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I ragni e l'invenzione di una fune a prova di oscillazione

Non è necessario avere la passione delle arrampicate montane per conoscere le difficoltà legate all'utilizzo di una fune ad estremità libera. 
credit: Bertrand Semele
E' sufficiente il ricordo dell'ora di ginnastica dei tempi del liceo con gli esercizi di salita e discesa lungo una fune ancorata al soffitto per sapere che sotto la forza indotta dalla nostra manovra la fune tenderà ad oscillare in misura proporzionale alla nostra distanza dal punto di ancoraggio.

Eppure c'è un animaletto, il ragno, che non ha di questi problemi e anzi può essere ammirato scorrere agile lungo il filo di seta senza indurre alcun apparente movimento. Quando si parla di ragni non è corretto generalizzare e associarli alla classica ragnatela per il semplice motivo che non solo molti ragni non ne sono capaci ma quelli "abilitati" ne producono di tipi così diversi dall'essere loro stessi classificati in base alla ragnatela prodotta. Tutti i ragni sono tuttavia capaci di produrre seta sebbene di composizione diversa a seconda del suo utilizzo. Limitandoci al caso della "ragnatela classica" (ad esempio quella prodotta dal ragno crociato) non tutti i fili sono uguali come evidente dalla presenza di cavi radiali portanti e cavi circonferenziali appiccicosi utili per catturare le prede; struttura e materiali diversi in grado però di assicurare resistenza e iper-elasticità.
La ragnatela è formata da due tipi di filamenti di seta miscelati in diverso rapporto. Ciascun filamento (di natura proteica) viene secreto da specifiche ghiandole in forma liquida per divenire immediatamente solido e con una resistenza senza eguali anche tra i prodotti industriali. I due tipi di filamenti sono uno vischioso (utile per la cattura degli insetti) mentre l'altro, noto come dragline (filo teso) conferisce resistenza, flessibilità ed elasticità. Le proteine costituenti i filamenti sono diverse ma le proteine MaSp1 e MaSp2 sono specifiche per la seta dragline.
Le proteine "mattone" dei diversi tipi di filamenti in una ragnatela (credit: Olena Tokareva from Microb. Biotechnol.) Se volete uno schema più dettagliato --> QUI
Le proprietà di questi filamenti hanno destato l'interesse dell'industria per la possibilità di creare fibre altamente resistenti ed ecologiche. A conferma della fattibilità del processo vi è la produzione in laboratorio di una proteina ricombinante dotata di caratteristiche paragonabili a quella naturale (--> Olena Tokareva et al).
La dragline in particolare è importante sia da un punto di vista strutturale che come fune "salvavita" in grado di prevenire rovinose cadute al ragno durante le sue discese verso il suolo. Non è tuttavia la robustezza della dragline che mi interessa sottolineare oggi (sebbene sia 5 volte più resistente alla pressione dell'acciaio), quanto la sua stabilità alla torsione, una caratteristica che limita fortemente l'ampiezza dell'oscillazione del filo durante le salite/discese del ragno. Questa proprietà è quella che fa la differenza sia rispetto alle funi naturali (come la canapa) che a quelle artificiali (i cavi di acciaio) propense ad oscillare ogni qualvolta sono associate ad un carico (guardate la cautela con cui viene mosso il gancio di una gru per avere una idea delle problematiche associate).
Vale la pena ricordare che la evidente stabilità della fune di seta mentre il ragno si sposta velocemente su di essa non dipende dal suo peso minimale; si tratta pur sempre di un rapporto elevato tra il peso del ragno e lo spessore della fune.

