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Armi non letali sperimentali. Ricerca necessaria o spreco di soldi?

Armi non convenzionali
Per alcuni funzionari del Pentagono, la dimostrazione fatta alla stampa nell'ottobre 2007 di un'arma non letale e con effetti a brevissimo tempo, per di più su un giornalista volontario, era il coronamento di anni di lavoro. Sviluppare un'arma da usare come strumento anti-sommossa, priva degli effetti nocivi che scontentano l'opinione pubblica, e per di più su un giornalista volontario ... non è una cosa che capita frequentemente. Quante volte i militari "democratici" ad ogni latitudine hanno sperato di potersi togliere dai piedi il codazzo di giornalisti curiosi? Ho scritto "democratici" in quanto per tutti gli altri l'opzione più ovvia non rappresenta di certo un problema morale. Cinesi, russi e israeliani (non prendo nemmeno in considerazione gli arabi ...) non hanno mai avuto problemi nell'uso di armi non letali come insegna il fatto che da loro un caso Snowden non è mai esistito (ne potrà mai) … se non per il tempo necessario ad eliminare il problema al primo sentore di fuga di notizie… ovunque si trovi (Alexander Litvinenko ne è un esempio).
L'arma di cui il Pentagono andava orgogliosa consisteva in una "semplice" irradiazione con un fascio di energia sufficiente a generare nel malcapitato una sensazione di calore superficiale tale da farlo scappare a gambe levate.
Nessuno shock termico, nessuna vittima fortuita, effetto di fuga garantito.

Torniamo allora al giorno della dimostrazione, svoltasi a Quantico, in Virginia, del HPM (High-Power Microwave - arma di dissuasione sviluppata dallo US Air Force Denial System), un prototipo basato su un fascio di microonde a 95 gigahertz. A questa frequenza il raggio penetra nella pelle per meno di mezzo millimetro causando una sensazione di intenso bruciore a chiunque si trovi nel suo percorso ma senza effetti a lungo termine. Perfino meno pericoloso di un idrante. 

HPM (®wikimedia)
Ma sappiamo bene che i prototipi sono tali in quanto sono stati provati in condizioni ideali e non in una giornata come quella del test, fredda e piovosa. Le goccioline d'acqua presenti nell'aria fecero quello che fa di solito l'acqua, cioè assorbire le microonde. Risultato? Quando il giornalista volontario venne "colpito" dal raggio la sensazione provata fu ben diversa da quella voluta: un tepore molto gradevole in una giornata piovosa.
Certamente una azione di dissuasione non particolarmente utile su una folla di dimostranti con intenzioni bellicose.

Va da se che dopo l'imbarazzo provato e avendo pianificato il secondo test in una soleggiata giornata di marzo i risultati furono coerenti con le attese (e meno gradevoli per il volontario).
Ma il danno d'immagine era fatto e il dato fondamentale sulla inaffidabilità del sistema mostrato. Infatti nessun acquirente si mostrò interessato ad una arma la cui efficacia dipendeva dalle previsioni meteo oltre che da una serie di caratteristiche negative come la massa dell'arma, l'energia necessaria per farla funzionare e la complessità tecnica che la rendono inutilizzabile sul terreno.

Per ulteriori informazioni vi consiglio i link a fondo pagina e l'articolo sul sito della rivista Wired, qui, e un video dimostrativo pubblicato dall'esercito americano (qui sotto).


Una situazione non nuova (investimenti folli per risultati approssimativi) questa, nell'ambito di una corsa tecnologica iniziata quasi 50 anni fa e di cui ovviamente conosciamo solo la parte USA. Altri paesi ben difficilmente fanno delle presentazioni aperte ai giornalisti.
"Tanto fumo e specchietti per le allodole ma ben pochi risultati", afferma Peter Zimmerman, un fisico nucleare del King College di Londra e responsabile della Agenzia per il Controllo e il Disarmo con sede a Washington. "Anche se parte di questa ricerca potrebbe avere ricadute imprevedibili sulla tecnologia di uso comune [Ndb Il sistema ARPA e la nascita di internet sono un esempio di tecnologia sviluppata dall'esercito e passata poi in ambito civile] non riesco a immaginare a che cosa saranno serviti tutti i soldi spesi per questa arma"

L'aurora artificiale osservata nel 1962
(® Los Alamos NATL Lab archives/Nature)
La fascinazione per le bombe elettromagnetiche (anche dette e-bomb) viene da lontano e in particolare nacque l'8 luglio 1962, quando in seguito ad una esplosione a 400 km di quota di una bomba di 1,4 megatoni vennero generati enormi sciami di particelle cariche nella parte esterna del campo magnetico terrestre, da cui poi originò un impulso di energia a microonde. Tra gli effetti osservati all'epoca vi furono aurore artificiali, che illuminarono la notte stellata sopra le distese dell'oceano Pacifico fino a Honolulu (distante più di 1.300 chilometri), l'attivazione di allarmi antifurto e blackout energetici.
Un test, fortunatamente, unico data l'entrata in vigore nell'agosto 1963 del Partial Test Ban Treaty che proibì ogni test nucleare nell'atmosfera. I test successivi (ivi compresi quelli francesi e sovietici prima, e pakistani o indiani poi) sono stati condotti sotto terra.

Tornando al fenomeno osservato durante l'esplosione ad alta quota, l'idea che sorse immediatamente fu "perchè non usare le radiazioni elettromagnetiche per distruggere il sistema di comunicazioni e ogni dispositivo elettronico del nemico?" Il problema a questo punto era un altro: fare in modo che l'effetto fosse specifico e localizzato. Con il tempo questo problema venne in parte risolto con la creazione di un dispositivo montato su alcuni missili (vedi Advanced Microwave Missile Project - CHAMP) il cui obiettivo era l'eliminazione di bersagli elettronici, come siti di produzione di armi, senza provocare danni agli esseri viventi. Un test parziale è avvenuto nel 2012 (link al sito della Boeing e video riassuntivo).

Uno dei problemi di queste tecnologie è il fatto che una volta entrato in un edificio il fascio di energia comincia a rimbalzare perdendo progressivamente energia e, peggio ancora, non mantenendo la traiettoria. Un sistema di reti di alluminio, come quello presente nei normali forni a microonde potrebbe essere un valido modo per impedire la diffusione del raggio nelle zone critiche.

Nel frattempo si pensò di usare le radiazioni termiche per scopi di ordine pubblico, progetto iniziato nel 1990 dall'Aeronautica Militare sotto il nome di Active Denial System, ma la cui affidabilità è lungi dall'essere provata come abbiamo visto in apertura.
Insomma una quantità di soldi sperperati non indifferente; speriamo almeno che abbiano ricadute pratica su altre tecnologie civili.

