CC

Licenza Creative Commons
Questo opera di above the cloud è concesso sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
Based on a work at scienceabovetheclouds.blogspot.com.

The Copyright Laws of the United States recognizes a “fair use” of copyrighted content. Section 107 of the U.S. Copyright Act states: “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work (...) for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching, scholarship, or research, is not an infringement of copyright.”
Any image or video posted is used according to the fair use policy
Ogni news è tratta da articoli peer reviewed ed è contestualizzata e collegata a fonti di approfondimento. Ben difficilmente troverete quindi notizie il cui contenuto sia datato.
QUALUNQUE link in questa pagina rimanda a siti sicuri!! SEMPRE.
Volete aiutare questo blog? Cliccate sugli annnunci/prodotti Amazon (se non li vedete, disattivate l'Adblocker mettendo questo sito nella whitelist. NON ci sono pop up o script strani, SOLO Amazon). Visibili in modalità desktop! Se poi decidete di comprare libri o servizi da Amazon, meglio ;-)
Dimenticavo. Questo blog NON contiene olio di palma (è così di moda specificarlo per ogni cosa...)

Perché la goccia d'acqua fa "plink"

Eh si, tra le tante domande che uno che si occupa di scienza può trovarsi ad affrontare c'è ne sono di apparentemente bizzarre come "perché la goccia d'acqua fa plink quando cade?".

Del resto il rumore prodotto dal gocciolio incessante da un rubinetto resiliente a qualunque chiusura può fare perdere il sonno anche al più paziente tra gli scienziati, che una notte si sarà alzato deciso ad affrontare il problema una volta per tutte (confermo che gli scienziati sono soggetti strani).
Strano ma vero fino a poco tempo fa non si conosceva nel dettaglio da cosa scaturisse quel particolare rumore.
 Non si tratta infatti di una curiosità recente. Già all'inizio del '900 con la disponibilità di macchine fotografiche veloci furono in tanti a cercare di carpire i dettagli del gocciolamento.
Dilemma risolto dal nostro eroe, Anurag Agarwal, alla guida dell'Acoustics Lab presso l'università di Cambridge. Non scherzo se dico che l'idea di investigare il fenomeno venne al ricercatore quando, ospite a casa di un amico, non riuscì a chiudere occhio a causa del gocciolio originato da una perdita nel tetto che veniva raccolto in un secchio nella stanza in cui alloggiava.

Tornato in laboratorio si mise a studiare la dinamica della caduta di una goccia usando tecniche di ripresa video ad alta velocità e rilevatori sonori professionali. La scoperta fu che il suono "plink, plink" prodotto dalla goccia d'acqua quando colpisce una superficie liquida non è causato dalla goccia in sé, ma dalla oscillazione di una piccola bolla d'aria intrappolata sotto la superficie dell'acqua. La bolla induce una vibrazione sulla superficie dell'acqua, come se fosse un pistone, e questo genera il suono.

La meccanica dei fluidi di una goccia d'acqua che colpisce una superficie liquida è nota: quando la gocciolina colpisce la superficie, provoca la formazione di una cavità, che si ritira rapidamente a causa della tensione superficiale del liquido, risultando in una specie di colonna in cui si riversa il liquido . Data la velocità con cui si ritrae il liquido, una piccola bolla d'aria rimane intrappolata.
credit: tempe.mi.cnr.it
Studi precedenti avevano ipotizzato che il suono fosse causato dall'impatto, dalla risonanza della cavità oppure dall'onda sonora subacquea che si propaga attraverso la superficie dell'acqua. Mancava però una prova sperimentale di ciascuna ipotesi.

Nel loro esperimento, i ricercatori hanno scoperto che in realtà (e in un certo senso controintuitivamente) sia lo splash iniziale che la formazione della cavità e lo spostamento del liquido erano silenziosi. La fonte del suono era invece nella bolla d'aria intrappolata. Perché questa produca il caratteristico rumore, è necessario che la bolla d'aria si trovi vicino al fondo della cavità creata dall'impatto della goccia. La bolla produce le oscillazioni della superficie dell'acqua nella parte inferiore della cavità come se fosse un pistone che emette le sonde sonore nell'aria.

Compreso il meccanismo la soluzione al problema del rumore fu immediata: è sufficiente modificare la tensione superficiale del liquido, ad esempio aggiungendo un detergente.

Di seguito un video prodotti dagli autori dello studio
 Se non vedi il video --> youtube
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports.