L'analisi delle proprietà torsionali della dragline è stata portata avanti dai ricercatori della Queen Mary University a Londra che hanno sviluppato all'uopo una versione moderna del pendolo di torsione "classico"; l'integrazione del pendolo con un rilevatore di immagini ad alta velocità ha permesso di registrare le oscillazioni del pendolo e i suoi angoli angoli di torsione al variare della "mini-fune" usata.
L'analisi della torsione è  tra i metodi di maggiore sensibilità quando vengono analizzate le proprietà meccanica di un dato materiale. Un approccio non nuovo in realtà se si pensa che già nel 1700 Henry Cavendish utilizzò la torsione di un pendolo per dimostrare l'esistenza della attrazione gravitazionale tra due masse rappresentate dai pesi metallici alle sue estremità. Un esperimento simile fu fatto negli stessi anni anche da Charles Augustin de Coulomb negli studi che portarono alla formulazione della legge di attrazione elettrostatica.
I test sono stati condotti sia su filamenti "classici" che sulle dragline prodotte da due specie di ragni tessitori del genere Nephila. I filamenti, fissati ad una estremità ad un cilindro e all'altra a delle rondelle in grado di mimare il peso del ragno, sono stati sottoposti a torsioni la cui energia si è scaricata provocando oscillazioni del cavo; i movimenti sono stati registrati e quantificati mediante il rilevatore di immagini collegato ad un computer.
Le prove condotte su fibre di Kevlar, fili metallici o altre fibre convenzionali mostravano la comparsa di un movimento sia rotatorio che di oscillazione intorno al punto di riposo. Niente di sorprendente.
La sorpresa venne invece quando si passò ai filamenti di seta del ragno che oscillavarono intorno ad una posizione diversa rispetto a quella di riposo ad indicare che la fibra presentava delle deformazioni interne in grado di assorbire almeno parte della forza ricevuta.

Torsione ed oscillazione. Se non vedi il video --> Youtube

Gran parte dei materiali disponibili - come la gomma, l'acciaio, la pietra e l'argilla - si deformano quando sono sottoposti a carico ma tornano alla forma iniziale una volta che questo viene rimosso; un fenomeno riassumibile con il termine elasticità
Ovviamente il discorso è valido all'interno di determinati intervalli di carico, specifici per ogni materiale, oltre il quale il materiale si danneggia, rompe o rimane permanentemente deformato; in quest'ultimo caso si parla di plasticità.

Il filamento di seta prodotto dal ragno ha una doppia proprietà mostrando sia caratteristiche di plasticità che di elasticità già a partire dalla prima, anche piccola, forza di deformazione subita. Questo "cedimento interno" è sufficiente per dissipare la maggior parte dell'energia immagazzinata nella torsione il che a cascata riduce l'ampiezza delle oscillazioni. La restante parte della energia indotta dalla torsione si "consuma" per l'attrito con l'aria o, ma non è ancora chiaro, per attriti interni alla struttura molecolare della fibra.
In assenza di queste proprietà strutturali il ragno comincerebbe ad oscillare scivolando verso il basso della sua fune ogni qualvolta iniziasse a spostarsi su essa.

Nessun materiale si comporta in questo modo e i ricercatori hanno avuto seri problemi nel cercare di comprenderne le basi molecolari. 
Per comprenderne le basi bisogna partire dalla nozione prima anticipata che ogni filo di seta è costituito da fibrille ciascuna delle quali è composta da proteine la cui struttura secondaria è un susseguirsi di regioni amorfe e aree a struttura definita come i beta-sheet.
Dentro ogni fibrilla c'è una serie di strutture disordine (amorfe) e ordinate (cristalline)
(credit: Kebes, CC BY-SA)
Le aree amorfe sono tenute insieme da deboli legami idrogeno che per tipologia (ma soprattutto per numero) non consentono di mantenere una forma rigida al contrario delle zone strutturate.
Per avere una idea della potenza complessiva dei legami idrogeno ma della loro labilità se presi singolarmente, pensate all'acqua e al suo apparire solida (le molecole sono insieme dai legami idrogeno) ma in realtà "non afferrabile" come un solido proprio per la labilità dei legami che permette a ciascuna molecola di scivolare l'una accanto all'altra. E' sufficiente inserire un dito nell'acqua per sparigliare localmente la struttura, una manovra che causa la rottura dei legami idrogeno locali formandone di nuovi sulle molecole delocalizzate.
L'idea che si sono fatti i ricercatori è che in seguito alle forze di torsione le catene amorfe assorbono l'energia, deformandosi. La deformazione insieme all'attrito tra le fibrille permette di dissipare l'energia applicata che così non dovrà essere "scaricata" su movimenti della fibra in toto. La forma complessiva della fibra di seta viene invece mantenuta grazie alla presenza delle zone "strutturate". 
Questo spiega come mai la fune "non sembri percepire alcuna forza mentre il ragno sale o scende lungo essa".