Fonti
-  Microwave weapons: Wasted energy
  Sharon Weinberger, Nature settembre 2012
- Secret weapons
  Nature settembre 2012
- An explosively driven high-power microwave pulsed power system
  M. A. Elsayed et al,  Review of Scientific Instruments, (2012) Volume 83, Issue 2
- Video: I Got Blasted by the Pentagon’s Pain Ray — Twice
  Wired, Spencer Ackerman (marzo 2012)

Con i manufatti l'evoluzione del linguaggio

Con i manufatti l'evoluzione del linguaggio
Linguaggio e manualità sono elementi peculiari della specie umana e come tali risultato di un processo evolutivo attuato attraverso la selezione delle caratteristiche fisiche necessarie. Sarebbe infatti impossibile "parlare" senza corde vocali o la regione del cervello dedicata (per non parlare delle "capacità" cognitive tipicamente umane correlate alla corteccia cerebrale il cui sviluppo non ha eguali nei primati). Allo stesso modo sarebbe ben difficile pensare ad una manualità complessa in assenza di arti adeguati e della "capacità di progettare". Tutte caratteristiche riscontrabili, sia anatomicamente che geneticamente, nel passaggio tra ominidi e uomo moderno.
Ora, uno studio della università di Liverpool mostra come queste due attività (creazione di un manufatto e linguaggio) risiedano in aree cerebrali parzialmente sovrapponibili, quindi evolutesi con ogni probabilità nello stesso periodo.
Un dato non sorprendente alla luce del percorso evolutivo ma finora non dimostrato.


Lo studio.
Uno dei volontari monitorati mentre scheggia una pietra
Credit:NT Uomini et al; PLoS ONE
Per monitorare le diverse aree cerebrali coinvolte nell'esecuzioni di attività presenti nell'antenato umano, i ricercatori hanno sfruttato tecniche Doppler (in grado di rilevare variazioni di flusso sanguigno). 10 persone esperte nella produzione di utensili in pietra (del tipo pietra focaia) sono state monitorate sia durante l'esecuzione e la pianificazione del lavoro manuale che durante un test del linguaggio.
I dati riassunti nella figura sotto sono abbastanza chiari: esiste una ampia sovrapposizione tra le diverse regioni attivate nell'esecuzione di compiti "evoluti".


Schematizzazione delle regioni attivate nel cervello dei volontari mentre eseguono una serie di compiti quali: osservazione di qualcuno che parla (S) o che compie una azione (A); pianificazione dell'utilizzo di uno strumento (T); pronuncia di una parola (W); scheggiatura di una pietra stumento (K).
Credit:NT Uomini et al; PLoS ONE
Bisogna ancora una volta togliersi il cappello di fronte alle intuizioni di Charles Darwin che aveva ipotizzato come la creazione di manufatti e lo sviluppo di una lingua potessero essersi coevoluti; entrambi i processi necessitano infatti di una complessa opera di pianificazione e di coordinamento delle azioni. Ma questa era fino ad oggi solo una teoria. Ne Darwin ne gli scienziati del secolo scorso disponevano di conoscenze e di strumenti per testare questa ipotesi.

Articolo precedente in questo blog su manualità ed evoluzione, qui. Per articoli sul tema evoluzione o antropologia cliccate il tag corrispondente nel pannello a destra.



Fonte
- Language and tool-making skills evolved at same time
University of Liverpool, news

- Shared Brain Lateralization Patterns in Language and Acheulean Stone Tool Production: A Functional Transcranial Doppler Ultrasound Study
Uomini NT et al. PLoS One. 2013 Aug 30;8(8)

Altro che i piranha volanti dei B-movie. Questi pesci sono veri

Altro che i piranha volanti dei B-movie. Questi sono veri ma fortunatamente per noi non pericolosi.

Quante volte abbiamo visto nei film la triste sorte dello sventurato pescatore di turno, inghiottito da una qualche creatura acquatica (di solito prodotto da qualche radiazione non meglio identificata) emersa improvvisamente da acque prima tranquille? In alcuni casi addirittura si assiste a salti che avrebbero fatto impallidire il recodman del salto con l'asta Sergey Bubka.
Ma ripeto questo fa parte della finzione letterario/cinematografica. Al contrario il pesce descritto in questo articolo non solo è reale ma è dotato di una velocità di esecuzione tale da avere lasciato basiti gli stessi osservatori che ci misero un po' di tempo per rendersi conto di cosa fosse successo.
 (H. vittatus©Les Gibbon via nature.com)
Immaginate di osservate le acque placide di un lago africano. Un paio di rondini che svolazzano vicino alla superficie. Improvvisamente un pesce salta fuori dall'acqua e afferra il volatile. Beninteso non si tratta del classico afferrare qualcosa sul pelo dell'acqua ma di uccelli che volano ad una certa distanza da essa.
Secondo le parole di Nico Smit direttore dell'Unità di Scienze Ambientali di una università del Sud Africa e autore dell'articolo, "L'intera azione di salto e presa della preda fu cosi' rapida che ci mettemmo un po' per renderci conto di cosa fosse avvenuto. Solo dopo avere analizzato in dettaglio le immagini ci rendemmo conto di essere stati testimoni di qualcosa di veramente incredibile e, almeno così credevamo, unico".
Del resto questa è la prima registrazione di un comportamento del genere (la cattura di un volatile in azione) da parte di un pesce d'acqua dolce. Situazioni simili sono note per la cattura di insetti sul pelo dell'acqua o in maniera più eclatante da parte delle orche quando si proiettano sulla battigia per catturare la foca o il pinguino di turno (ma l'orca è un mammifero e inoltre non salta propriamente in aria per catturare una preda volante). 
Il pesce in questione è il pesce tigre africano (Hydrocynus vittatus nella foto a lato), un animaletto che può raggiungere il metro di lunghezza e le cui imprese sono certamente note dal 1940, ma sempre e solo come aneddoti narrati dai pescatori locali.

Indagare sul fenomeno era quindi un atto dovuto per qualunque ecologo sufficientemente curioso. Per cercare di documentare i racconti i ricercatori si sono muniti di telecamere ad alta velocità e di notevole pazienza (non sapendo ovviamente dove e se sarebbe avvenuto l'attacco); la loro pazienza è stata premiata con l'osservazione, in un solo giorno, di circa 20 attacchi alle rondini coronati da successo (vedi video sopra). Le modalità dell'attacco presentano approcci diversificati: in alcuni casi si è trattato di attacchi quasi verticali partiti dalla profondità, in altri invece dei veri e propri inseguimenti con balzo finale.
Fortunatamente i gusti alimentari di questi pesci non comprendono i pescatori.



Fonte
- Fish leaps to catch birds on the wing
  Nature, gennaio 2014

Vino rosso e mele: studi scientifici sui toccasana della tradizione popolare

Vino rosso e mele: studi scientifici sui toccasana della tradizione popolare

"Chi beve vino campa cent'anni" e "Una mela al giorno toglie il medico di torno" sono adagi popolari che da sempre risuonano attorno alle tavole imbandite e nelle osterie. Motti la cui validità scientifica è da tempo nota non foss'altro perchè il primo è stato per secoli la bevanda ideale (certamente più sicura rispetto all'acqua, per motivi prettamente igienici) e il secondo un cibo nutriente e meno soggetto ai rischi del deterioramento.
Due studi scientifici recenti ne ribadiscono il valore.

Il vino rosso può controbilanciare alcuni degli effetti negativi di una dieta scorretta.