Fonte
- The Sound Produced by a Dripping Tap is Driven by Resonant Oscillations of an Entrapped Air Bubble.’ Scientific Reports (2018). DOI: 10.1038/s41598-018-27913-0 


Molto prima degli aerei Stealth, furono le falene ad adottare il volo "invisibile"

Il mantello dell'invisibilità di Harry Potter, gli aerei o i sommergibili dotati di tecnologia Stealth o il mimetismo di alcuni animali fanno un baffo alla soluzione adottata in un alcune specie di falene per sfuggire alla ecolocalizzazione di predatori temibili come i pipistrelli.

Image credit: Thomas Neil
Le falene sono la principale fonte di cibo per i pipistrelli, che usano l'ecolocalizzazione (sonar biologico) per cacciare le loro prede. Scienziati dell'Università di Bristol hanno cercato di capire nel dettaglio tale meccanismo di difesa passivo evolutosi nel corso di milioni di anni. Alcune falene in realtà hanno evoluto "orecchie" capaci di rilevare le onde ultrasoniche emesse dei pipistrelli e quindi di mettersi al riparo (un sistema non così diverso da quello degli aerei da combattimento quando rilevano di essere entrati nel sistema di puntamento del nemico). Rimaneva allora da capire come facessero le altre "sorde" a sfuggire ai pipistrelli; i ricercatori hanno scoperto che queste specie di falene hanno sviluppavato una sorta di rivestimento fono-isolante in grado da fungere da "mantello dell'invisibilità" contro il sonar dei pipistrelli.
credit: ecolocalizzazione in guides.library.harvard.edu

Nello specifico è la pelliccia su torace e articolazioni delle ali ad essere schermate riducendo gli echi di queste parti alla ecoscansione. La migliore in tal senso è il leggero rivestimento toracico poroso invisibile a tutte le frequenze ultrasoniche e capace di assorbire fino al 85 % dell'energia sonora (ricordo che la ecolocalizzazione si basa sul rimbalzo delle onde, questo spiega la "invisibilità" delle falene). I test di assorbimento sono stati condotti mediante tomografia acustica comparando tra loro specie "sorde" di falene e di farfalle.
A riprova di tale affermazione, la rimozione del pelo toracico ha portato un aumento del rischio di rilevazione di circa il 38%.
Il sistema di occultamento era nettamente più efficiente nelle falene rispetto alle farfalle che tuttavia non sono prede naturali dei pipistrelli, quindi non hanno avuto necessità di perfezionare il sistema.

Lo studio potrebbe contribuire allo sviluppo di materiali biomimetici per assorbitori di suoni ultrasottili e altri dispositivi di controllo del rumore.

Fonte
- Stealthy moths avoid bats with acoustic camouflage
Thomas R. Neil - The Journal of the Acoustical Society of America (2018) 144, 1742

- Moths survive bat predation through acoustic camouflage fur
University of Bristol / news




Stimolazione elettrica epidurale più riabilitazione si sono rivelati efficaci nella terapia dei pazienti con lesioni spinali

Nel precedente articolo abbiamo esaminato le prospettive invero rivoluzionarie, aperte dall'impianto di elettrodi in regioni cerebrali coinvolte in patologie invalidanti come il Parkinson o con funzioni di relais tra il comando motorio e gli arti in modo da scavalcare lesioni nella via di collegamento (tipicamente spinali).

Oggi vediamo esempi in cui tali sperimentazioni hanno mostrato risultati concreti su tre pazienti con lesioni a carico del midollo spinale permettendo loro di riprendere il controllo dei muscoli delle gambe e progressi nella loro capacità di deambulazione. Cosa ancora più importante, tutti i partecipanti allo studio hanno conservato una buona parte dei miglioramenti anche dopo l'interruzione della terapia di stimolazione.
I risultati sono stati pubblicati da un team della svizzera EPFL il 31 ottobre sulla rivista Nature.
Sequenza fotomontaggio che mostra i progressi nel test condotto alla EPFL (credits to actu.epfl.ch)

La tecnica usata in questo caso è nota come stimolazione elettrica epidurale e consiste nell'applicazione di una corrente elettrica continua nella parte inferiore del midollo spinale grazie ad un chip impiantato sulla dura, la parte più esterna dei tre foglietti costituenti le meningi, l'involucro protettivo del sistema nervoso centrale. Il chip riceve le istruzioni da una specie di telecomando esterno che controlla la frequenza e l'intensità della corrente elettrica. Quando lo stimolatore è attivo, l'insieme di specifiche stimolazioni sensoriali e di un allenamento intensivo per rafforzare la risposta neuromuscolare, consente alle persone paralizzate di muovere volontariamente le gambe.
E' bene ricordare che la sperimentazione è nelle fasi iniziali e, cosa ancora più importante, che i soggetti coinvolti dovevano avere un certo tipo di requisiti di entrata per essere ammessi; uno tra tutti i pazienti dovevano avere mantenuto un certo livello di funzionalità motoria a valle del sito della lesione.