Implementare questa tecnologia naturale nell'industria avrebbe applicazioni su vasta scala, dalle scalette di salvataggio degli elicotteri alle funi dei paracadute.

Articoli precedenti sui ragni -->  "Il ragno che "suona" la sua tela"e "L'antenato dei moderni artropodi".


Fonte
Why abseiling spiders don’t spin out of control – new research
David J Dunstan (2017)

- Se volete avere maggiori informazioni sulla struttura della seta dei ragni --> QUI e --> QUI

Per una lettura più approfondita




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Il nichel è cruciale per il campo magnetico della terra

Una semplice bussola informa anche chi è alieno da studi scientifici che la Terra è dotata di un campo magnetico. I primi a scoprire che le lancette metalliche si orientavano sempre allo stesso modo furono i cinesi ma ci vollero secoli prima che questa nozione passasse da mero intrattenimento da strada a strumento di navigazione (circa nel XI secolo) e molti altri anni ancora prima che da "fatto noto ma inspiegabile" lo si categorizzasse come effetto prodotto da una forza.
La bussola arrivò in Europa poco dopo il XIII secolo e il primo a teorizzare l'esistenza di un campo geomagnetico fu  Pierre de Maricourt nella epistula de magnete del 1269. Bisogna però aspettare il XVII secolo prima che inizi un vero e proprio approccio scientifico al geomagnetismo e molti decenni prima che se ne capisse l'origine e il suo ruolo essenziale nel proteggere il pianeta dai venti solari.
La differenza tra la Terra e i suoi "sfortunati consimili" tra i pianeti rocciosi è che Venere e Marte hanno un campo magnetico molto inferiore il che, come evidente nel caso di Marte, ha lasciato il pianeta in balia dei venti solari contribuendo (insieme alla minore massa e quindi forza gravitazionale) alla perdita della atmosfera. Tra i pianeti rocciosi solo Mercurio ha un campo magnetico paragonabile (sebbene inferiore) a quello della Terra che a sua volta è inferiore solo a quello di Giove ma superiore ad altri "giganti" come Saturno, Urano e Nettuno.
(cliccare per ingrandire)
Ad oggi molte sono le conoscenze acquisite, eppure rimangono alcuni interrogativi chiave sulla esatta dinamica all'origine del nostro campo magnetico. Non ci sono ovviamente dubbi sul fatto che la conducibilità elettrica nel nucleo fuso del pianeta è, insieme alla  rotazione del pianeta stesso, la chiave per la produzione della dinamo  planetaria. Il vero punto è che il ferro da solo non è sufficiente a spiegare il fenomeno.

Il nucleo della terra è grande quanto la luna, caldo come la superficie del sole ed esposto ad una pressione di centinaia di gigapascal.

Due sono gli elementi cardine su cui si fonda la comparsa del campo magnetico nel nostro pianeta. In primo luogo le correnti di convezione necessarie per trasportare il calore dal nucleo verso gli strati più esterni della Terra a cui si aggiunge l'effetto della forza di Coriolis prodotta dalla rotazione del pianeta. Il risultato complessivo è un flusso a spirale di materia calda.
Quando all'interno di tali flussi si generano correnti elettriche, queste fungono da "innesco" del campo magnetico che a sua volta produce corrente elettrica in un crescendo che fa si che il campo magnetico alla superficie terrestre diventa facilmente misurabile.

