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Batteri miccia per il diabete?

La convivenza con i microbi che ospitiamo sulla nostra superficie corporea (sia interna nel caso di intestino e mucose che esterna nel caso della cute) è di mutuo beneficio per entrambi. Noi forniamo loro un habitat in cui vivere e loro ci forniscono sia capacità metabolica aggiuntiva, degli sparring partner per il nostro sistema immunitario e una arma per tenere a bada i microbi patogeni.
Al cambiare delle condizioni dell'habitat cambia anche la popolazione microbica residente in un ciclo resiliente ma allo stesso tempo autoalimentato (vedi sotto il legame con l'obesità). Questo spiega anche l'importanza dei probiotici (di fatto microbi in bibita o pastiglie) dopo terapia antibiotica o in caso di malesseri da "disequilibrio" microbico.
Non a caso quindi lo studio del microbioma ha acquisito negli anni una centralità sempre maggiore, grazie anche ai metodi di indagine genomica oggi disponibili che permettono di ottenere dati sempre più precisi anche su popolazioni microbiche complesse. Come detto, comprendere le variazioni del microbioma, in senso sia quantitativo che qualitativo, ci fornisce una chiave di lettura importante per capire il nostro stato di salute.

L'equilibrio della popolazione microbica
 tiene a bada "i cattivi"
Tra i tanti aspetti che spiegano l'interesse dei ricercatori per il microbioma vi è la relazione tra l'alterazione della flora intestinale e alcune disfunzioni metaboliche come ad esempio l'obesità in un intreccio in cui è a volte difficile capire chi sia causa e cosa l'effetto ma è certa l'esistenza di una correlazione; la flora microbica in un paziente obeso è diversa ed è sia causa che effetto dello stato di obesità.

Un altro campo di interesse è nella comprensione dei meccanismi di innesco, oltre alla genetica predisponente, del diabete di tipo 1 (vedi nota a piè di pagina). Tra le ipotesi più condivise è che una qualche infezione anche asintomatica agisca come miccia inducendo casualmente una risposta "scomposta" da parte del sistema immunitario che "confonde" epitopi presenti sulle cellule beta di Langerhans del pancreas con quelli dell'intruso. Manca ad oggi tuttavia la cosiddetta "pistola fumante", cioè il microbo (batterio, virus o altro) responsabile di mandare "in confusione" le cellule immunitarie nei soggetti geneticamente predisposti.

Sul tema arriva ora uno studio condotto da un team della università di Yale, il cui lavoro è apparso su Journal of Experimental Medicine, focalizzato nell'analizzare il legame tra batteri intestinali e diabete di tipo 1. Il gruppo coordinato da Li Wen ha studiato le cellule immunitarie responsabili dell'attacco, i linfociti T CD8, in un modello murino; si è così scoperta l'esistenza di una proteina in alcuni batteri intestinali (tra cui un ceppo di fusobatteri) avente una struttura molecolare 3D simile a quella di una proteina prodotta dalle cellule pancreatiche che producono insulina. Fenomeni non rari, noti con il termine di mimetismo molecolare, usati da alcuni microbi per confondersi con l'ospite; il nostro sistema immunitario è infatti "addestrato" per non attaccare le "proprie" strutture, il cosiddetto self.
Può però avvenire (ed è qui che entra in gioco la predisposizione genetica) che questa azione di filtraggio e rimozione delle cellule potenzialmente autoreattive non sia stata completa (o il controllo sia difettivo), lasciando in circolazione linfociti pronti a colpire, dietro stimolo adeguato come uno stato infiammatorio, delle strutture totalmente self scambiandole per non self.

La scoperta potrebbe avere implicazioni significative per questa malattia cronica ad esempio agendo preventivamente sul microbioma intestinale  in soggetti con storia familiare di diabete. Come? Potenzialmente mediante l'assunzione di probiotici in grado di sostituire/modificare la popolazione microbica residente.
Chiaramente si tratta di studi preliminari per cui saranno necessarie ulteriori conferme.

Nota. Le due forme di diabete hanno una eziologia alquanto diversa. La forma 1 insorge in giovane età ed è dovuta al "fuoco-amico" del sistema immunitario; il nostro sistema difensivo riconosce come estranee le cellule produttrici di insulina del pancreas e questo innesca l'attacco che porta alla scomparsa di queste cellule. Scomparse (o notevolmente ridotte) le cellule, viene meno anche la produzione di insulina e con questo l'interruttore che permette alle cellule di "catturare" il glucosio dal sangue con il risultato di un affamamento cellulare pur in presenza di iperglicemia (che a sua volta causa altri problemi). Il diabete di tipo 2 è invece a insorgenza tardiva (oltre la mezza età) e spesso conseguente ad altre disfunzioni metaboliche (innate o indotte da alimentazione) come l'obesità. Almeno nelle prime fasi della malattia i livelli di insulina sono normali, quello che cambia è la ridotta sensibilità delle cellule periferiche all'azione dell'insulina. La penuria "percepita" di cibo dalle cellule induce una iperproduzione di insulina per compensare la resistenza periferica, ma questo sul lungo periodo si traduce in un "esaurimento produttivo" delle cellule e di qui una carenza reale di insulina; di fatto una trasformazione in diabete di tipo 1 sebbene per motivi non legati all'autoimmunità.

Per approfondimenti sul tema microbiota --> "Il microbiota e noi. Un ecosistema" o clicca sul tag --> "Microbioma"

Fonte
- Microbial antigen mimics activate diabetogenic CD8 T cells in NOD mice
Ningwen Tai et al, J Exp Med. 2016 Sep 19;213(10):2129-46



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