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Ebola. Possibile il contagio attraverso la pelle ?

Articolo precedente sull'epidemia di Ebola ---> "calcolo del tempo di quarantena")

L'infettività del virus Ebola
Tra le tante domande ascoltate le due classiche sono:
  • può il virus modificarsi e diventare in grado di infettare per via aerea (come il raffreddore e l'influenza)?
  • E' possibile il contagio per contatto cutaneo? Ad esempio per il depositarsi di una gocciolina di aerosol o di liquido sulla pelle priva di abrasioni evidenti. 
Se alla prima risposta si è risposto in un precedente articolo (QUI) il secondo quesito è più semplice ma necessita lo stesso di alcune spiegazioni.

Epidermide (©wikipedia)
La pelle della maggior parte degli animali è una barriera efficace contro le infezioni virali. Lo strato esterno della pelle umana, chiamato strato corneo, è costituito da uno strato di cellule morte cheratinizzate. Essendo cellule morte, nessun virus può, per definizione, replicarsi in esse o anche solo essere trasportato dalla superficie apicale a quella basale.
Nota. Per anni si è dibattuto (e ancora oggi i pareri sono contrastanti) se sia corretto definire un virus un essere vivente. Dato che non possiede tutti i parametri che definiscono la "vita" (vedi qui), ad esempio il metabolismo, il consensus è che un virus sia meglio definibile come una "stringa di informazioni", probabilmente originata da protocellule regredite, incapace di per sé di fare alcunché ma capace, in presenza di un substrato cellulare adatto, di riprogrammare la cellula ospite per produrre altre copie della stringa di informazioni.

Pertanto, qualsiasi virus che "atterri" sulla pelle, li rimane fintanto che non verrà rimosso da eventi esterni (come accade ad una particella di polvere per capirci). Alla domanda "per quanto tempo una particella virale rimane integra o semplicemente attiva" (in grado di modificare una cellula) la risposta è "dipende dal tipo di virus". Alcuni possono rimanere per anni in "standby" mentre altri (ad es, l'HIV) si inattivano dopo solo pochi minuti di esposizione all'aria aperta.

Che il virus possa fare danni dipende quindi dalla possibilità che ha di accedere alle cellule bersaglio. Più facile quindi, se la cellula bersaglio (quindi permissiva e suscettibile) è in prossimità della cute. Tornando all'esempio di un virus depositatosi sulla cute, il rischio aumenta se "casca" (i virus non si spostano autonomamente) all'interno di tagli o abrasioni. Non che siano necessarie ferite evidenti; bastano delle microabrasioni come quelle che derivano da attività quotidiane come la rasatura. Un semplice graffio invisibile può infatti alterare l'integrità della barriera naturale esponendo alla superficie le cellule vive sottostanti lo strato corneo.

Un paziente nelle ultime fasi di infezione da virus Ebola (ad esempio il paziente Dallas) libera nei fluidi corporei elevate quantità di particelle virali. Data la natura della malattia i fluidi arrivano sulla superficie e da li, in assenza di adeguate e rigorose precauzioni, possono entrare in contatto con la cute o peggio con le mucose (zone molte più a rischio) di chi presta assistenza. Anche in presenza di una cute perfettamente integra le mucose (di occhi, naso, bocca) sono prive dello strato cheratinizzato e quindi sono degli "ottimi" canali di accesso per il virus.
Nota. Anche una volta penetrato nell'organismo ospite, il punto chiave perché si abbia una infezione è che il virus raggiunga le cellule bersaglio, spesso molto distanti o irraggiungibili. Ancora una volta, virus diversi hanno un fattore di rischio infettivo diverso
Quanto scritto spiega per quale motivo sia necessario per chiunque svolga mansioni di assistenza a soggetti anche solo potenzialmente infettati, usare tute di contenimento adeguate. Ovunque si trovi.
Non c'è spazio per eroismi inutili (suicidi per se stessi ma soprattutto per la comunità) di chi, tra gli operatori sanitari (ONG o internazionali) ritiene sufficiente usare una mascherina o la propria disponibilità a curare. Serve una solida organizzazione alle spalle, in grado di gestire logistica e sicurezza. Al momento solo l'esercito americano può farlo.

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Altra domanda importante riguarda il pericolo di infezione nel periodo asintomatico.
Il consensus attuale è che il rischio sia praticamente nullo. Le basi di questa convinzione sono riassunte in due punti principali:
  • Il titolo virale (numero di copie di RNA per unità di volume ematico) è inferiore alla soglia di rilevazione (per altro molto sensibile) fino al giorno in cui compaiono i sintomi.
  • Una analisi retrospettiva dei precedenti focolai di infezione (tabella CDC) e la ricostruzione del percorso seguito dal virus per diffondersi (vedi l'albero di diffusione a partire da un "paziente zero" ---> QUI) evidenzia che in nessuno dei casi noti l'infezione è avvenuta per il contatto tra il soggetto x e il soggetto asintomatico. In tutti i casi l'infezione è avvenuta o durante l'accudimento del malato o nelle fasi di lavaggio e vestizione del defunto, come le usanze locali impongono.
Pur considerando questi dati scientificamente validi e non criticabili, non posso non rilevare la presenza di una zona grigia tra il momento in cui si sintomi si manifestano nella loro chiarezza e le ore immediatamente precedenti in cui verosimilmente ci sono avvisaglie di pochissimo conto e non rilevate dallo stesso soggetto. Ad esempio il medico newyorkese ora in terapia intensiva, aveva viaggiato tranquillamente in metropolitana. L'esordio della malattia si è avuto con la comparsa di fenomeni diarroici. Al che la domanda di cosa sarebbe successo se questi sintomi fossero comparsi mentre era in viaggio. Anche in questo caso vale la pena ricordare il motto "prevenire è meglio che curare". Questo andrebbe fatto capire all'infermiera americana che rientrata dall'Africa dove aveva lavorato con pazienti affetti da Ebola, si è vigorosamente rifiutata di entrare in quarantena facendosi fotografare con il marito in bicicletta nelle campagne del New England.

Il dettaglio del tipo di sintomatologia presente con il progredire dell'infezione dal momento in cui diviene manifesta (tra 4 e 21 giorni dopo l'infezione).
La tabella dei sintomi dal giorno 1 al 14.mo spesso associato al decesso



 Come si nota dalla tabella, la presenza di emorragie avviene tipicamente nella fase finale della malattia, e tra l'altro riguarda meno del 50 per cento dei pazienti. Come descritto in un articolo successivo, una delle caratteristiche peculiari dell'epidemia 2014 è la maggiore rilevanza di eventi gastrointestinali (principale causa di disidratazione) e una frequenza ancora minore di sanguinamenti diffusi.
Dove può essere trovato il virus nelle diverse fasi dell'infezione. Da sottolineare la persistenza del virus anche quando il paziente è clinicamente guarito; non a caso le aree in cui è presente sono zone "protette" dall'azione immunitaria . Non si hanno tuttavia evidenze che tale persistenza si accompagni a nuove infezioni. La protezione anticorpale è duratura. Sono ancora presenti gli anticorpi nei soggetti sopravvissuti dopo 11 anni dalla scomparsa dei sintomi (fonte CDC)


Un dato non ancora compreso ma chiaramente indicativo di modificazioni nel ceppo virale (Ebola Zaire) responsabile.

(articolo successivo su Ebola ---> "i numeri dell'epidemia")

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