Il lavoro di Nature non è però l'unico indizio che qualcosa di importante stia avvenendo nel campo. Poche settimane prima i medici della Mayo Clinic hanno descritto il caso di una persona completamente paralizzata al di sotto della lesione che era riuscita a camminare su un tapis roulant dopo 43 settimane di trattamento intensivo consistente in un mix di allenamento muscolare e stimolazione elettrica.
Più o meno nelle stesse settimane ricercatori della università di Louisville, nel Kentucky, hanno presentato dati che indicavano che due delle quattro persone sottoposte a stimolazione epidurale continua erano stati in grado di camminare con l'ausilio di sistemi facilitanti la deambulazione dopo 15 e 85 settimane di allenamento, rispettivamente.

Cosa distingue i tre lavori con risultati apparentemente simili? La tecnica usata al EPFL ha utilizzato una stimolazione a tempo invece di una stimolazione continua e che i risultati siano qualitativamente migliori. Il razionale alla base della scelta è  che la stimolazione continua potrebbe diminuire l'efficienza bloccando i segnali di ritorno dagli arti paralizzati con ricadute negative sulla qualità del controllo motorio. Il che ha senso se si pensa che la paralisi è causata sia dall'interruzione del flusso che "ordina" il movimento che da quello sensoriale e di feedback del movimento in atto. Un corto circuito, passatemi il termine, che impedisce o invalida movimenti "utili" anche in presenza di lesioni non totali, cioè lesioni in cui riescono a transitare almeno in parte gli stimoli nervosi.
Le lesioni parziali riguardano un alta percentuale delle lesioni invalidanti, da cui l'interesse per cercare una soluzione per "ripristinare il cablaggio" lesionato.
La stimolazione elettrica esterna va proprio in questa direzione, agendo direttamente sui motoneuroni integrando il segnale deficitario che questi continuano a ricevere dal cervello.
Come? Senza addentrarci in tematiche di neurofisiologia diciamo che i ricercatori hanno prima mappato le aree del midollo spinale coinvolte in movimenti come il camminare, la flessione dell'anca o la torsione della caviglia. Fatto questo sono passati alla fase operativa impiantando gli stimolatori elettrici in tre persone con diversi livelli di menomazione motoria nelle gambe causata da lesioni spinali.
Le lesioni dei tre partecipanti erano diverse, con un paziente incapace di muovere le gambe (e con la sinistra totalmente paralizzata) e un altro capace ancora di muovere le gambe ma incapace di sollevarle quando tentava di camminare.
Una volta in sede, i dispositivi hanno cominciato ad emettere una sequenza controllata di impulsi elettrici a livello spinale così da integrare i segnali motori. Si deve sottolineare che la stimolazione elettrica qui non aveva il fine di indurre il movimento per sé (come da un telecomando esterno) ma di "abilitare" il movimento. In altre parole funzionava solo quando il paziente tentava di iniziare il movimento; come una specie di amplificatore del segnale che captava l'ordine di muoversi partito dal cervello ma che la lesione rendeva "incomprensibile" al motoneurone.

I primi giorni del test furono i più frustranti per i pazienti che dovettero "reimparare" a dialogare con i propri arti. Già alla fine della prima settimana i partecipanti si dimostrarono capaci di risultati tangibili, riuscendo a camminare sebbene con l'ausilio di dispositivi finalizzati a sostenere parte del loro peso.

Dopo circa cinque mesi di una combinazione di terapie riabilitative e di elettrostimolazioni, i risultati sono stati tangibili, con miglioramenti che si sono mantenuti anche dopo la disattivazione della stimolazione esterna. Due dei tre partecipanti sono ora in grado di camminare in modo autonomo, sebbene con l'ausiolio delle stampelle (possono anche fare qualche passo senza); la terza persona, quella con lesioni più gravi ha riacquistato la capacità di muovere le gambe, prima paralizzate, da sdraiato.

