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Abbiamo la vista agli infrarossi e non lo sappiamo?

E' indubbio che noi umani siamo, a differenza di Superman, alquanto limitati essendo privi della vista a raggi X.
Tuttavia si è recentemente scoperto che possediamo senza saperlo, una sorta di visione agli infrarossi, che invece manca al supereroe.
Ovviamente nulla di paragonabile alla visione possibile con i visori notturni, siano essi termocamere o strumenti in grado di captare la radiazione infrarossa residua (capacità tipica di molti animali notturni).

Più modestamente si tratta invece di una visione indiretta dovuta alla simultanea interazione di coppie di fotoni "infrarossi" con la stessa proteina presente nei fotorecettori delle cellule della retina. Se l'energia complessiva trasmessa supera la soglia di attivazione, allora inizierà la catena di eventi culminante con i segnale elettrico attraverso il nervo ottico.
La scoperta viene da test condotti con la luce laser, che mostravano come soggetti esposti ad una luce invisibile ai nostri occhi (l'infrarosso) dichiaravano non solo di avere percepito una luce, ma cosa ancora più il colore percepito variava tra un test e l'altro. Il che è doppiamente strano in quanto prima di tutto non ci dovrebbe essere alcun colore percepito essendo l'infrarosso al di fuori dello spettro cromatico (il visibile e infine la percezione variabile è difficile da spiegare (ad esempio se io osservo un giallo all'interno dello stesso contesto questo mi apparirà giallo adesso, tra cinque minuti o tra un anno).
Prima di proseguire nell'analisi del fenomeno facciamo un ripasso veloce della percezione dei colori.
Il concetto standard di luce visibile usa come assunto implicito, lo spettro "percepito" da un occhio (e cervello) "sani".  Percezione, appunto, di colori (che in quanto tali non esistono) la cui "attribuzione" è conseguenza in primis della integrità dei sensori e a cascata dei circuiti neurali di elaborazione: mentre il deficit cromatico nei daltonici è in genere parziale (entità e caratteristiche dipendono da quale tra i 58 geni coinvolti è mutato), nelle persone affette da acromatopsia il deficit cromatico è totale (vedono in "bianco e nero").
Nota. Una buona lettura a riguardo è "L'isola dei senza colore" del compianto Oliver Sacks.
Questo è quanto il nostro occhio è attrezzato per vedere (© wikipedia) Se volete avere maggiori dettagli sulla fisiologia base della visione, questo pdf fa per voi
La distribuzione sull'epitelio retinico delle cellule note come bastoncelli (rod, necessari per condizioni di scarsa luminosità) e coni (cone, tre tipi diversi - L, M, S - responsabili della percezione del colore) non è uniforme. I coni sono concentrati nell'area della macula/fovea, dove peraltro sono assenti i bastoncelli. I bastoncelli sono invece preponderanti nelle zone esterne alla fovea, il che vuol dire sulla quasi totalità dell'epitelio retinico. Gli animali notturni sono dotati di un numero molto maggiore di bastoncelli e pochi coni. Il motivo per cui i primati (quindi anche noi) vediamo "a colori " su base tricromatica è una conseguenza della pressione selettiva sugli animali la cui dieta era principalmente basata sulla frutta; la gamma cromatica resa possibile dai tre tipi di coni consentì ai proto-primati di distinguere i frutti maturi da quelli acerbi. Non stupirà quindi scoprire che la stessa pressione selettiva ha fatto si che alcuni tipi di uccelli possiedano 4 tipi di coni, il che fornisce loro una gamma cromatica ben superiore alla nostra.
La ricchezza visiva della realtà da noi percepita (colori, sfumature, profondità e dettagli) deriva dalla cattura prima e dalla elaborazione cerebrale poi di una banda molto limitata dello spettro elettromagnetico. Lo spettro del "visibile" comprende solo 300 nanometri di banda (dai 400 nanometri - blu - ai 720 nanometri - rosso), lasciando fuori non solo ultravioletti e infrarossi ma anche onde radio e sul lato opposto, le onde ad alta energia. Il mondo che vediamo è un riflesso di come i fotoni "visibili" (dotati di lunghezza d'onda del visibile) interagiscono con la materia, della capacità del nostro occhio di intercettare i fotoni riflessi e, ovviamente, della elaborazione fatta dal nostro cervello. 
A proposito degli "scherzi" legati alla percezione vi rimando a --> "C'è chi vede Gesù in un toast".
Se in qualche modo ci fosse data la possibilità di vedere "altro" oltre alla radiazione visibile, il mondo circostante ci apparirebbe ben al di là dell'immaginario più spinto. Pensate alla possibilità di vedere un telefonino non solo attraverso la luce visibile ma mediante le onde a 2,4 GHz, che da questo entrano ed escono.
Se siete curiosi di scoprire come vedono gli altri animali e la teoria alla base dei visori notturni, questi due siti fanno per voi ---> "Visione in animali" e "Visore a infrarossi".