Il problema teorico ad oggi era che nessuno era in grado di spiegare in dettaglio l'origine prima delle correnti di convezione. Il ferro (l'elemento ritenuto centrale nel geomagnetismo) è certamente un ottimo conduttore di calore e alle pressioni del nucleo la sua conducibilità è ancora più elevata. Tuttavia se il nucleo terrestre fosse costituito solo di ferro, gli elettroni liberi di questo elemento altamente conduttivo sarebbero sufficienti a gestire il trasporto di energia (calore), quindi le correnti di convezione non avrebbero ragione di formarsi. A cascata, in assenza di correnti di convezione non si avrebbe alcun campo magnetico; quindi dato che il campo magnetico è una realtà ne deriva che il ferro non può essere l'unico componente di rilievo nel nucleo.
Per superare il dilemma, ricercatori di alcune università austriache (tra cui due italiani, Alessandro Toschi e Giorgio Sangiovanni) hanno sviluppato modelli predittivi al computer inserendo le diverse variabili coinvolte cercando di ottenere modelli che più si avvicinassero al campo magnetico reale. Tra le variabili inserite l'effetto della presenza di metalli diversi dal ferro nel nucleo terrestre. 

Karsten Held e Alessandro Toschi
(Technische Universität Wien)
I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications in cui i ricercatori dimostrano che la teoria geodinamica deve essere rivista. Il punto cruciale emerso è che finora si è sempre trascurato il contributo reale del nichel, un elemento sulla cui abbondanza non vi erano dubbi (costituisce fino al 20% del nucleo) ma finora assimilato come comportamento al ferro. I calcoli attuali invece dimostrano che in condizioni estreme (come sono quelle al centro della Terra) il nichel è un metallo che si comporta in modo diverso dal ferro.
Alle alte pressioni gli elettroni del nichel subiscono infatti un effetto scattering maggiore rispetto a quelli del ferro e questo tende a ridurre di molto la conducibilità termica; poiché il calore verso l'esterno non può essere veicolato dal solo flusso di elettroni, ecco allora che si spiega perché nascano le correnti di convezione e da li il campo magnetico terrestre.

Domanda ovvia è perché un tale comportamento fosse finora sfuggito.
Il motivo è che il comportamento dei metalli in condizioni anomale implica simulazioni al computer (o meglio su reti di computer) dotati di potenze di calcolo non facili da ottenere anche solo pochi anni fa.
Il risultato ottenuto va al di là dell'avanzamento delle conoscenze sulla geofisica terrestre fornendo nuovi elementi di conoscenza sullo scattering elettronico in diversi materiali con ricadute ovvie su campi diversi come la fisica dei materiali, l'elettronica e l'astrofisica.

Fonte
- Local magnetic moments in iron and nickel at ambient and Earth’s core conditions
A. Hausoel et al, Nature Communications (2017) 8, n16062 


Identificata la molecola antidiabetica presente nei broccoli

Il diabete dell'adulto (diabete di tipo 2) è una patologia metabolica destinata a diventare sempre più importante a livello globale a causa del mix tra invecchiamento della popolazione e disponibilità di cibo (in eccesso e/o spazzatura) anche in quei paesi che fino a pochi anni fa avevano problemi di natura opposta (vedi la percentuale di obesi in Cina, India e perfino in Africa).
A differenza del diabete di tipo 1 che colpisce prevalentemente i giovani e ha una eziologia autoimmune che impone la somministrazione di insulina, il diabete dell'adulto è trattato con farmaci ipoglicemizzanti e una terapia comportamentale (attività fisica e cambiamento stile alimentare).

(credit: Fir0002)
Di alcuni alimenti come i broccoli era da tempo nota la loro azione benefica sulla glicemia sebbene non fosse chiara la loro modalità di azione. Uno studio svedese pubblicato su Science Translational Medicine fa luce sul fenomeno e apre la strada allo sviluppo di farmaci contenenti la molecola "utile" presente nei broccoli.