I ricercatori hanno cercato di rendere la tecnologia più "easy" sviluppando strumenti capaci di continuare la stimolazione epidurale anche al di fuori del laboratorio. Ciò comprende sensori indossabili che attivano la stimolazione e una app caricata su uno smartwatch che risponde a comandi vocali, consentendo così ai pazienti di selezionare la tipologia esatta di stimolazione necessaria in quella particolare situazione.
La app montata sullo smartwatch (all credit: EPFL)

Di seguito un video della EPFL in cui si riassumono i passi salienti della sperimentazione iniziata sui roditori e culminata sui pazienti con lesioni spinali.
Se non vedi il video, clicca sul link --> Youtube

e poi un video con le testimonianze dei pazienti
Se non vedi il video, clicca sul link --> Youtube


L'ottimismo non deve però essere cieco, in quanto è evidente che non tutti i pazienti potrebbero beneficiare di tale terapia. In primis il candidato al trattamento deve avere un certo livello di funzionalità motoria al di sotto della lesione, altrimenti è semplicemente inutile.



Fonti
-  Electrical spinal cord stimulation must preserve proprioception to enable locomotion in humans with spinal cord injury
E. Formento et al, (2018)  Nature Neuroscience, v21, pp. 1728–1741  

- Neuromodulation of lumbosacral spinal networks enables independent stepping after complete paraplegia
M.L. Gill et al, (2018) Nature Medicine v24, pp. 1677–1682

- Targeted neurotechnology restores walking in humans with spinal cord injury
 F.B. Wagner et al (2018) Nature, v563, pp 65-71

- Breakthrough neurotechnology for treating paralysis

- Three people with spinal-cord injuries regain control of their leg muscles
Nature / news (2018)

Stentdrode. Un elettrodo cerebrale per fare muovere i tetraplegici e molto altro

Modificare l'attività cerebrale senza incidere la calotta cranica è possibile grazie ad una tecnica nota come stimolazione magnetica transcranica (TMS) di cui ho già scritto in passato (vedi la serie --> TMS e cervello).
Una procedura utile ma con un punto debole nella dimensione dell'area interessata che è maggiore del bersaglio su cui idealmente bisognerebbe agire. Un limite intrinseco dovuto sia alla taglia della "piastra" da cui emerge il campo magnetico che alla architettura dei circuiti neuronali in cui regioni prossimali possono avere funzioni molto diverse.
all credits to: MAYO clinics

In alcuni ambiti questo non provoca problemi, ma in altri è cruciale focalizzarsi solo su aree (quindi popolazioni cellulari) estremamente ristrette e per tempi prolungati. In questi casi la procedura di elezione è la stimolazione cerebrale profonda (DBS) consistente nell'impianto chirurgico di elettrocateteri nelle aree del cervello prescelte (ad esempio quelle per il controllo dei movimenti) e di un dispositivo medico che ne controlla "le scariche". Un metodo innovativo ampiamente utilizzato nella terapia sintomatica di patologie neurodegenerative (Parkinson) e nel trattamento del dolore cronico.
all credit: sci.utah.edu
L'impianto non è tuttavia una "passeggiata".
Una soluzione in tal senso viene dallo studio condotto da ricercatori australiani (pubblicato su Nature Biomedical Engineering) che hanno sviluppato un elettrodo di 4 mm di diametro (chiamato Stentrode) che viene veicolato attraverso un vaso sanguigno nella zona di azione e li lasciato a tempo indefinito,  come richiesto per malattie croniche e/o degeneranti come il morbo di Parkinson e dell'epilessia.

A differenza della DBS che richiede un intervento chirurgico con apertura di uno o più fori nella scatola cranica lo Stentrode viene portato in posizione attraverso una vena del collo; quasi come fare una angiografia, procedura che richiede competenza e accuratezza ma decisamente meno invasiva di un buco nel cranio.

Le prove di fattibilità dello Stentrode hanno superato senza problemi il passaggio oobligato dei test su animali (test di sicurezza e di efficacia condotti su pecore) e ci si sta preparando ai test clinici.

Tra le molteplici applicazioni ipotizzabili (e testate già in uno studio del 2016) lo Stentrode potrebbe essere usato per catturare i segnali corticali e convertirli in segnali di controllo su un esoscheletro. A che scopo? Ad esempio una imbragatura che avvolge gli arti delle persone paralizzate consentendo ad esse di muoversi in autonomia. 
credit: The Vascular Bionics Laboratory (medicine.unimelb.edu.au)

Di seguito un video intervista risalente alle prime fasi del test nel 2016


Altro esempio di utilizzo dello Stentrode, il monitoraggio dell'attività neuronale anomala che di solito precede un attacco epilettico, contrastandola con stimoli elettrici di segno opposto.