Fatta questo ripasso teorico possiamo tornare ai test condotti dai ricercatori americani. Gli esperimenti con la luce laser (luce coerente e monocromatica) evidenziarono un fatto inatteso, cioè che le persone non solo vedevano luce "invisibile" (superiore a 1000 nm) ma che questa veniva percepita diversamente (come bianco, verde o altri colori) sia da individui diversi che dopo la ripetizione del test sullo stesso soggetto.
Nota. Gli esperimenti sono stati fatti solo con luce di lunghezze d'onda maggiore dello spettro del visibile per ovvi motivi legati alla dannosità dei fotoni più energetici (vedi in proposito l'effetto dei raggi ultravioletti).
Il primo a sottoporsi al test fu Krzysztof Palczewski, uno dei ricercatori della Case Western Reserve University di Cleveland, che oltre a quanto sopra detto si accorse che mentre riusciva a percepire una luce quando usava il laser a 1050 nm, non percepiva più nulla quando il laser era tarato per lunghezze d'onda tra l'infrarosso vicino e i 1050 nm del test.
Un risultato riassumibile nel fatto che l'infrarosso era visibile ... purché non troppo vicino allo spettro del visibile.

Il dato fu confermato mediante test condotti su 30 volontari sani, le cui retine vennero illuminate con un fascio di luce a bassa energia e a varia lunghezza d'onda partendo dagli infrarossi.
Due le ipotesi "in gara" che Palczewski decise di testare:
  • nella prima si ipotizzò che quando la luce con lunghezza d'onda maggiore rispetto al visibile colpisce il collagene nel tessuto connettivo nell'occhio, una piccola quantità di questa energia produceva fotoni di lunghezza d'onda pari a circa la metà della luce incidente (fenomeno noto come second-harmonic generation - SHG). Questo spiegherebbe come mai la retina sia in grado di percepire un infrarosso con specifica lunghezza d'onda e perché il colore percepito non sia univoco. Una sorta di inganno della retina che fa credere al cervello di avere visto una luce quando in realtà questa è secondaria e nasce al suo interno.
  • L'altra ipotesi era che la visione all'infrarosso fosse il risultato di un fenomeno noto come isomerizzazione a due fotoni. Per farla semplice, i fotorecettori posti su apposite cellule della retina sono in grado di catturare l'energia associata a fotoni con particolare lunghezza d'onda. Una volta assorbita, i fotorecettori cambiano forma e si innesca una serie di eventi che culminano nella generazione di un segnale elettrico nel nervo ottico. L'elaborazione e la "comprensione" del segnale avviene successivamente quando il segnale arriva in specifiche aree cerebrali (non di interesse per il fenomeno qui descritto).
    I fotoni "infrarosso" hanno di loro troppo poca energia (per la fisiologia dell'occhio umano) per attivare un segnale. Tuttavia, teoricamente, se due fotoni ciascuno dotato della metà dell'energia necessaria (quindi con lunghezza d'onda doppia) colpissero lo stesso fotorecettore insieme, la somma della loro insufficiente energia potrebbe essere tale da innescare la isomerizzazione del recettore come farebbe un singolo fotone "visibile".
La prima ipotesi venne testata rimuovendo il collagene dalla retina di un topo, e testando la loro risposta a luce visibile e infrarossa. Dato che i topi continuavano a vedere oltre la luce normale (e questo era atteso) anche la luce infrarossa a 1000 nm, ne derivò che la prima ipotesi poteva essere eliminata. A supporto di questa esclusione, il dato che i cristalli della rodopsina (il fotorecettore) se illuminati con infrarosso cambiano colore (in modo variabile) a indicare parziale assorbimento della luce. Quindi la SHG non è alla base della visione degli infrarossi.

Riguardo alla seconda ipotesi, mancano veri dati sperimentali e ci si deve al momento basare su una logica ad esclusione e alle simulazioni fatte al computer. Le elaborazioni indicano non solo che la rodopsina può in effetti assorbire due fotoni a bassa energia ed esserne eccitata ma che il picco di tale eccitazione nell'infrarosso lo si ottiene usando lunghezze d'onda tra 1000 e 1100 nm, un dato che spiega perfettamente perché l'infrarosso tra 800 e 1000 nm fosse solo debolmente percepito nei test.
La spiegazione è ancora indiziaria e, a onor del vero, alcuni ricercatori non sono totalmente convinti che l'ipotesi SHG debba essere scartata almeno fino a che si otterranno risposte da retine di primati, che come si sa hanno un campo visivo diverso da quello dei roditori.
Nei serpenti (ad esempio i viperidi) la visione ad infrarossi, o meglio la eccellente capacità di vedere al buio animali a sangue caldo, è legata al connubio tra alta densità bastoncellare nell'occhio e le fossette termosensoriali (pit organs) poste tra narice e occhi dotate di membrane termosensibili. Il meccanismo è quindi ben diverso da quello sopra descritto.

(Articoli precedente sul tema --> "visione")

Fonte
- Human infrared vision is triggered by two-photon chromophore isomerization
Palczewska, K. et al. Proc. Natl. Acad. Sci. USA,


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