Il punto focale della ricerca è stata l'analisi dell'espressione genica negli epatociti di topi predisposti al diabete di tipo 2, allo scopo di ottenere una sorta di "impronta digitale" di quali e quanti sono i geni modificati da una dieta pro-diabetica.
L'analisi ha permesso così di identificare una "firma" basata sull'espressione di 50 geni che è stata poi usata come guida per trovare quale/i tra le molecole presenti in una libreria di 3800 composti fosse in grado di produrre un effetto opposto su cellule epatiche in coltura. Tra i candidati scoperti vi è il sulforafano, un isotiocianato presente nei broccoli e da qui la scoperta "dell'anello mancante" nel legame broccoli-contrasto iperglicemia.
Test successivi condotti con questa molecola hanno confermato la sua capacità si di prevenire la comparsa della resistenza periferica al glucosio che di normalizzare, qualora questa fosse già presente.
Il prossimo passo sarà validare i risultati negli esseri umani. Un approccio su cui non gravano rischi teorici date le conoscenze consolidate sugli effetti benefici ottenibili usando concentrati di estratti di broccoli, come agente normalizzante la glicemia in soggetti obesi.

Fonte
- Sulforaphane reduces hepatic glucose production and improves glucose control in patients with type 2 diabetes
Annika S. Axelsson et al, Science Translational Medicine, (2017) v9, n 394



Cassini. Fine dell'avventura

Alle 4:57 am (le nostre 13:57) è arrivato via Twitter l'annuncio del "fine vita" della sonda Cassini 
(come al solito tutte le immagini sono cliccabili per una migliore visualizzazione)

Da quel momento è entrato a fare parte di Saturno dissolto da un insieme di fattori come le forze di marea dopo avere superato il limite di Roche e l'impatto con l'atmosfera del pianeta. Del resto se anche fosse passato indenne ai primi ostacoli l'enorme pressione e i venti sarebbero stati sufficienti per triturarlo.

L'ultima immagine catturata da Cassini (a dx quella non processata) mostra il punto in cui è verosimilmente avvenuta la vaporizzazione della sonda (Credit NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute)
L'impatto odierno è stato monitorato sia mediante i telescopi tradizionali che con spettrometri ad infrarosso (VIMS).  
Le immagini non sono ancora disponibili; non che ci si aspetti qualcosa di appariscente come quello visto con quando la cometa Shoemaker Levy colpì Giove nel 1994, ma la curiosità rimane.
Aggiornamento. Ecco l'immagine dell'impatto ottenuta agli
infrarossi (Credit NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute)



Risale a mercoledì l'ultimo "saluto" alla luna Encelado, una delle sicure mete future dei viaggi spaziali a causa della presenza di acqua (e chissà, di vita microbica) sotto la superficie.
credit:NYT / NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute

Ma forse la migliore immagine di addio è quella della sonda che guarda indietro verso la Terra distante circa un miliardo di chilometri
L'immagine risalente a qualche tempo è stata postata dall'astrofisico Neil deGrasse Tyson sul suo profilo Twitter

Una ricostruzione video degli ultimi istanti della sonda Cassini


 Se non vedi il video --> sito originale del NYT (All credit to NYT)


Di seguito alcuni numeri su quanti dati ci ha fornito la missione Cassini.
Credit: NASA

*** aggiornamento aprile 2020 ***
A distanza di 3 anni dal termine della missione e grazie a tutte le immagini raccolte durante la missione, è stato prodotto un film in formato IMAX con risoluzione fino a 5,6k di cui sotto riporto una anticipazione di 1 minuto.

In Saturn's Rings 5.6k Saturn Cassini Photographic Animation - Expanded, Improved from SV2 Studios on Vimeo.

Il resto del filmato è disponibile sul sito ufficiale -->insaturnsrings
La versione "vecchia" in 4k è invece disponibile su youtbe --> 4K Saturn Cassini Photographic Animation.

Articolo successivo sulla missione --> ebook fotografico della missione



Fonti
Articolo precedente --> "In attesa del gran finale" e "Fine dell'avventura"

Fonti della NASA
- Saturn tour

Sonda Cassini. In attesa del "gran finale"

Manca poco oramai.

Fermo immagine dal contatore del sito NASA "Where is Cassini now"
Il 15 settembre la sonda Cassini terminerà la sua missione con un "tuffo" distruttivo dentro l'atmosfera di Saturno.