Fonti
- Minimally invasive endovascular stent-electrode array for high-fidelity, chronic recordings of cortical neural activity
Thomas J Oxley et al, Nature Biotechnology (2016) 34, 320–327

 - Focal stimulation of the sheep motor cortex with a chronically implanted minimally invasive electrode array mounted on an endovascular stent
Nicholas L. Opie et al, Nature Biomedical Engineering (2018) 2, 907–914
 - Stentrode developed for brain treatments without major surgery
 University of Melbourne / news

Primo passaggio solare OK per la sonda Parker

Sono passati già 3 mesi dal lancio della sonda Parker il cui scopo è quello di studiare il Sole da distanza ravvicinata per alcuni anni.
Come un novello Icaro (ma molto più attento alla sicurezza) la sonda Parker effettuerà molteplici orbite che lo porterà sempre più prossimo al Sole senza tuttavia correre il rischio di venire abbrustolito come un marshmallow (o almeno questa è la speranza dei progettisti).

Il primo incontro ravvicinato è avvenuto nella prima decade di novembre, fase durante la quale la sonda ha raccolto dati poi inviati sulla Terra e che sono ora analizzati. La missione sarà un susseguirsi di fasi operative della durata di 10 giorni (coincidenti con l'orbita in perielio) con quelle "relax" di crociera nei restanti 80-160 giorni dell'orbita.
0,25 UA = 37,4 milioni di km (Credit: NASA via physics.stackexchange)

Nel primo passaggio si è già raggiunta la distanza minima record di 24 milioni di km, la metà del precedente, risalente agli anni '70 con la sonda Helios
La posizione della sonda nel momento in cui scrivo. Per lo stato aggiornato -->parkersolarprobe.jhuapl.edu/The-Mission/
 Un passaggio prossimale che la sonda ha superato alla perfezione e in perfetta autonomia. A causa delle intereferenza magnetiche Parker è progettata per modificare autonomamente l'assetto e posizionarsi con gli scudi protettivi per ripararsi dal Sole. Lo scudo in queste condizioni può raggiungere temperature superiori a 450 gradi, tanti ma nulla in confronto alle temperature delle parti più esterne del Sole che possono arrivare a 2 milioni di gradi (molto più che l'interno o la "superficie").

Aspettiamo ora con maggiore tranquillità, avendo superato la prova cardine di sostenibilità, i prossimi passaggi e l'analisi dei dati che via via invierà

Articolo successivo sul tema --> il suono del vento solare.

InSight ci manda un selfie. La sonda si è adagiata su Marte senza problemi

Per chi ha seguito la diretta dell'ammartaggio (comunque il neutro "landing" suona meglio dei neologismi italici) le fasi finali sono state piene di tensione fortunatamente culminate con grida liberatorie



La missione InSight è inizata il 5 maggio 2018 e oggi, dopo circa 458 milioni di km, è giunta a destinazione in una zona del pianeta nota come Elysium Planitia.
La posizione di Insight rispetto agli altri rover (credit: NASA)
InSight non è una missione come le precedenti (sebbene di successo) i cui rover erano finalizzati a perlustrare le aree circostanti. Il suo "sguardo" sarà diretto verso l'interno del pianeta, non per cercare forme di vita attuali o tracce fossili (a questo ci penseranno sonde future) ma per studiarne le caratteristiche. La scelta di Elysium Planitia come sito di studio èlegato al suo essere posizionato in un'area "tranquilla" al riparo da tempeste di sabbia e altri eventi in grado di disturbare la rilevazione dei segnali sotterranei.

Rappresentazione artistica (invero fantasiosa nel suo essere fuori scala) di come la sonda effettuerà le analisi.
La sonda trasporta un lander equipaggiato con un sismometro e una sonda termica con i quali misurare il trasferimento termico dall'interno. La sonda penetrerà la superficie fino a 5 metri di profondità e servirà per capire  se all'interno di Marte esista una forma di calore. Un dato essenziale anche per capire se l'acqua scoperta nel luglio scorso sotto i ghiacci del Polo Sud marziano sia più calda di quanto si pensi. La presenza di calore rafforzerebbe le speranze di trovare forme di vita anche microbiche nel sottosuolo, al riparo dalle proibitive condizioni (niente acqua e radiazioni cosmiche) della superficie.
 Scopo ultimo è completare il puzzle di informazioni ora disponibili sulla genesi dei pianeti di tipo roccioso, che nel nostro sistema sono posti nella parte più interna (in altri sistemi si è scoperta l'esistenza dei cosiddetti super-Giove in posizioni anche più interne all'orbita del nostro Mercurio).

