica, a maglie molto strette necessaria per assicurare la migliore protezione possibile a cellule estremamente sensibili e critiche. Scoprire che il farmaco era in grado di raggiungere un'area "offlimits" non fu fonte di gioia nei ricercatori.
Tuttavia, dopo avere compreso meglio la modalità di azione della molecola si capì che tale evento indesiderato poteva, se usato in contesti diversi, essere molto prezioso. 
 
Prossimo passaggio: test su uomo.


Imparare mentre si dorme: cosa c'è di vero scientificamente

Imparare nel sonno

Il sogno di ogni studente (imparare mentre si dorme) ma anche la bufala di alcuni venditori che nel passato offrivano dei corsi di lingua straniera da ascoltare durante il sonno con la promessa di apprendere "senza fatica".
Image: Robert Stickgold, Nature (2012)
Nel 2009 Tristan Bekinschtein, un neuroscienziato della Brain Sciences Unit a Cambridge (UK) aveva dimostrato come fosse possibile insegnare ad alcuni pazienti in stato vegetativo o di coscienza minima, a battere le palpebre in risposta ad un leggero soffio d'aria negli occhi. Uno strumento considerato potenzialmente utile per prevedere quali pazienti in stato di coscienza minima avessero maggiori probabilità di recupero.

Ma forse qualcosa di vero c'è se su Nature Neuroscience (-> qui) viene pubblicato un articolo di Anat Arzi (Weizmann Institute, Israele) che affronta la possibilità di acquisire informazioni completamente nuove mentre si dorme.
Non una cosa del tutto nuova. Da un certo numero di anni sta sedimentando fra i neuroscienziati l'idea che una delle funzioni del sonno sia quella di riorganizzare e rielaborare le informazioni acquisite durante il giorno potando i circuiti neurali delle connessioni più deboli. Questo permetterebbe al cervello di evitare gli inutili "rumori di fondo" o usando una similitudine informatica, eliminare l'effetto "frammentazione" tipico degli hard-disk. A chi del resto non è capitato di svegliarsi al mattino con la soluzione di un problema che appariva contorto la sera prima?
Arzi  e collaboratori hanno usato una forma semplice di apprendimento, chiamata condizionamento classico, per istruire 55 volontari ad associare odori e suoni mentre dormivano. Durante le "lezioni" i partecipanti vennero esposti in modo ripetuto a odori piacevoli (deodoranti o shampoo) e fastidiosi (pesce e carne rancidi) associando un suono specifico a ciascun odore. Una volta ripetuta presentazione sonora ai soggetti svegli, questi reagirono in maniera automatica con una profonda inalazione (nel caso di un suono associato ad un profumo) o trattenendo il respiro (nel caso di suono associato ad un odore sgradevole). Il condizionamento acquisito durante il sonno era stato trasferito al periodo di veglia. Il cervello aveva fatto delle associazioni.

Afferma in proposito Anat Anzi: "questo non vuol dire che sia possibile mettere sotto il cuscino l'audio di una lezione e svegliarsi la mattina istruiti. Ci sono chiari limiti su cosa sia possibile imparare (…) tuttavia ritengo sia possibile andare ancora oltre quello che ho dimostrato con questo esperimento. Il nostro obiettivo finale è studiare le capacità di elaborazione del cervello negli stati di alterata coscienza come il coma o lo stato vegetativo."
Lo studio di Anzi è potenzialmente utile per sviluppare terapie comportamentali collegate a fobie, minimizzando l'impatto a livello conscio sui pazienti. Facilitando così il recupero dei pazienti.



*** aggiornamento 03/2019 ***

Ricercatori dell'università di Berna hanno osservato che è possibile "imparare" parole di una nuova lingua se ascoltate durante fasi specifiche del sonno (onde lente) e che tale acquisizione permarrebbe a livello inconscio anche dopo il risveglio. La formazione della memoria sembra infatti essere mediata dalle stesse strutture cerebrali che mediano l'apprendimento del vocabolario durante la veglia.

Fonti
- Learning new vocabulary during deep sleep
University of Bern / news

- Implicit Vocabulary Learning during Sleep Is Bound to Slow-Wave Peaks
Marc Alain Züst, Simon Ruch, Roland Wiest, and Katharina Henke. Current Biology, 2019


Olimpiadi, scienza e ... doping: articoli su Nature

Di seguito i link per alcuni articoli interessanti recentemente pubblicati su Nature. Sono in modalità free quindi leggibili anche senza abbonamento.

Vedi anche un mio post precedente: olimpiadi e scienza

  • Team science

    The Olympics is a vast experiment in human performance, sport technology and global travel. Nature meets some of the scientists behind the scenes.
    ( )


  • Superhuman athletes

    Enhancements such as doping are illegal in sport — but if all restrictions were lifted, science could push human performance to new extremes.
    ( )
    ______________________ 
  • London calling

    The battle for gold is about to begin - and science is taking its place behind the podium.
    (
    _____________________
  • Sports doping: Racing just to keep up

    Anti-doping researchers are looking for new ways to catch cheaters. Can a biological passport help to save the sport?
    Nature 475, 283-285 ( )