Sono passati già 5 mesi dall'articolo in cui si era scritto dell'inizio dell'ultima fase della missione Cassini e siamo giunti al punto di non ritorno. Dopo il ventiduesimo e ultimo passaggio attraverso gli anelli nella sua spirale discendente la missione sarà ufficialmente conclusa.

Le orbite di Cassini intorno a Saturno a partire dal 2004 (credit: theverge.com)
L'immagine di prima in 2D e su scala temporale. In verde le orbite fino al 2008,
giallo fino al 2010 e in viola fino al 2017


 Una fine che potrebbe apparire uno spreco ma che non aveva alternative dato che in ogni caso l'energia a disposizione era oramai (si fa per dire considerando che il lancio è avvenuto 20 anni fa) esaurita.
A onor del vero il nome corretto della missione è Cassini-Huygens data la presenza della sonda Huygens a bordo, fatta atterrare sulla luna Titano nel 2005.
La superficie di Titano 
Credit: NASA

e la ricostruzione al computer della sua discesa arricchita da immagini reali riprese durante la discesa fino al "touchdown"


(se non vedete il video --> youtube)

Tornando alla sonda Cassini le immagini e i dati ottenuti sono all'altezza delle migliori missioni spaziali. 

In attesa di ricevere le immagini della fase finale ecco un video riassuntivo e alcune delle immagini raccolte in questi anni.

(in caso di problemi di visualizzazione --> youTube). Altro video consigliato è disponibile su Vimeo --> NASA


Il riflesso del Sole sui laghi di idrocarburi di Encelado (JPL/NASA)

Tre delle lune di Saturno (Epimetheus, Janus e Dione in prima fila) sfilano di fronte a Cassini (® JPL/NASA)
Con uno spessore anche di soli 100 metri, gli anelli di Saturno sono stati "scolpiti" dalle lune che li solcano. Le aree "pulite" sono quelle in cui esse orbitano (vedi dettaglio nella foto successiva). Sullo sfondo è visibile la luna Pandora (® JPL/NASA)
La luna Pan e la "fessura" nota come Encke Gap (® JPL/NASA)

L'effetto delle perturbazioni gravitazionali sull'anello F
(® JPL/NASA)
Un effetto dovuto alle particelle cariche che orbitano intorno a Saturno
(® JPL/NASA via Nature)
Un gigantesco fronte "temporalesco" (ma non di acqua) si addensa sull'emisfero nord di Saturno
(® JPL/NASA)
"L'esagono di Saturno"', una conformazione nuvolosa tipica del polo nord di Saturno  (® JPL/NASA)
Vista di una struttura d'onda negli anelli di Saturno nota come "l'onda di spirale di Janus 2:1", la cui origine non è così diversa dai processi che  generano le spirale nelle galassie. Da notare che una "onda" ogni due è la stessa che ritorna dopo avere fatto il giro intorno al pianeta
Immagini di settimana scorsa durante il solstizio d'estate nell'emisfero nord

L'immagine inviata lunedì, appena prima della correzione di rotta (indotta proprio dal passaggio nei pressi di Titano) che ha "spinto" definitivamente la sonda verso l'atmosfera di Saturno. Un incontro non a caso definito "kiss goodbye"




Fonti
- JPL - NASA
- Cassini-Huygens: Exploring Saturn's System  (space.com)
- Where is Cassini now?


Schizofrenia e socialità. Un aiuto dalla stimolazione elettrica

La stimolazione elettrica del cervello, un aiuto alle persone con schizofrenia per comunicare meglio

Torniamo sul tema stimolazione elettromagnetica del cervello a fini terapeutici.
Abbiamo visto come questa sia ottenibile sia grazie ad elettrodi intracranici che mediante stimolazione esterna (--> QUI) e trovi già oggi applicazioni in patologie tra le più diverse che vanno dall'anoressia al Parkinson fino al trattamento del dolore cronico.