Questa la prima immagine inviata dalla sonda dopo l'ammartaggio (nella legenda il tweet NASA associato all'immagine).
" Wish you were here! sent home its first photo after : InSight’s view is a flat, smooth expanse called Elysium Planitia, but its workspace is below the surface, where it will study Mars’ deep interior" (Credit: https://twitter.com/NASA/status/1067146825931661313)"
Le nuove immagini che la NASA caricherà nei prossimi giorni saranno visibili nella sezione dedicata della missione --> QUI
Ecco il selfie via tweet inviato subito dopo avere aperto i pannelli solari. Il messaggio "There’s a quiet beauty here. Looking forward to exploring my new home".
Credit: NASA
I pannelli solari forniranno al veicolo l'energia sufficiente per cominciare una lunga attività di esplorazione del sottosuolo del pianeta rosso.

Di seguito un video completo (lungo circa 90') sulle diverse fasi della missione, corredato da interviste ed approfondimenti. Registrato LIVE
Tratto dal canale LIVE della NASA --> QUI

Una animazione delle fasi finali del landing


(credit: NASA)


*** Aggiornamento giugno 2020***
Nonostante molte difficoltà tecniche, InSight è riuscito a perforare il suolo marziano


*** Aggiornamento gennaio 2021***
Alla Nasa si sono arresi. Il terreno marziano è troppo duro per Insight. Continuerà la sua missione (fino al 2022) come rilevatore meteo e sismometro






Sul tema Marte potrebbero interessarvi l'articolo precedente
 -->"Missione Marte"
e quelli successivi
--> "Cratere Jezero" e
--> "Opportunity ha terminato la sua missione"--> "Lunamoti e martemoti"


Fonti
-->  Sito della missione
--> Fact sheet
--> L'analisi sul sito space.com

Un iceberg rettangolare? Per quanto strana la foto è del tutto reale



Confesso che in piena era di fake news e abili manipolazioni di immagini via photoshop avrei scommesso che la foto pubblicata fosse un falso, e nemmeno pensato così bene da quanto improbabile.

Eppure ... mi sono sbagliato. L'immagine che vedete sotto è reale e ha il marchio di fabbrica della NASA.
Ripresa effettato vicino alla banchisa nel Mare di Weddel (Credits: NASA/Jeremy Harbeck), Per inciso si tratta dell'area in cui ebbe luogo l'epico e tragico viaggio di Ernest Henry Shackleton sulla nave Endurance

La foto è stata scattata a metà ottobre in Antartide da un aereo impegnato nella missione Operation IceBridge, una operazione di sorveglianza gestita dalla NASA che va avanti da quasi un ventennio.

Non bastasse a sfidare il calcolo delle probabilità di tali eventi, due sono gli iceberg rettangolari individuati (l'altro è in alto a sinistra dietro il reattore) fianco a fianco.

Sento già il coro di chi userà queste immagini per dire che si tratta di rampe di atterraggio di visitatori ET e che la vera missione della NASA era di cancellarne le tracce ( di "ottusangoli" è pieno il mondo ... giusto per rimanere in tema geometrico  LOL )

Questo il tweet originale della NASA in cui si riporta l'osservazione
-->tweet NASA

La video ripresa dall'aereo in cui si contestualizza meglio la presenza di un "rettangolo" tra tante altre forme
Credit: NASA channel su Youtube (se non vedete il video cliccate su --> youtube)

Altro video di compendio (commentato) quello pubblicato da Tech Insider
--> youtube
e un ampio e dettagliato resoconto del Daily Mail sull'evento (come da noi i giornali si sognano)
---> Daily Mail


Le immagini ufficiali pubblicate anche su FlicR
--> FlickR


A proposito, sapevate che ci sono due persone impegnate nell'attraversamento a piedi dell'Antartide (coast to coast)?
Vi consiglio di leggere il bell'articolo sul tema pubblicato dal NYT
--> https://www.nytimes.com/2018/11/11/sports/antarctica-race.html



Non dimentichiamo che Francia e Italia hanno una base scientifica nel bel mezzo dell'Antartide
--> La Base Concordia in Antartide


