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Infezioni durante la gravidanza e rischio di autismo

Introduzione
L'autismo è una sindrome clinica caratterizzata da complesse alterazioni del comportamento correlate ad alterazioni dello sviluppo neuroembrionale. 
Nota. Secondo la classificazione riportata nel DSM-IV, l'autismo è parte della categoria dei 'Disturbi Generalizzati dello Sviluppo'. Data la variabilità di intensità e tipologia dei sintomi, si preferisce parlare di disturbi dello spettro autistico (ASD) invece che di autismo, a sottolineare la probabile eziologia eterogenea. Nello specifico l'ASD unifica tre disturbi correlati ma distinti: disturbo autistico; sindrome di Asperger e Disturbo generalizzato (pervasivo) dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato (PDD-NOS). Sebbene i sintomi si manifestino entro il terzo anno di età, l'origine della patologia è molto più precoce, da ricercarsi in anomalie dello sviluppo fetale del sistema nervoso (a livello corticale e nelle sinapsi glutaminergiche e GABAergiche) , derivanti da un mix di cause ambientali e di background genetico. Data l'eterogeneità clinica e genetica della ASD, mancano tratti univocamente distintivi (alias diagnostici) della malattia, anche se alcuni approcci sono promettenti (vedi EEG e movimento oculare. Leggi anche --> qui)
Coloro che negli ultimi anni hanno inseguito (e diffuso) l'allarme di una fantomatica correlazione tra vaccinazione ed autismo, omettono SEMPRE un punto chiave: come può una vaccinazione, che per sua natura viene somministrata solo quando il bambino ha qualche mese (prima sarebbe inutile dato che non ha un sistema immunitario funzionante), avere effetto retroattivo inducendo anomalie tipiche dello sviluppo fetale? Una assenza di correlazione talmente evidente da essere la pietra tombale per molte leggende metropolitane. Se la logica non vi basta, ci sono i risultati di diversi studi osservazionali (ottenuti dall'analisi retrospettiva di migliaia di bambini) che dimostrano come "non esista alcuna correlazione tra vaccinazione ed autismo" (--> QUI).
Negli ultimi anni i lenti ma costanti progressi nel campo hanno permesso di identificare marcatori diagnostici (o di rischio) dell'autismo utilizzabili già nei primi mesi di vita. Un dato questo di estrema importanza in quanto consentirebbe di iniziare terapie cognitive idonee per minimizzare (curare non è possibile al momento) le problematiche sottostanti.

Arriviamo ora al punto centrale di questo articolo, cioè la domanda se una grave infiammazione materna durante la gravidanza possa aumentare il rischio di autismo nel feto.
La migliore risposta è condensata in una frase tipicamente americana "the jury is still out" nel senso che gli indizi ci sono tutti ma manca la cosiddetta "smoking gun", vale a dire la prova incontrovertibile del nesso causale.

Credo valga quindi la pena riassumere gli studi pubblicati dal 2010 ad oggi in cui si sono andate sommando le evidenze che hanno trasformato una ipotesi di lavoro in una indagine con un imputato ben definito.

Nel 2010 uno studio retrospettivo che includeva tutti i bambini nati in Danimarca tra il 1980 e il 2005 evidenziò che le madri che avevano sofferto durante la gravidanza di infezioni sufficientemente gravi da richiedere l'ospedalizzazione, avevano un rischio 1,5 volte maggiore di dare alla luce un bambino con ASD.
Passa qualche anno e nel 2016 arriva uno studio del MIT, condotto sui topi, che ipotizza il probabile nesso causale. I ricercatori scoprirono infatti che al verificarsi di un grave stato infiammatorio si attivano alcune cellule immunitarie che producono la interleuchina 17 (IL-17) la cui azione sembra interferire con lo sviluppo del cervello fetale. Particolarmente importante il fatto che le maggiori anomalie sono site nelle aree corticali, sede dei processi cognitivi e di elaborazione sensoriale (ricordo che nei soggetti autistici si riscontra una maggiore disorganizzazione della struttura corticale)
Nota. Lo stato infiammatorio causa della ospedalizzazione era, nella gran parte dei casi, conseguenza di infezioni comuni come influenza, gastroenterite virale o infezioni del tratto urinario avvenute nel primo trimestre, se virali, o nel secondo trimestre, se batteriche.
Il nesso tra IL-17 durante la gravidanza ed autismo non è tuttavia sorprendente dati gli indizi emersi.
I dati del 2010 indicavano infatti la IL-6 come una delle proteine potenzialmente coinvolte. Dato che i linfociti Th17 (coinvolte in alcune malattie autoimmuni come la sclerosi multipla, malattie infiammatorie croniche intestinali, e l'artrite reumatoide) sono attivati dalla IL-6, la domanda che sorse spontanea era se queste cellule fossero a loro volta coinvolte.
Per testare l'ipotesi gli scienziati del MIT disattivarono le cellule Th17 nelle topine gravide prima di indurre l'infiammazione; il risultato diede loro ragione dato che nessuno dei topi della progenie (a differenza dei controlli) mostrava alcuna anomalia comportamentale di tipo autistico. Similmente se alle topine del gruppo di controllo (che possedevano le cellule Th17) venivano somministrati anticorpi in grado di bloccare il recettore della IL-17  (impedendo così la trasduzione del segnale infiammatorio dentro la cellula), il feto si sviluppava normalmente.