©wikimedia
Lo studio condotto da un team della università del Texas ha mostrato che il resveratrolo, il principale elemento benefico presente nel vino rosso (ma presente anche in uva, noccioline e bacche) attenua alcuni dei danni causati da una dieta ricca di grassi.
 Secondo Christopher Jolly, autore del lavoro pubblicato su Journal of Nutritional Biochemistry, mentre gli studi precedenti avevano solo identificato nel resveratrolo la sua importante azione antiossidante, questo è il primo studio a mostrare la sua azione benefica sul sistema immunitario. Per capire come dobbiamo prendere in considerazione il timo, l'organo in cui avviene la maturazione dei linfociti T che negli esseri umani subisce un processo di involuzione irreversibile già a partire dalla nascita; un processo particolarmente pronunciato negli adulti obesi. Nell'articolo si dimostra come il resveratrolo sia in grado di contrastare questo processo negli adulti, favorendo quindi il mantenimento della funzionalità immunitaria.

Fonti
- Red Wine Component Can Undo Some of the Harm Done by Poor Diet, Researchers Find
  University of Texas, news
- Resveratrol inhibits the deleterious effects of diet-induced obesity on thymic function
  Journal of Nutritional Biochemistry 24 (2013) 1625–1633



Una mela al giorno …
Un articolo pubblicato sul British Medical Journal ha cercato di quantificare l'effetto di questo consiglio, risalente all'età vittoriana, sulla capacità di prevenire malattie cardiovascolari in persone di età superiore ai 50 anni.
©my-personaltrainer.it
Precisiamo subito una cosa. Lo studio è riferito alla popolazione inglese, le cui abitudini alimentari e di vita sono ben diverse (e chiaramente più a rischio) rispetto a quelle di noi mediterranei; molto probabile quindi che l'effetto sia "esagerato" rispetto a quanto si potrebbe osservare da noi. Detto questo, la stima che emerge è che ipotizzando di dare a tutti gli over-50 inglesi una mela al giorno il numero di morti evitate (ogni anno) raggiungerebbe la rispettabile cifra di 8500. Un valore molto simile a quello ottenibile con le statine, fondamentali farmaci anti-colesterolo, ma senza gli effetti collaterali associati (vedi anche linee guida per il trattamento del colesterolo, qui)
.
Secondo Adam Briggs della università di Oxford "il consiglio dato in epoca vittoriana fu semplice, ecomico e straordinariamente efficace. Mostra come un minimo cambiamento di abitudini alimentari possa avere un grande effetto. Forse le persone che prendono statine pur non essendo categorizzati come soggetti ad alto rischio dovrebbero passare alle mele". Un consiglio quest'ultimo da lasciare unicamente alla decisione del medico per evitare pasticci con gravi ripercussioni. Tuttavia aggiungere una mela alla propria dieta quotidiana (senza modificare il trattamento farmacologico, se presente, e riducendo il contenuto di grassi saturi) è di per se un suggerimento utile e, come si è visto, salutare.

Articolo su argomento simile: legame tra consumo di caffè o te con malattie tumorali, qui.

Fonti
- Statins for the many?
- An apple a day keeps the heart doctor away. 
  Oxford University, news 1 e 2

Estratti da due articoli (da leggere) sul caso Stamina

Rilancio due articoli pubblicati il primo sul Domenicale de IlSole24Ore del 12 gennaio (scritto da Alberto Mantovani, presidente della "Fondazione Humanitas Per La Ricerca") e il secondo da Giuseppe Remuzzi (Istituto Mario Negri)

Primo articolo: "Stamina non si ripeta"
Il titolo è emblematico così come il sottotitolo "ciarlatani contagiosi". Nell'articolo si fa un punto fondamentale, poco sottolineato altrove ma che è fondamentale: la copertura mediatica e gli avalli politici di cui ha goduto Stamina ora e Di Bella prima, hanno trasformato dei semplici venditori di fumo, così come ci sono sempre stati (e sempre ci saranno) in Italia e nel mondo, in un caso tutto italiano dove si pretende di dare una copertura scientifica (cioé attivare uno studio clinico mediante sperimentazione) a qualcosa che scientifico non è.
(© Alberto Mantovani / Il sole 24 ore)
La vicenda Stamina continua ad essere oggetto di cronaca e dibattito (...). Si tratta di una vicenda come altre, che periodicamente si verificano anche al di fuori del nostro Paese  (...).
Ricordo a puro titolo di esempio il cosiddetto "siero Bonifacio", cura del cancro e di tutti i tipi di tumore, proposto da un veterinario di Agropoli, divenuto popolare negli anni '70 e '80. (...) Mai, tuttavia, si era pensato che terapie come questa potessero essere oggetto di interventi giudiziari che ne imponessero l'uso, di decisioni parlamentari che assegnassero fondi alla sperimentazione, di attività di ricerca preclinica e clinica. Con il caso Di Bella e con il caso Stamina, fra loro piuttosto simili per alcune caratteristiche, abbiamo invece assistito ad un cambiamento radicale, con un conseguente grave danno non solo per i pazienti, ma anche per l'immagine internazionale del nostro Paese. 
(...)
Quanto è accaduto è in parte figlio dello scarso investimento in cultura scientifica del nostro Paese: se io, che ho dedicato la mia vita alla ricerca e alla scienza, dichiarassi ai media di essere un calciatore migliore di Pirlo o Messi, non avrei nessun credito. Mutatis mutandis, una dichiarazione simile, senza fondamento di verità, è stata effettuata nei casi Stamina e Di Bella, ma è stata presa per vera.
Ma in questa vicenda ci sono anche pesanti responsabilità scientifiche, giudiziarie, e perfino politiche. Non dimentichiamo, infatti, che la prima base morale della sperimentazione clinica di un nuovo metodo diagnostico e terapeutico nell'uomo è che vi sia una base scientifica solida e trasparente,  (...). Nulla di tutto questo si è verificato nel caso Stamina e Di Bella, e mi chiedo come un Comitato Etico abbia potuto o possa avallare sperimentazioni di questo tipo.
Non solo: nessun Tribunale ha mai stabilito il diritto di un paziente di essere trattato con il siero Bonifacio o altra terapia dello stesso tipo. Oggi è invece accaduto, (...)
Perfino la comunità dei medici e ricercatori - di cui io stesso faccio parte - non è priva di responsabilità. Si è accettato, ad esempio, di portare in clinica il cosiddetto "metodo Di Bella", pur palesemente contraddicendo il principio etico fondamentale della sperimentazione clinica,  (...).

In conclusione, per affrontare il periodico ricorrere di cure miracolose o presunte tali, credo sia fondamentale che mondo medico-scientifico, politico e giudiziario ritrovino una condivisione dei principi fondamentali su cui deve basarsi una sperimentazione clinica per essere autorizzata, per il bene dei pazienti che è la sola bussola che deve orientare tutti noi. (...) nell'interesse e a salvaguardia dei pazienti, cui non possiamo offrire facili illusioni.
(articolo completo sul sito del Sole, qui)

____________________________
Il secondo articolo ("Tutte le leggi violate sul caso Vannoni") indica chiaramente tutto quello che non ha funzionato nella catena di controllo e che ha reso possibile il verificarsi di un fatto incredibile: l'attuazione di una pseudo-terapia (priva di qualunque autorizzazione o base documentata) in ospedali pubblici grazie ad un corto circuito tra medici spregiudicati (cha hanno violato il codice deontologico) e magistrati fuori fuoco (per usare un eufemismo). Conseguenza? Si è fatto credere che si trattasse di "cura compassionevole" (prevista dalla attuali normative) mentre in realtà non poteva in alcun modo essere considerata tale.
Questo un estratto (per l'articolo completo, che vi consiglio, vedi pagina del CdS)