Smartphone, server, chip spia cinesi e la politica della negazione

La tecnologia alla base dell'attuale mondo sempre connesso è una bella cosa ma non è scevra da effetti collaterali in ambito sicurezza a causa dell'aumento nel numero di bersagli potenziali, siano essi aziende e siti governativi (teoricamente dotati di mezzi per difendersi) o utenti che usano la tecnologia come una estensione (per molti una sostituzione) della propria realtà. 
Se fino a poco tempo fa gli attacchi degli scammers erano una "pesca a strascico" basata sull'incauto cliccare dell'utente sui link di mail in cui ti si comunicava di essere diventato milionario (sic!), oggi gli attacchi sfruttano sempre più tecniche di social engineering il cui livello di raffinatezza (e di tempo dedicato per individuare la "preda") è impressionante.
Attacchi quasi sempre evitabili. Sarebbe sufficiente NON condividere alcuna informazione personale sui social, anche se il social in questione si chiama Linkedin. Trovo folle divulgare la rete di contatti lavorativi ed esperienziali maturati in una vita ad un network che li usa (lecitamente) per creare connessioni e accumulare dati personali, sebbene anonimizzati. Condivisione che avviene troppo spesso senza neppure la motivazione di cercare nuovi ambiti lavorativi; il driver è quasi sempre quello "di esserci".
Se il problema fosse limitato all'utenza media che affolla i social postando foto di ogni evento o fatto a cui si assiste, quando non impegnati a tappare sul display, uno potrebbe cinicamente pensare che si tratta solo di una nuova modalità con cui la selezione darwiniana si manifesta. La preoccupazione aumenta quando si scopre che un numero non irrilevante di prodotti low cost (ma non solo) importati dalle fabbriche orientali risolvono alla base il rischio "dell'incauto cliccatore" incorporando il malware direttamente nel sistema.
Si sa che in Italia i prodotti cinesi hanno da tempo superato il confine di moda per il gadget low cost, per arrivare allo status di prodotti da centinaia di euro. Spesso certamente di buon livello (al netto del fatto che se poi ti serve l'assistenza devi spedire a tue spese il prodotto in Cina oppure che il low cost non rimane più tale quando la dogana scopre il pacchetto) ma con coni d'ombra sempre più evidenti. Il caso eclatante è quello in cui è incappata anche l'occhiuta rivista Altroconsumo che qualche anno fa inviò come regalo ai nuovi soci uno smartphone low cost con malware preinstallato (ovviamente ad insaputa di Altroconsumo). E non si tratta di un caso isolato (vedi note a fondo pagina).
Ma se sui dati personali dell'utente medio si potrebbe glissare dicendo "ve la siete cercata", il problema reale è quello dello spionaggio industriale che sconfina spesso e volentieri nella geopolitica, cioè nella progressiva espansione cinese. Fenomeno quello dello spionaggio industriale sempre esistito ma che oggi con l'onnipresenza della rete dati (e complice aziende prive della mentalità di cybersecurity) è passato da evento una tantum ad attacchi sistemici condotti con l'avvallo dei servizi di sicurezza statali (tipico esempio è la Unità 61398 dell'esercito cinese fortemente indiziata di attacchi cibernetici e di spionaggio industriale).
L'Italia con la sua ricca realtà di tessuto industriale composta da aziende medio piccole a guida familiare, ma ad elevata competenza manifatturiera è un bersaglio ghiotto a causa della scarsa protezione da intrusioni esterne che queste aziende offrono.
Se a questo aggiungiamo la delocalizzazione (ora in fase di rientro) in oriente di molta della componentistica alla base delle schede madri il rischio di manomissioni "a monte" è diventato con gli anni più che una semplice preoccupazione, nonostante il massiccio apparato di controllo del sistema proprietario effettuato dai big della Silicon Valley.

Un timore che sembra essere diventato realtà già da tempo. L'inchiesta pubblicata poche settimane fa da Bloomberg Businessweek ha rivelato che già nel 2015 Amazon si era accorta di anomalie nell'hardware e aveva girato l'informazione in modo riservato ai servizi di sicurezza americani. L'inchiesta non è ad oggi "ufficialmente" terminata (anzi ufficialmente non esiste) sebbene alcune mosse delle big americane nella tipologia di approvigionamenti e l'espulsione di uomini d'affari cinesi con l'accusa di spionaggio industriale, sembrano indicare che dietro le quinte si sia avuta conferma dei sospetti.

