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Emofilia A. Essere tolleranti conviene ... anche al sistema immunitario

L'emofilia è una malattia genetica caratterizzata da un deficit nella capacità di coagulazione del sangue che si manifesta con emorragie pericolose anche in seguito a banali urti. 
Può presentarsi in tre forme (A, B o C) a seconda di quale sia il gene coinvolto, gene in ogni caso codificante per una proteina chiave nel processo di coagulazione. Le alterazioni associate sono di tipo "loss of function" (perdita di funzionalità) e risultano in livelli nulli o molto bassi della proteina corrispondente, nota come fattore VIII (emofilia A), fattore IX (emofilia B) o fattore XI (emofilia C).
Schema riassuntivo dei fattori coinvolti nella coagulazione (© wikimedia)

Tra queste la forma più grave (e purtroppo comune) è la emofilia A la cui prevalenza è di circa 1 ogni 6 mila maschi.

Sebbene l'unica terapia risolutiva, ma ancora lontana nel tempo, sia la terapia genetica mediante l'inserimento del gene normale nelle cellule del paziente, il trattamento attuale fornisce un certo grado di protezione. Parliamo della infusione a tempi regolari di fattore VIII per ricostituire le scorte di fattore degradato o usato.
Questo trattamento ha un limite intrinseco, deve continuare per tutta la vita, e nel 30% dei pazienti perde di efficacia a causa della produzione da parte del paziente di anticorpi contro il fattore infuso; un vero e proprio rigetto dovuto al non riconoscimento della proteina infusa come propria.
Il lavoro pubblicato da Alexandra Sherman sulla rivista Blood affronta quest'ultimo problema, descrivendo un approccio per insegnare al sistema immunitario a tollerare il fattore VIII infuso.
Nota. Con tolleranza immunologica si intende la perdita di responsività del sistema immunitario contro un antigene; un processo sfruttato in allergologia per minimizzare la risposta agli allergeni ambientali.
Per 2 mesi, i ricercatori hanno inserito nel cibo dei topi di laboratorio foglie di piante, ingegnerizzate geneticamente per produrre frammenti di FVIII. I frammenti sono stati progettati in modo da essere trattenuti all'interno delle cellule vegetali e passare indenni attraverso l'ambiente acido (e ricco di enzimi proteolitici) dello stomaco dei roditori consentendo così il raggiungimento dell'intestino. Qui il FVIII viene liberato è può entrare in contatto con le cellule immunitarie che pattugliano le pareti intestinali (--> microbiota). La cattura, il processamento e la presentazione dell'antigene ad altre cellule immunitarie fa parte del normale processo con cui le cellule immunitarie intestinali portano "alla conoscenza" del sistema immunitario la presenza di nuovi antigeni. Una continua stimolazione con un certo antigene porta alla tolleranza immunologica, fenomeno alla base della presenza di batteri "amici" (in quanto essenziali per il nostro benessere) nell'intestino. Questa "accettazione"spiega il dato ottenuto nei topi, in cui l'induzione della tolleranza verso il FVIII ha portato ad un drastico calo degli anticorpi contro la proteina; un calo che restituisce piena funzionalità al trattamento anti-emofiliaco.

Si tratta al momento solo di una prova di concetto per verificare la validità teorica dell'approccio. Prima di arrivare in essere umano saranno necessari molti altri studi volti a misurare efficacia e sicurezza. Se tutto andrà per il verso giusto si potrebbe pensare di associare il trattamento infusivo a capsule contenenti il fattore VIII, inutili queste ultime a fini terapeutici ma finalizzate ad indurre la tolleranza immunologica.

Fonte
- Suppression of inhibitor formation against FVIII in a murine model of hemophilia A by oral delivery of antigens bioencapsulated in plant cells
Alexandra Sherman et al, (2014) September 4, 2014; Blood: 124 (10)

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