Sclerosi multipla: inibire il processo infiammatorio

La sclerosi multipla (MS) è una malattia degenerativa che sistema nervoso centrale in cui un processo infiammatorio fuori controllo porta alla distruzione progressiva della mielina. Un ruolo importante nella genesi della malattia sembra sia da attribuire ad una particolare classe di macrofagi localizzati nel cervello, noti come microglia, suddivisibili nelle sottoclassi funzionali M1 (pro-infiammatori) ed M2 (immunomodulatori). Facile intuire che l'attivazione aberrante delle M1 sia centrale nello sviluppo della malattia e che, al contrario, le M2, con la loro funzione modulante, possano essere utilizzati come strumenti  per limitare il decorso della MS.
In un articolo pubblicato in agosto su Immunity, Sarah C. Starossom e collaboratori hanno identificato la Galectin-1 (Gal1) come uno dei fattori che interferisce nel processo di attivazione delle M1. La Gal1 è una proteina che lega gli zuccheri esterni alle cellule, le M1 in particolare, e che porta all'innesco di cascata di eventi (ritenzione della fosfatasi CD45 sulla superficie cellulare ed inattivazione per defosforilazione di una serie di molecole segnale) che porta ad un sostanziale spegnimento del circuito locale pro-infiammatorio. Studi effettuati su modelli animali murini hanno mostrato che l'assenza di Gal1 induce danni neuronali, mentre la somministrazione di cellule M1 precedentemente trattate con Gal1 produce un effetto terapeutico, limitando l'attività infiammatoria in corso.
Una osservazione importante da portare avanti con altri studi.

Articoli precedenti sull'argomento

Articolo successivo sull'argomento
*** aggiornamento marzo 2016***

Rimanendo nell'ambito delle molecole naturali con azione anti-infiammatoria, uno studio svedese ha mostrato come l'assunzione di caffè in dosi medio-alte conferisce (al netto di problemi di altra natura) una protezione contro l'insorgenza della sclerosi multipla.
(High consumption of coffee is associated with decreased multiple sclerosis risk: results from two independent studies.
A.K. Hedström et al, Journal of Neurology Neurosurgery & Psychiatry, 2016 )

Esiste una correlazione fra altezza e cancro nelle donne?

Sembra proprio di si: esiste una correlazione fra altezza e tumore ovarico.
Una correlazione ben strana, vero?

Se la fonte dello studio fosse stata diversa dal Cancer Epidemiology Group della Oxford University, confesso che non avrei dedicato più di 20 secondi alla lettura dell'articolo (--> qui). Ma la scienza insegna che prima si analizzano i dati e poi si esprime un giudizio, e non viceversa.
Riassumiamo quindi in breve l'articolo pubblicato su PLoS Medicine:
  • si tratta di uno studio epidemiologico (in soldoni quella parte della statistica che in ambito medico si occupa di studiare la correlazione fra un effetto ed "n" eventi indiziati come causa/concausa/etc) condotto su un campione rilevante di donne.
  • Più precisamente è una meta-analisi, quindi una analisi su più studi separati (47 !!!) che raggruppati e pesati per il loro contributo specifico permette di filtrare più agevolmente i cosiddetti rumori di fondo e superare i limiti statistici di ogni singolo studio. E' così possibile inglobare un numero elevato di pazienti (aumentando la forza statistica) i cui dati altrimenti sarebbero stati persi in quanto troppo deboli. Un modo questo efficiente, economico e relativamente veloce per testare una ipotesi senza mettere in piedi uno studio clinico ad hoc.
  • Si è studiata la correlazione fra cancro ed altezza.
  • I soggetti analizzati sono stati 25.000 con cancro e 80.000 sani.
  • Si è trovata una correlazione statisticamente significativa fra altezza e cancro dell'ovaio. Tale correlazione si esprime con un incremento del 7% del rischio ogni 5 cm incremento (quindi del 14% passando da 155 a 165 cm).
  • Un risultato simile si è ottenuto quando al posto dell'altezza è stata considerata la "dimensione" corporea (BMI).
  • La spiegazione fisiologica di tale correlazione è al momento solo speculativa e comprende fattori biologici legati all'altezza (e quindi il fattore IGF-1 la cui espressione anomala è stata già correlata al cancro al seno e a quello della prostata) e alla banale presenza di un maggior numero di cellule a rischio.
  • Nel caso della correlazione BMI/cancro il rischio è presente in donne che NON hanno fatto un uso continuativo della terapia ormonale sostitutiva (HRT). I valori di rischio rilevati vedono un aumento del 10% ogni 5 kg/m2. Il rischio aggiuntivo scompare nelle donne trattate con HRT. Fattore questo molto importante. Mentre infatti sui fattori fisiologici legati all'altezza non è chiaramente possibile agire, nel caso del BMI è possibile sfruttare la HRT.
    Sulle cause molecolari i maggiori indiziati sono i livelli di estrogeno che nelle donne (postmenopausa e no HRT) sono associati a grasso corporeo.
    A complicare l'analisi il fatto che diversi studi in passato hanno evidenziato una correlazione positiva fra HRT e cancro ovarico.
  • Nelle donne occidentali l'altezza e la BM sono aumentate rispettivamente di 1 cm e 1 kg/m2 per decade. Considerando solo questi dati (in assenza quindi di altri fattori di rischio) l'aumento del numero di casi atteso (a parità di altri fattori) è pari al 3% ogni decade.

(credit: PLoS Medicine)

E' ovviamente importante precisare che si parla sempre di aumentata probabilità relativa e non di certezza di un evento.  


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