Tra i campi di applicazione in fase di sviluppo vi è anche il trattamento della schizofrenia, una psicosi cronica che nelle forme più gravi ha un impatto devastante sulla possibilità di vita sociale della persona colpita. Secondo un recente studio della UCLA la stimolazione elettrica del cervello potrebbe aiutare queste persone a migliorare la loro capacità di comunicazione. 
Il punto di partenza è che questi soggetti hanno difficoltà a distinguere suoni con diversa frequenza, una capacità essenziale per la comunicazione verbale. 

esempio di tDCS
(®Yokoi e Sumiyoshi)
Test preliminari condotti usando una tecnica di stimolazione neurale non invasiva nota come transcranial direct current stimulation (tDCS), hanno dato risultato più che incoraggianti. In termini semplici si tratta di indurre il passaggio attraverso il cervello di una debole corrente elettrica (equivalente a una batteria di nove volt), capace tuttavia di modificare la capacità dei neuroni di rispondere agli stimoli in generale, e di aumentare la capacità di elaborazione uditiva nel caso specifico. La tecnica esiste nelle due varianti anodica e catodica.
Ai 12 pazienti che si offerti volontariamente per i test, sono stati applicati elettrodi sul cuoio capelluto in corrispondenza della corteccia uditiva, la parte del cervello che elabora le informazioni uditive veicolate dal nervo vestibolococleare.
I partecipanti hanno ricevuto una stimolazione anodica, catodica o placebo per 20 minuti. Subito dopo la stimolazione, ai soggetti sono state fatti ascoltare coppie di toni chiedendo loro se fossero identiche o meno.
La via che porta dalla coclea nell'orecchio interno alla corteccia uditiva
La stimolazione catodica è quella che ha mostrato la comparsa di una significativa capacità di discriminazione tonale. 
Il prossimo obbiettivo dei ricercatori sarà confermare i risultati in un campione molto maggiore di pazienti e di monitorare la durata nel tempo di questo miglioramento.

Fonte
-  The effect of bilateral transcranial direct current stimulation on early auditory processing in schizophrenia: a preliminary study
Walter Dunn et al, Journal of Neural Transmission (2017), 124(9) pp 1145–1149


Nell'evoluzione del cervello, le dimensioni contano

In una riedizione della domanda se sia nato prima l'uovo o la gallina, i neuroscienziati si interrogano se le funzionalità superiori del cervello siano il risultato dell'aumento del volume complessivo oppure se il merito vada all'aumento relativo di aree specializzate rispetto ad altre.
Due sono le principali teorie che si fronteggiano per spiegare l'evoluzione del cervello. Da una parte quella che la selezione naturale abbia determinato cambiamenti progressivi in particolari aree del cervello, che hanno portato poi a cervelli complessivamente più grandi, utili per la sopravvivenza di quella specie. L'altra teoria afferma che si è prima avuto un aumento delle dimensioni complessive del cervello e solo dopo alcune aree si sono differenziate associandosi (e permettendo) a comportamenti e funzioni sempre più complessi.
Un argomento quello volumetrico a cui ho accennato in un precedente articolo (--> "Grande cervello, tanta potenza?").

Un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B da ricercatori della Cornell University fornisce nuovi elementi utili per pesare il contributo di entrambi gli aspetti. La conclusione che se ne trae è che sebbene il cervello dei vertebrati presenti un ampia gamma di dimensioni, strutture e funzionalità connesse, "la dimensione complessiva conta" (almeno in questo caso) perché possa iniziare il processo di neo-funzionalizzazione. Processo necessario ma non sufficiente dato che alcuni animali hanno cervelli dimensionalmente maggiori dei nostri ma senza che per questo siano catalogabili come dotati di funzioni cognitive superiori a quelle di un qualsiasi primate.