(© Giuseppe Remuzzi / Corriere della Sera)
(...) E allora il problema non è Vannoni, non è lui ad aver messo a rischio il nostro Servizio sanitario. Sono tutti quelli che hanno avuto a che fare con Stamina e che hanno violato le leggi del nostro Paese.
Ma andiamo con ordine: Vannoni (non è medico nemmeno lui) un bel giorno dice di saper curare tante malattie con preparazioni che conterrebbero staminali mesenchimali capaci di trasformarsi in neuroni, di più non si sa, è un segreto. Per prescrivere e somministrare quella cura però servono dei medici (...) L’Ordine dei medici a questo punto avrebbe il dovere di intervenire. L’avessero fatto la questione Stamina sarebbe finita. (...) Quell’ospedale però non ha una struttura autorizzata a coltivare le cellule per scopi terapeutici.
E allora? Lo fanno lo stesso violando la legge. A chi glielo fa notare rispondono di essere autorizzati dell’Aifa ma non è vero. Nel maggio 2012 l’Aifa emette un’ordinanza di blocco. Nonostante questo i medici di Brescia vanno avanti come se nulla fosse. Forti anche dell’avallo del Comitato etico che - in contrasto con tutte le leggi in vigore oggi in Italia sulla sperimentazione clinica e perfino con quelle che regolano la stesura del consenso informato - approva. Come se non bastasse, i medici che infondono questi preparati dicono di non sapere cosa infondono (e così violano sia le leggi dello Stato che quelle dell’etica). «E allora perché lo fate?», chiedo un giorno a uno di loro. «Ce lo impongono i giudici». «I giudici? Non spetta a loro stabilire cosa si può fare e cosa no per curare le malattie». «Noi non prescriviamo nulla - dicono i giudici - disponiamo che si dia seguito alla prescrizione di un medico». Benissimo. Ma quello che quel medico prescrive dovrebbe essere «prescrivibile», o no?  (...)
Loro si trincerano dietro la legge Turco, quella delle «cure compassionevoli».
Ma quella legge con Stamina non c’entra. Di fronte a una malattia grave e solo in casi eccezionali, la legge autorizza l’impiego di farmaci o procedure non ancora registrate purché: 1) siano disponibili dati su riviste internazionali che ne attestino la sicurezza; 2) le preparazioni rispettino i requisiti di qualità delle autorità competenti; 3) siano conclusi studi di fase due e avviati quelli di fase tre. Stamina non soddisfa nessuno di questi requisiti (...) 
Così si arriva alla Commissione del ministero che, a regola, non servirebbe: in Italia nessuno può fare terapia cellulare senza l’autorizzazione dell’Istituto superiore e dell’Aifa.(...) La Commissione dichiara Stamina inutile e pericolosa.
(...)
Nel frattempo Vannoni ricorre al Tar che invalida le conclusioni della Commissione «in quanto provviste di sufficiente fumus non essendo garantita l’imparzialità di giudizio di quegli scienziati che si sono già espressi contro Stamina». Questa sentenza non viola alcuna legge ma è contro il senso comune (è come se il Tar dovendo dirimere una controversia fra chi sostiene che 5+3 fa 8 e chi sostiene invece che fa 2 voglia escludere dal giudizio quei matematici che si siano già espressi anche solo una volta a favore del fatto che 5+3 faccia 8). Così ci sarà un’altra Commissione. (...) .


Articolo su argomenti simili in questo blog, qui per l'affaire Stamina e qui per le medicine alternative

Solo i primati usano gli oggetti? Sbagliato. Anche i coccodrilli

Uno degli assiomi del "comportamento intelligente" è la capacità di usare oggetti. Una capacità non esclusiva dell'essere umano come evidenziato dagli innumerevoli studi condotti sui primati (leggi qui), e chiaramente facilitata (anzi meglio dire evolutivamente associata) al disporre di arti prensili. Una visione forse troppo primatocentrica dato che esistono in natura casi ugualmente interessanti di capacità di utilizzare oggetti anche in assenza di arti prensili. Un esempio potrebbe essere quello degli elefanti che usano la proboscide per afferrare rami con cui grattarsi la schiena per liberarsi dai parassiti.
Uno studio recente ci illumina sulla capacità di usare oggetti da parte di animali ... inattesi. Un conto infatti è vedere queste abilità in animali come i mammiferi, dotati di un cervello evoluto, ed un altro è scoprire una capacità di pianificazione in rettili, affascinanti ed evolutivamente perfetti (nel senso di adattamento all'ambiente) quanto si vuole ma privi di una complessità cerebrale paragonabile.
Nota. Il nostro cervello riassume in se i tre stadi evolutivi che ci differenziano dall'antenato rettile: la parte più antica (gangli basali e talamo) è il cosiddetto R-complex (cervello rettiliano) deputato a tutti i compiti necessari alla sopravvivenza (caccia, accoppiamento, difesa o fuga, etc) ma distinti dalle funzioni fisiologiche fondamentali come la respirazione associate invece al tronco encefalico; il sistema limbico o cervello dei mammiferi è alla base del comportamento sociale e emozionale (pensate alla diversa complessità del comportamento sociale tra un cane e una iguana); infine la neocorteccia, una regione che compare nei primati ma è nell'essere umano che si sviluppa enormemente grazie ad una serie di mutazioni che vedremo in un prossimo articolo. La corteccia è alla base delle relazioni sociali complesse, della pianificazione (ancora una volta confrontate la diversa complessità relazionale in un branco di cani e in uno di scimpanzé) e, nell'uomo, del linguaggio.
Tutte le nostre reazioni "spontanee" sono da ricercare nel nostro cervello primitivo rettiliano, una regione in cui non ci saremmo mai aspettati di trovare capacità di pianificazione.
Da rettili ai mammiferi "evoluti", come è cambiato il cervello, senza "cancellare" il passato ma inglobandolo all'interno di strutture sempre più complesse. Da qui il senso di parlare della "componente rettiliana" nel cervello umano. Il modello del "cervello trino" venne proposto per la prima volta nel 1913 da Paul MacLean ed è arrivato ai giorni nostri sebbene cambiato sotto alcuni aspetti, in particolare nella definizione del sistema limbico. Di seguito un breve riassunto. Il cervello rettiliano, il più vecchio dei tre, controlla le funzioni vitali del corpo come la frequenza cardiaca, la respirazione, la temperatura corporea e l'equilibrio. Il nostro cervello rettiliano comprende le principali strutture presenti nel cervello di un rettile cioè il tronco cerebrale ed il cervelletto. Il cervello rettiliano è affidabile, ma tende ad essere un po' rigida e compulsivo. Il cervello limbico compare nei primi mammiferi. E' in grado di registrare i ricordi di comportamenti che hanno prodotto esperienze piacevoli e spiacevoli, quindi è responsabile di quelle che vengono definite le emozioni degli esseri umani. Le strutture principali del cervello limbico sono l'ippocampo, l'amigdala e l'ipotalamo. Il cervello limbico è la sede dei giudizi di valore che facciamo, spesso inconsciamente, che esercitano una forte influenza del genere sul nostro comportamento. La neocorteccia è, per l'estensione ottenuta, una delle conquiste dei primati che culmina nel cervello umano, con i due grandi emisferi cerebrali e una neocorteccia che rappresenta il 90% di tutta la corteccia. Questi emisferi sono stati responsabili per lo sviluppo del linguaggio umano, il pensiero astratto, l'immaginazione, e la coscienza. La neocorteccia è flessibile e ha capacità di apprendimento quasi infiniti. Senza la neocorteccia non è nemmeno ipotizzabile alcuna forma di pensiero astratto. E' importante distinguere la neocorteccia dalla più generica corteccia (area che riveste ciascun emisfero per circa 3 mm). Quest'ultima può essere distinta in archaeocortex (sviluppatasi insieme al sistema olfattivo e che nei mammiferi comprende il giro dentato e l'ippocampo), la paleocortex (anch'essa associata al sistema olfattivo e comprende la corteccia piriforme e il giro paraippocampale) e infine la neocorteccia (costituita da sei strati distinti di neuroni). Nel corso dell'evoluzione dei primati la corteccia NON si è estesa in profondità ma in superficie, come evidente dalle circonvoluzioni cerebrali.
Ebbene, ecco allora che l'articolo pubblicato su Ethology, Ecology & Evolution ci mostra qualcosa di inatteso in coccodrilli e alligatori: la capacità di usare bastoncelli e rametti per attirare uccelli alla ricerca di materiale per costruire il loro nido.
(©cnn.com) Vedi ingrandimento qui
Una scoperta nata per caso nel 2007 quando l'etologo Vladimir Dinets della università del Tennessee notò in uno zoo indiano un coccodrillo che  teneva dei ramoscelli in bocca mentre nuotava in prossimità di una colonia di uccelli intenti a contendersi materiale per costruire i loro nidi.
Un comportamento confermato non solo in ambiente naturale ma anche presente nel cugino alligatore della Louisiana. Un comportamento non solo "premeditato" ma adatto alle diverse esigenze stagionali: compare infatti esclusivamente durante il periodo di riproduzione dei volatili.
Come mostrato nella foto sopra, durante l'appostamento Dines fu testimone di un attacco riuscito. Nel riquadro si nota il rettile mentre con fare "innocente" trasporta rametti che attirano gli uccelli. 
Riassumendo si tratta di un chiaro utilizzo di oggetti per un fine preciso e in determinati periodi dell'anno. Un dato molto interessante quanto inatteso.
Certamente si sarebbero da fare alcune considerazioni sugli uccelli che vedono il rametto ma non il predatore che lo porge in attesa … un chiaro esempio di selezione evolutiva che cancella i più stolti (e meritevole del noto Darwin award nella categoria volatili)