Arriviamo al 2017 e due nuovi studi del MIT tornano sul caso offrendo anche indicazioni su potenziali soluzioni preventive da adottare durante le gravidanze a rischio.
Nel primo studio i ricercatori scoprono che nei topi  la composizione del microbiota intestinale (in particolare della componente batterica) della madre influenza la probabilità che una infezione locale (leggasi la proliferazione fuori controllo e/o di un ceppo patogeno) induceva una serie di eventi culminanti con la comparsa nell'embrione di anomalie cerebrali e infine di comportamenti di tipo autistico.
Le anomalie strutturali sono site in una particolare area della corteccia somatosensoriale nota come S1DZ, che si ritiene essere coinvolta nella propriocezione, cioè la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio. Una coincidenza non casuale dato che poco tempo prima, nel 2014, si era scoperto che il cervello dei bambini autistici presentava anomalie in queste aree, consistenti nella riduzione di alcune cellule, note come interneuroni, fondamentali nel mantenimento di uno stato di equilibrio tra segnali eccitazione e inibitori nel cervello. In concomitanza alla riduzione del numero di queste cellule si osserva una aumentata attività neuronale dell'area S1DZ.
A riprova del nesso causale i ricercatori del MIT hanno osservato che una volta ripristinato nei topi un normale livello di attività nella zona, anche le anomalie comportamentali diminuivano. Test eseguito anche all'inverso cioè l'induzione di una iperattività neuronale nella regione in topi normali si associava alla comparsa di anomalie comportamentali. La centralità della regione sembra dipendere dal fatto che la S1DZ è interconnessa ad almeno altre due aree del cervello, la PTO (parietale-temporale-occipitale) e lo striato, con conseguente loro aumento di attività
Ancora una volta la conferma di un legame funzionale venne dagli esperimenti di modulazione neuronale: l'inibizione di parte della PTO eliminava i sintomi connessi ai deficit "sociali" mentre l'inibizione dei neuroni dello striato bloccava la comparsa dei comportamenti ripetitivi.