Il lavoro di Moore e DeVoogd è consistito nella misurazione del cervello di 58 uccelli canadesi appartenenti a 20 famiglie tassonomiche, sia nel suo insieme che riferite a 30 aree note per essere coinvolte nel controllo del comportamento.
La scelta degli uccelli come campione è legata all'essere animali molto ben studiati sia a livello comportamentale che fisiologico; il restringere il campo di studio alla sola classe Aves ha inoltre permesso di mantenere una certa omogeneità pur mantenendo la variabilità di comportamenti e nel volume del cranio.
Sebbene gran parte delle differenze nel volume relativo delle aree in esame fosse ascrivibile a differenze nel volume complessivo, sono emerse variazioni "indipendenti" in due zone funzionali specifiche. L'area per il controllo del canto era più sviluppata nelle specie il cui "canto" ha un maggior livello di complessità mentre le regioni preposte al controllo del becco e della cavità orale erano più sviluppate nelle specie con becchi corti e massicci (tipiche di uccelli che mangiano semi); al contrario l'area era poco sviluppata nelle specie con becchi lunghi e sottili, che tipicamente si nutrono di insetti.
Del resto aprire un seme è ben più complesso che mangiare una cavalletta come ben si può osservare nel filmato che segue che mostra un uccello intento a mangiare un seme di girasole: fa girare il seme con la lingua e nel contempo lo "manipola" con il becco in diversi punti fino a che trova il punto di rottura per estrarne il contenuto.
video: Extreme Close-up of a Cardinal eating sunflower seeds

I dati raccolti hanno permesso di concludere che la comparsa di specie con cervello progressivamente più grande ha fatto da battistrada ala comparsa di modifiche funzionali del becco e della cavità orale con ricadute che vanno dal tipo di nutrizione al canto, un aspetto che a sua volta richiede lo sviluppo di reti neurali più complesse (sia per essere modulato che per essere "compreso").
Una specie insettivora e dal canto semplice
Studiare lo sviluppo del cervello negli uccelli permetterà di acquisire informazioni riguardo lo straordinario (in senso sia funzionale che volumetrico - in rapporto al corpo) sviluppo del cervello negli esseri umani.
La comparsa di cervelli più grandi avrebbe infatti facilitato l'allocazione di spazi sempre maggiori ad aree che controllano funzioni "meccaniche" come quella del movimento della lingua, che hanno un impatto decisivo sullo sviluppo di funzioni superiori.

"Mantenere" un cervello come il nostro non è stata una scelta evolutivamente indolore in quanto implica un esborso di energia enorme, pari a circa il 20% del consumo totale a riposo, sebbene pesi solo il 2% del totale.
Fortunatamente siamo una macchina efficiente e il consumo in watt del cervello è stimabile in soli 12W (meno di una lampadina). 
I passaggi evolutivi che hanno permesso sia di sviluppare tale potenza funzionale che di permettersi "i costi di gestione" sono molteplici; cito solo l'aumento volumetrico della neocorteccia grazie alla comparsa dei solchi corticali (riconducibili ad una serie di mutazioni in geni chiave) e da un punto di vista comportamentale la cottura del cibo che ha moltiplicato il ricavo calorico a parità di cibo ingurgitato. Secondo altri è stata poi la progressiva costituzione di gruppi di individui a "favorire" la comparsa del linguaggio e di comportamenti sempre più complessi necessari per gestire l'interazione con i propri simili. Un passaggio che però si sarebbe bloccato se l'introito calorico fosse rimasto pari a quello dei nostri antenati australopiteci.
Perché si evolva (o meglio venga selezionato) un cervello grande non serve semplicemente "pompare" le dimensioni ma paradossalmente è necessario rallentare o allungare i tempi dello sviluppo. In questo modo si da più tempo (rispetto al totale) alla corteccia di formarsi. La corteccia, nelle sue varie forme tra cui la neocorteccia che è per dimensioni una esclusiva dei primati antropomorfi, è anche l'ultima a formarsi con una accelerata nelle ultime settimane di gestazione. Ricordo che la corteccia è sede delle funzioni più alte del cervello tra cui memoria, attenzione, percezione, consapevolezza, pensiero, (...)
Sviluppo della corteccia durante il periodo gestazionale
credit: PLoS Med 3(8): e265

Fonte
- Concerted and mosaic evolution of functional modules in songbird brains
JM. Moore & TJ. DeVoogd - Proceedings of the Royal Society B, (2017) 284 (1854)

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