Articolo successivo in questo blog sul manualità ed evoluzione del linguaggio, qui. Per articoli sul tema evoluzione o antropologia cliccate il tag corrispondente nel pannello a destra.



Fonti
- Crocodilians use tools for hunting
V. Dinets et al,  Ethology Ecology & Evolution, novembre 2013

- First Example of Tool Use in Reptiles
Science, dicembre 2013

Non tutti gli animali invecchiano

Non tutti gli animali invecchiano
Una delle caratteristiche dell'invecchiamento è la progressiva perdita di funzionalità fisiologica, e quindi un calo di efficienza che comporta una riduzione della probabilità di sopravvivenza, vuoi per una ridotta capacità di sfuggire ai predatori, di procacciarsi il cibo o una maggiore predisposizione alle malattie.
Questo paradigma tuttavia non è universalmente vero. 
Chiariamo una cosa innanzitutto. E' ovvio che non si vuole qui parlare di probabilità cumulativa di morte. E' infatti chiaro che data una probabilità X di essere predati, costante per ogni adulto non malato, e ammettendo che nel decennio successivo la performance dell'animale rimanga inalterata, la sua probabilità di essere predato da qui a dieci anni sarebbe cumulativa. In altre parole sarebbe più probabile che un animale di nove anni arrivasse al decimo anno di età rispetto a quella di un animale di cinque anni. 
Il tema qui non è la probabilità cumulativa ma la variazione della probabilità X in funzione dell'età. Ad esempio un cervo anziano ha sicuramente meno probabilità di sfuggire ad un lupo solitario rispetto ad uno nel pieno della maturità. Un dato apparentemente ovvio per tutti gli esseri viventi, ma in realtà alcuni animali non solo non mostrano una diminuzione di probabilità di vita (in ambiente naturale) con l'età ma mantengono una capacità riproduttiva inalterata.  A questo secondo gruppo di animali appartiene il paguro, l'abalone rosso e l'idra
Immagine ingrandita dell'Idra
L'idra in particolare è un animale microscopico di acqua dolce che può vivere secoli, godendo di una fertilità e tassi di mortalità stazionari. Questo è solo uno dei dati presentati in uno studio comparativo su 46 specie, pubblicato sulla rivista Nature, che suggerisce l'esistenza di diverse "strategie di invecchiamento", eliminando il concetto di senescenza (ripeto, un deterioramento della vitalità e della fertilità in funzione dell'età) come caratteristica intrinseca alla vita.
Delle 46 specie analizzate, 12 sono mammiferi, 11 sono vertebrati diversi da mammiferi, 10 invertebrati, 12 piante vascolari e un'alga verde. Tra le 24 specie che mostrano il più brusco aumento della mortalità in funzione dell'età, 11 avevano cicli di vita relativamente lunghi. Un rapporto simile si ottiene se si parte da quelle specie con un tasso di mortalità in funzione dell'età meno marcato. I mammiferi si collocano principalmente nel primo gruppo, quello in cui è evidente l'effetto dell'invecchiamento; al contrario le piante si collocano all'estremità opposta dello spettro. Uccelli e invertebrati si distribuiscono invece in modo uniforme tra i due gruppi.
I mammiferi mostrano una maggiore tendenza rispetto ad altri vertebrati a mostrare i segni dell'invecchiamento una volta superato il picco dell'età riproduttiva. Sempre che ovviamente la superino, evento non scontato in natura. Non è forse un caso che il cane, l'animale più plasmato dall'uomo in seguito alle decine di migliaia di anni di coabitazione (e di adattamento), sia anche quello in cui possono comparire patologie da invecchiamento come l'Alzheimer. Questo fa di loro un buon soggetto di studi per la prova di funzionalità di farmaci in grado di contrastare tali sintomi.
Il problema ancora irrisolto è capire le ragioni fisiologiche alla base di queste differenze. Un confronto reso problematico dalle molte variabili coinvolte. Capire come e perché l'età agisca da discrimine negativo per la sopravvivenza equivale a tenere in considerazione sia fattori esogeni (predatori e cibo) che endogeni (efficienza fisiologica ma anche ad esempio le diverse dimensioni che possono agire come fattore positivo o negativo per la sopravvivenza).
Hal Caswell, un ecologo che si occupa di modelli matematici,  afferma che cercare di distinguere se il tasso di mortalità sia legato alla senescenza è un errore: "un aumento della mortalità in funzione dell'età rappresenta un calo nella capacità di affrontare i rischi di morte, indipendentemente dalla loro origine. Questa è la senescenza". Altri ricercatori, come Stephen Stearns, sono critici con questo approccio, "questo studio è utile solo per ricordarsi che i modelli di invecchiamento sono diversi, non che i modelli esistenti sono errati. Ciò richiederebbe misure empiriche estremamente difficili da ottenere quali il trade-off tra riproduzione e mortalità".