Nel secondo studio, i ricercatori si sono concentrati sulla identificazione di quali fossero i fattori concomitanti capaci di spiegare perché solo alcune delle topine (e stesso dicasi per gli umani) che avevano sofferto una infezione grave durante la gestazione partorivano prole con ASD; un fatto che indica che ci devono essere fattori di rischio aggiuntivo in alcune di esse, ma che di per sé non rappresentano fattori patologici (se non nelle condizioni di cui sopra) e quindi passano totalmente inosservati.
Uno degli indizi da cui partire era che il sistema immunitario di solo una parte delle topine gravide mostrava una iper-reattività ai normali test di attivazione. Nello specifico in questi animali la produzione di IL-17 aumentava già nel primo giorno (dall'esposizione alla fonte di attivazione come ad esempio un batterio) mentre in media sono necessari da tre a cinque giorni  perché questo avvenga; ricordo che la IL-17 è prodotta da cellule immunitarie specializzate che si differenziano dopo l'esposizione allo stimolo, ragion per cui è necessario del tempo prima che il processo sia completato. Una tale iper-responsività poteva essere spiegata con la presenza nei soggetti a rischio di cellule immunitarie pre-attivate, quindi capaci di produrre la citochina in tempi molto rapidi. Se queste cellule sono già presenti, è perché un qualche altro agente esogeno le ha "innescate" in precedenza, in genere ben prima della gravidanza.
In effetti studi precedenti avevano mostrato la presenza (sia in topi che in esseri umani) di linfociti Th17 anche in soggetti senza alcuna evidenza di infezione in corso. Queste cellule hanno un ruolo importante in quanto sono una prima linea di difesa contro i microrganismi nocivi; la loro comparsa si ritiene essere innescata dalla presenza di alcuni batteri innocui che popolano le pareti dell'intestino  (forse per la presenza di epitopi simili a quelli di alcuni patogeni) e che mettono "in allerta" le cellule dell'ospite che così aumentano i pattugliamenti; di fatto uno stato pre-infiammatorio. In condizioni normali questo stato è assolutamente asintomatico ed è una fondamentale barriera all'ingresso di batteri pericolosi, quindi ad una vera e propria infezione; in alcuni soggetti tuttavia questo stato pre-infiammatorio va oltre con la comparsa di infiammazioni a carattere cronico che facilmente degenerano in allergie e patologie autoimmuni.
Il responsabile di questa pre-attivazione potrebbe essere un batterio, di per sé innocuo, appartenente al gruppo dei batteri filamentosi segmentati (SFB) in precedenza correlati al rischio sclerosi multipla (che ricordo è una patologia autoimmune dovuta ad una risposta fuori controllo e mal-diretta verso alcuni dei propri tessuti).

Il sospetto si rafforza con la scoperta che solo le topine che avevano questo tipo di batterio nel loro intestino generavano prole con anomalie cerebrali e comportamentali, successivamente ad una infezione (indotta da altri agenti patogeni) durante la gestazione).
C'è quindi un sospetto (il batterio) e un nesso causale (la presenza di Th17 già attivate).
Una riprova della correlazione (seppur indiretta) viene dall'esperimento in cui si dimostra che l'uccisione di questi batteri intestinali con antibiotici permetteva alle topine di generare in seguito prole normale anche qualora fossero andate incontro ad una infezione grave durante la gravidanza. Ho scritto correlazione indiretta poiché non è il batterio di per sé la causa della malattia ma la tempesta infiammatoria che il corpo attiva.

Quanto di quello che si è scoperto è applicabile al rischio ASD successivo alle infezioni in gravidanza degli esseri umani?
Come detto i SFB sono presenti anche nell'intestino degli esseri umani e loro (o altri) possono indurre una pre-attivazione delle Th17 di guardia. La domanda a cui bisognerà rispondere ora è se la presenza di questi batteri (o altri capaci di attivare i Th17) sia in qualche modo correlabile al rischio ASD in seguito ad infezioni di altra natura durante la gravidanza.

Qualora il nesso venisse confermato, l'approccio preventivo potrebbe avvenire su più fronti. In primis con la identificazione delle donne a rischio per la presenza di batteri capaci di attivare le Th17 nel microbioma intestinale e in caso positivo l'attento monitoraggio (e prevenzione) di infezioni durante la gravidanza.


E' bene sottolineare che, sebbene gli indizi siano interessanti, lo studio è ben lungi dall'essere concluso; mancano in toto dati sulla efficacia protettiva (oltre che sulla sicurezza) di tali trattamenti antinfiammatori nell'essere umano

(Articoli precedenti sul tema autismo da questo blog --> qui)

 Fonti
- Maternal infection requiring hospitalization during pregnancy and autism spectrum disorders
Atladóttir HO et al,  J. Autism Dev Disord. (2010) 40(12):1423-30

- The maternal interleukin-17a pathway in mice promotes autismlike phenotypes in offspring
Choi GB et al, Science (2016) Jan 28

- Maternal gut bacteria promote neurodevelopmental abnormalities in mouse offspring
Sangdoo Kim et al, Nature (2017) 549, 528–532

- Reversing behavioural abnormalities in mice exposed to maternal inflammation
Yeong Shin Yim et al, Nature (2017) 549, 482–487

- Patches of disorganization in the neocortex of children with autism
Stoner, R. et al, (2014) N. Engl. J. Med. 370, 1209–1219




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