Insomma, pur avendo fatto passi da gigante nella comprensione molecolare dei difetti legati all'invecchiamento, rimangono i dubbi sul perché si siano affermati modelli che non contemplano l'invecchiamento e quali siano i sistemi molecolari in grado di preservare l'efficienza fisiologica con il tempo. E' chiaro che una popolazione "eternamente giovane" non può prescindere dal rimanere in equilibrio con l'ambiente, pena la distruzione del proprio ecosistema e quindi di se stessi. Organismi sfuggiti alla "condanna dell'età" sono molto probabilmente soggetti ad una tale decimazione da parte dei predatori che l'assenza di invecchiamento non è in grado di alterare gli equilibri ambientali, anzi forse serve proprio per mantenere la popolazione a livelli tali da evitarne l'estinzione.
Un tema alquanto interessante.
Nota a margine riguardo le piante (il tema è solo in parte simile a quanto prima discusso). In un articolo pubblicato recentemente su Nature un gruppo di ricerca americano ha valutato la crescita comparativa delle piante in base alla loro età (e quindi dimensione in questo caso). Dallo studio di oltre 670 mila alberi appartenenti a 403 specie abitanti sia aree temperate che tropicali si evince che oltre all'evidente balzo nella crescita nella fase giovanile della pianta, le piante "vecchie" purché non malate non solo continuano a crescere in modo sostenuto ma sono le vere responsabili dell'aumento di massa totale. Un esempio può meglio spiegare quanto detto: negli USA gli alberi con diametro maggiore di 1 metro sono solo il 6%, ma sono responsabili del 33% della crescita complessiva. Sebbene le foglie delle piante anziane siano meno efficienti di quelle delle piante giovani, il loro maggior numero aumenta la velocità di crescita della pianta. Il fatto che le foreste antiche (ricche di piante anziane) siano foreste in decadenza è quindi solo un mito.
(©Richard Schultz/Corbis/Nature)

(sull'argomento potrebbe interessarti anche l'articolo successivo, "Due o tre cose che il DNA della tartarughe ci può dire") e "Modificare l'espressione dei geni per ringiovanire".


Fonti
- Not all species deteriorate with age
Nature (2013) 14322

- Diversity of ageing across the tree of life
Owen R. Jones et al, Nature (2014) 505, 169–173

- Tree growth never slows
Jeff Tollefson, Nature gennaio 2014

Dalla "Forza" di "Star Wars" l'ispirazione per il nome del batterio Midichloria mitochondrii

Guerre Stellari ha fornito l'ispirazione per il nome di un batterio che potrebbe risolvere il dubbio sull'origine dei mitocondri

Questa la frase chiave detta da Qui-Gon Jinn ad Anakin Skywalker (cit. "Star Wars - La minaccia fantasma"):
"Without the midi-chlorians, life could not exist, and we would have no knowledge of the Force. They continually speak to us, telling us the will of the Force. When you learn to quiet your mind, you'll hear them speaking to you."
(all credit to the original poster)

La notizia però è che un gruppo di ricercatori ha pensato (con unanime consenso) di battezzare una specie di batteri con il nome evocativo Midichloria mitochondrii. Il perché di questa decisione trova spiegazione nell'importanza che l'antenato di questo batterio ha avuto per l'evoluzione delle cellule eucariote. Senza il suo aiuto non esisterebbero cellule in grado di produrre energia (la Forza) al livello necessario per la vita pluricellulare.

Ma andiamo con ordine.
Tafazzi
E' probabile che ben poche persone anche tra quelle che si occupano di biomolecolare, conoscano la proteina il cui nome, Tafazzina, deriva dalle difficoltà sperimentali incontrate durante la sua caratterizzazione. Alla fine di un duro lavoro la proteina (la cui mutazione è associata alla sindrome di Barth) venne identificata da un team italiano guidato da Daniela Toniolo. Il nome dopo tanto patire fu in un certo senso "obbligato", quello del mitico personaggio Tafazzi (impersonato da Giacomo del trio Aldo,Giovanni&Giacomo), emblema del masochista.

Come i midichlorians erano stati
immaginati al cinema (®it.starwars)
Questa non fu né la prima né l'ultima volta in cui il nome di un gene/proteina sia ispirato a qualche evento/particolare curioso, sebbene nella maggior parte dei casi si tratta di geni scoperti studiando il moscerino Drosophila. A mio ricordo è tuttavia l'unico ispirato ad un personaggio televisivo o cinematografico. Ho continuato a pensarlo fino a che non mi sono imbattuto in un batterio, appartenente alla famiglia delle Rickettsie, descritto per la prima volta in un articolo del 2004, guarda caso ancora con lo zampino di italiani. Il nome del batterio, Midichloria mitochondrii è chiaramente ispirato alla saga di Guerre Stellari.
L'importanza del batterio è legata ad un passaggio cruciale dell'evoluzione, quello della comparsa degli eucarioti "moderni", vale a dire cellule nucleate dotate di mitocondri. Da anni la famiglia delle Rickettsie era considerata quella più simile al batterio ancestrale la cui "scelta di vita" (vedremo meglio poi cosa intendo con questo) rese possibile la comparsa degli eucarioti moderni (e da li degli organismi pluricellulari); mancava tuttavia la cosiddetta prova della "pistola fumante" ad indicare le modalità di tale transizione e chi tra i membri delle Rickettsie fosse il più simile all'autore del "gesto" rivoluzionario. Apparentemente questo batterio è il Midichloria mitochondrii, grazie anche alla particolarità unica di penetrare entro i mitocondri.
Midichloria  in cellule di zecca (all credit to L. Sacchi, University of Pavia, Italy / image via link) 

Ho usato prima un termine ben poco biologico, "scelta di vita". Una definizione a mio avviso pregna di significato dato quanto avvenuto. Ad un certo punto negli oceani primordiali abitato unicamente da organismi unicellulari, e per motivi ancora dibattuti, un batterio in grado di usare l'ossigeno per ricavare energia (grazie alla fosforilazione ossidativa) divenne un ospite fisso della proto-cellula eucariotica che, priva della capacità di "maneggiare" un prodotto tossico formidabile come l'ossigeno era costretta agli ambienti anossici.
L'ossigeno è un gas altamente reattivo e un veleno sicuro in assenza di contromisure metaboliche. Mentre l'ossigeno nella Terra primordiale iniziava ad aumentare grazie all'opera indefessa dei cianobatteri che avevano "scoperto" i vantaggi della fotosintesi con l'unico inconveniente di produrre come scarto della reazione l'ossigeno molecolare (a cui i cianobatteri erano "resistenti"), gli altri organismi unicellulari, proto-eucarioti antenati delle cellule animali e vegetali, basavano il loro fabbisogno di energia su una serie relativamente inefficiente di reazioni chimiche note come glicolisi. Queste cellule vivevano in un mondo sempre più ostile dato che non erano in grado di annullare la tossicità dell'ossigeno. Esistevano poi alcuni batteri, molto più piccoli e senza nucleo, che avevano sviluppato un modo di utilizzare le proprietà corrosive di ossigeno per produrre energia in modo molto più efficiente rispetto alla glicolisi; per alimentare la loro fornace avevano però bisogno di sostanze nutrienti sparse in tutto l'ambiente. L'unione delle forze tra un proto-eucariote ed un batterio "evoluto" non poteva che avere successo di fronte alla inarrestabile azione dei cianobatteri. Per una idea sui tempi consideriamo che le prime evidenze di vita sulla Terra (stromatoliti) risalgono ad almeno 3,5 miliardi di anni fa (Maf), la fotosintesi batterica compare circa 3,2 Maf che porta ad una atmosfera ricca di ossigeno (2,3 Maf). I primi batteri aerobi compaiono 2,5 Maf ed i proto-eucarioti circa 3 Maf. Quindi la simbiosi deve essere avvenuta prima che la "grande ossigenazione" avvenisse e dopo la comparsa dei batteri aerobi ... . I metazoi (organismi pluricellulari eucarioti)? Per quelli bisogna aspettare 650 Maf.
Se l'unione sia derivata da un pasto "non digerito" della cellula eucariotica o da una infezione divenuta cronica da parte del batterio non è chiaro. Sta di fatto che il rapporto tra le due cellule è diventato imprescindibile e fondamentale per la sopravvivenza di entrambi.

Uno schema semplificato delle strutture presenti in una cellula. I mitocondri


Una cellula eucariote tipo (sinistra) e lo schema/fotografia di uno dei mitocondri

Nel corso di centinaia di milioni di anni di co-evoluzione, il batterio si è trasformato nel mitocondrio, un organello che funziona sia da centrale elettrica della cellula (energia ricavata grazie alla respirazione cellulare, presente sia in animali che in vegetali) che da "decontaminatore" in grado di eliminare uno degli agenti più tossici in assoluto, l'ossigeno.
Nota. Un mitocondrio è un organello cellulare di forma allungata presente, in numero variabile, nel citoplasma di tutte le cellule animali a metabolismo aerobico e nelle cellule vegetali. E' delimitato da due membrane di cui quella interna presenta numerose invaginazioni, dette creste mitocondriali, che contengono (insieme alla matrice mitocondriale) il macchinario per la respirazione cellulare. Questo processo (che comprende il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa) è la vera e propria macchina energetica della cellula, in grado di massimizzare l'energia ricavata, sotto forma di ATP, a partire dal prodotto finale della glicolisi, il piruvato. L'ossigeno entra in gioco nella fase finale della fosforilazione ossidativa come accettore terminale degli elettroni; da questa reazione di riduzione l'ossigeno si "trasforma" in acqua.
 
Una simbiosi ottenuta pur mantenendo una certa individualità riscontrabile nell'avere mantenuto un proprio patrimonio genetico, distinto dal DNA nucleare, e da meccanismi di regolazione trascrizional-traduzionali propri. 

il mitocondrio (®newscientis.com)
Una simbiosi datata poco meno di 2 miliardi di anni fa quella tra il batterio e la protocellula eucariotica, che ricalca quella cinematografica dei Midi-chlorian, gli organismi che nel film vivono all'interno delle cellule e garantiscono il possesso di una energia nota come "la Forza".
Il nome scelto per la Rickettsia imparentata con il "proto-mitocondrio", Midichloria mitochondrii racchiude volutamente la storia evolutiva ... con un pizzico di fantasia cinematografica.

Il rapporto simbiotico tra mitocondri e cellule eucariotiche si è spinto a tal punto che molti dei geni mitocondriali originari sono andati persi, non più utili per la vita intracellulare, mentre altri sono passati nel nucleo, demandando così la regolazione "all'ospite". Tra le caratteristiche mitocondriali che ci ricordano l'origine batterica abbiamo l'organizzazione genica e il macchinario trascrizional-traduzionale (nettamente di tipo batterico), la proliferazione non associata alla divisione cellulare ma legata invece alle necessità energetiche della cellula, e la doppia membrana che avvolge il mitocondrio. 
Come anticipato sopra due sono le teorie che cercano di spiegare l'origine di questa unione.
A favore della "predazione fallita" sarebbe la doppia membrana del mitocondrio, ad  indicare la cattura da parte della cellula di una cellula esterna. Una cena "indigesta" per motivi ignoti (mutazioni?) che portò alla coesistenza forzata. Il batterio vivo, e in grado di replicarsi, sarebbe stato quindi trasmesso di generazione in generazione fino a che l'opera della selezione avrebbe reso questa simbiosi indissolubile. Questa l'ipotesi classica.



La seconda ipotesi (fondata sulla caratterista peculiari del Midichloria mitochondrii di penetrare da solo nella cellula) prevede invece che a fare la prima mossa sia stato il batterio che, dotato di un flagello, era in grado non solo di muoversi ma anche di usare questa propulsione per cercare cellule da parassitare. In questo caso l'evento "casuale" (mutazione?) avrebbe bloccato l'azione parassitaria a metà lasciando il batterio intrappolato (e schiavizzato) all'interno della cellula. Una ipotesi molto interessante.



Perché proprio il M. mitochondrii e non un altro membro della famiglia delle Rickettsie?

Per due motivi. Primo perché il suo genoma poco caratterizzato ha fornito solo ora alcuni indizi in tal senso e secondo perché è l'unico batterio in grado di entrare nei mitocondri. Molti altri batteri (come il Mycobacterium tuberculosis, responsabile della tubercolosi) sono in grado di vivere all'interno delle cellule ma nessuno nei mitocondri.
A) il batterio (b) mentre sta penetrando nel mitocondrio (m)- si trova la membrana
interna ed esterna del mitocondrio; B) un mitocondrio infettato da 3 batteri
L. Sacchi et al)

Lo studio di Sassera e collaboratori mostra due prove interessanti: il genoma del batterio contiene 26 geni coinvolti nella sintesi del flagello - inclusi tutti i componenti chiave come il gancio, filamento e corpo basale - e una serie di geni codificanti per gli enzimi che avrebbero permesso al batterio di sopravvivere in un ambiente ipossico quale è l'interno di una cellula.  


Ricordo che l'ossigeno è necessario per fare funzionare la centralina energetica della cellula ma è anche un elemento estremamente tossico (così come lo sono i suoi derivati) a causa del forte potere ossidativo che si manifesta con danni a carico delle membrane, del DNA e delle proteine. L'aumentata concentrazione di ossigeno in seguito alla evoluzione della fotosintesi è stato probabilmente l'evento più catastrofico mai sperimentato nella biosfera. La stragrande maggioranza degli organismi allora viventi (unicellulari) scomparve (o fu confinato ad ambienti rigidamente anossici) a favore dei pochi aerobi che riuscirono a coniugare il processo di detossificazione alla produzione di energia (respirazione cellulare).
Per inciso va detto che l'evoluzione delle cellule vegetali è il risultato di una doppia "infezione": quella che ha generato il mitocondrio e il plastidio, da cui origina il cloroplasto, l'organello alla base della capacità fotosintetica nella cellula eucariotica vegetale. Va anche precisato che gli antenati di questi due organelli sono diversi. Una proto-rickettsia per il mitocondrio e un cianobatterio (un tempo chiamati impropriamente alghe azzurre) per i plastidi (vedi immagine riassuntiva QUI).



Proprio grazie allo studio di Sassera, è stato identificato l'unico membro della famiglia delle Rickettsie, il Midichloria mitochondrii,  dotato dei geni (quindi le proteine) che gli permette di vivere sia in ambiente aerobico che anaerobico.
In conclusione un parassita neutralizzato dalla proto-cellula più che un preda salvatasi per caso.
Nota. Il processo simbiontico che ha originato cloroplasti e mitocondri non è un unicum evolutivo che si perde nella notte dei tempi ma lo possiamo vedere in atto anche oggi.
Possiamo vederlo oggi in atto nell'ameba Paulinella che ha un cianobatterio come simbionte obbligato. Una simbiosi talmente avanzata che il batterio non potrebbe più vivere al di fuori della cellula ameboide in quanto alcuni dei suoi geni sono già stati trasferiti nel genoma dell'eucariote. In altre parole il cianobatterio sta compiendo la stessa strada (ed è già a buon punto) che lo porterà a diventare un cloroplasto.
Questi eventi sono definiti simbiogenesi primaria. Si parla invece di simbiogenesi secondaria quando un eucariota eterotrofo ricava un cloroplasto "schiavizzando" un Archeaplastidia cioè eucarioti autotrofi divenuti capaci di fotosintesi nel Cambriano catturando un batterio autotrofo. Gli Archeaplastidia comprendono alghe rosse, alghe verdi e glaucofite

Articolo successivo sul tema --> QUI


Fonte
- Star Wars-inspired bacterium provides glimpse into life
University of Sidney, news
- 'Candidatus Midichloria mitochondrii', an endosymbiont of the tick Ixodes ricinus with a unique intramitochondrial lifestyle.
D. Sassera et al, Int J Syst Evol Microbiol. 2006 56 (Pt 11):2535-40.
- Phylogenomic evidence for the presence of a flagellum and cbb(3) oxidase in the free-living mitochondrial ancestor. 
D. Sassera et al, Mol Biol Evol. 2011 Dec;28(12):3285-96 
- The Origin of Mitochondria
Martin, W. & Mentel, M. (2010) Nature Education 3(9):58

Serpenti mangiatori di uomini Vs. uomini mangiatori di serpenti

Serpenti mangiatori di uomini Vs. uomini mangiatori di serpenti
Una lotta lunga milioni di anni quella tra primati e serpenti, animali evolutisi in nicchie ambientali sovrapposte e quindi con prede in comune. Proprio questo lungo confronto sarebbe alla base della naturale avversione (che non ha molti eguali in quanto a diffusione in culture diverse) dell'uomo per questo rettile.
Come afferma l'erpetologo Harry Greene "da secoli gli uomini sentono di avere una "storia" in comune con i serpenti". Una opinione sostanziata dalle molteplici tradizioni che vedono i serpenti non come figuranti ma come attori principali, siano essi visti come divinità (ad esempio i Naga indiani o i serpenti-piumati dei Maya) o come simbolo del male.
Agta Negritos in una foto
d'epoca (®asiafinest.com)
Primati e serpenti, dicevo, si conoscono e si scontrano da milioni di anni; con gli antenati dei serpenti già presenti sul finire dell'era dei dinosauri (70 milioni di anni fa) ma già ben differenziati quando, 20 milioni di anni fa, la superfamiglia degli Ominidi (Homo, oranghi, gorilla, scimpanzè e gibboni) si differenziò dagli altri primati.

Un articolo pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) analizza questo confronto millenario attingendo alla vasta documentazione disponibile sulle complesse relazioni ecologiche esistenti tra primati antropomorfi e serpenti.
In ambito umano sono gli studi etnografici iniziati già alla fine dell'ottocento a fornire indicazioni sul rapporto Homo-serpente. Particolarmente importanti sono stati gli appunti redatti dai viaggiatori-studiosi al contatto con le popolazioni il cui stile di vita ancestrale (e l'ambiente colonizzato) rendevano quotidiano l'incontro/scontro con i serpenti.
 
Tra queste la popolazione filippina nota come Agta Negritos, una etnia scura di pelle e di bassa statura interessante da un punto di vista evolutivo (vedi nel blog qui), distinta dall'etnia filippina dominante e che vive nelle foreste tropicali dell'antica attività di cacciatori-raccoglitori. Più di un quarto degli appartenenti a questa popolazione ha avuto la non invidiabile esperienza di essere stati attaccati da pitoni giganti. Un dato che ci ricorda, anche drammaticamente, come le storie dei serpenti mangiatori di uomini non siano solo leggende tramandate da qualche esploratore europeo troppo suggestionabile. 

Un Agta Negrito in compagnia...
®periodistadigital
I racconti di chi ha vissuto queste esperienze e ne tramanda i ricordi sono la prova più importante di tali incontri, a causa della impossibilità di trovare le prove (se non in flagranza) dell'avvenuto pasto a base di esseri umani.
®J. Headland, B. Maritz, PNAS
Gli Agta Negritos sono una popolazione ideale per questi studi, sia per lo stile di vita che per la bassa statura che li rende prede "accessibili" per il pitone reticolato la cui dimensione può tranquillamente raggiungere gli 8 metri. Tra le testimonianze documentate già a partire negli anni '60, il 26 per cento degli uomini (15 su 58) e 1 su 62 delle donne (differenza percentuale spiegabile con il diverso tempo trascorso nella boscaglia) affermarono di essere state attaccate (o essere state testimoni) da pitoni. Di questi attacchi, 6 casi ebbero esito fatale, tutti registrati tra il 1934 e il 1973. Pochi? Dato l'esiguo numero di indigeni presenti, la loro attitudine al combattimento e la mancanza di prove riguardo le persone scomparse improssivamente, il numero è tutt'altro che esiguo. In uno dei casi documentati, alquanto sconvolgente, un uomo si accorse entrando nella capanna che il pitone aveva ucciso due dei suoi figli e si stava apprestando ad ingoiare uno di essi a partire dalla testa. Dopo avere ucciso il serpente con il suo coltello e averlo aperto scoprì al suo interno il terzo figlio (una bambina di 6 mesi) ancora viva.
"Immaginate come sarebbe per voi vivere in un ambiente sotto costante rischio di essere afferrati da un serpente mentre camminate" afferma ancora Greene.

Ma il confronto è fatto di difesa e attacco. Gli Agta infatti si nutrono di pitoni così come di cervi, maiali selvaggi e scimmie. Animali che guarda caso sono le stesse prede naturali dei pitoni. Ovvio quindi che la condivisione di una nicchia alimentare abbia portato ad un inevitabile scontro tra i due "cacciatori"; un confronto dagli esiti sempre incerti soprattutto ai tempi in cui gli Agta non disponevano di armi efficaci come coltelli di metallo o armi da fuoco (entrambi successivi al contatto con europei e asiatici).
Insomma una storia in comune di prede/predatori o, nella migliore delle ipotesi, di competitori che spiega molto della nostra avversione atavica per i serpenti.

Fonte
- Hunter–gatherers and other primates as prey, predators, and competitors of snakes
TN Headland, HW Greene. PNAS (2011), 108 (52) pp. 20865

- Four Decades Among the Agta: Trials and Advantages of Long-Term Fieldwork With Philippine Hunter-Gatherers
di Thomas e Janet Headland (link)

- Agta. La tribu que compite con la serpiente pitón para ver quien se come a quien Negritos
periodistadigital.com (link)
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