Riepilogo qui a grandi linee il contenuto dell'articolo di Bloomberg che vi invito a leggere per intero con la speranza che il grado di consapevolezza dell'utente medio aumenti.

Tutto inizia nel 2015 quando Amazon si prepara ad una delle tante acquisizioni di startup dotate di tecnologie e/o  brevetti di interesse (anche solo potenziale). La startup in questione era la Elemental Technologies, e possedeva il know how utile per un servizio che Amazon aveva in cantiere e che poi sarebbe diventato Prime Video. Nello specifico la Elemental Technologies aveva sviluppato un software per la compressione di file video di grandi dimensioni usato con successo per eventi diversi come lo streaming di gare dei giochi olimpici, la comunicazione tra la NASA e la stazione spaziale orbitale (ISS) e persino dalla CIA per trasferire i filmati ripresi dai droni.
Non solo una tecnologia funzionante ma anche usata dal governo, quindi un lasciapassare per futuri (e lucrosi) contratti con le agenzie governative.
Prima di finalizzare qualunque acquisizione è pratica comune passare attraverso un processo noto come due diligence, con la quale l'azienda o il prodotto in oggetto vengono analizzati allo scopo di verificarne la solidità e la congruità con quanto dichiarato. Un processo classico e quasi routinario, seppure fondamentale per evitare di comprare "il nulla"; spesso si delega il compito ad una società terza, specializzata, che gode della fiducia di entrambe le parti in gioco. Ed è stata in questa fase che si è scoperto  che c'era  qualcosa di strano nella scheda madre, o meglio c'era qualcosa di non previsto nel progetto costruttivo. Qualcosa più piccolo di un chicco di riso nascosto in mezzo alla componentistica standard. L'anomalia è stata confermata dopo una ulteriore verifica richiesta ad una azienda canadese.
Amazon riferì la scoperta alle autorità e all'intelligence USA per il semplice quanto preoccupante fatto che alcuni dei server in uso nel centro dati della difesa americana erano stati forniti dalla Elemental Technologies.
Da qui iniziò una discreta ma approfondita indagine, durata 3 anni, volta a capire sia la funzione del chip "alieno" che del dove/come/quando fosse entrato nella catena produttiva che solitamente le aziende tecnologiche tengono "blindate" e attentamente monitorate.

Da quanto trapelato ufficiosamente a Bloomberg il chip permetteva agli attaccanti di creare una porta stealth in qualsiasi rete che includesse le macchine modificate. I chip erano stati inseriti in fabbriche gestite da subfornitori manifatturieri in Cina, verosimilmente da unità specializzate (vedi sopra) dell'esercito cinese. Se infatti la scheda madre era fornita dalla Super Micro Computer, una azienda taiwanese con sede in California e tra i leader  mondiali nello sviluppo di server e affini, il vero e proprio assemblaggio e ottenimento delle componenti era basato su mini-aziende misconosciute site tra Cina e sud-est asiatico.

Il vulnus/attacco scoperto è qualcosa di più grave dell'hacking via software a cui siamo da tempo abituati. Un hacking dell'hardware è certamente più difficile da realizzare ma potenzialmente più devastante.
il 70% dei chip (il 75% degli smartphone e il 90% dei PC) è oggi prodotto in Cina e questo ha un immediato effetto a cascata anche solo sulla "messa in disponibilità" futura. Si tratta quindi di un potenziale (mettiamo pure la forma ipotetica non considerando l'articolo di Bloomber) di attacco del tutto unidirezionale in caso di crisi geopolitiche.  Questo spiega perché alcune big tech americane abbiano iniziato il processo di rimpatrio di alcuni siti produttivi (l'Europa si è tagliata da sola gli attributi negli ultimi 20 anni vendendo tutti i processi produttivi oggi delocalizzati, con l'esempio eclatante di Olivetti che da guida del settore è scomparsa nelle prime fasi del boom dell'informatica).
Il vulnus alla fine sembra avere interessato quasi 30 aziende, tra cui una grande banca, appaltatori governativi e perfino la società più ricca (e lucrativa) al mondo cioè Apple. Niente di certo qui ma si sa che Apple era un importante cliente di Supermicro e aveva pianificato di ordinare oltre 30 mila dei suoi server nei successivi due anni per la creazione di alcuni data center in giro per il mondo. Anche qui rapporti non ufficiali riportano che Apple abbia scoperto il problema in alcune schede madri nel 2015 e anche in questo caso si trattava di schede madri assemblate da produttori terzi.
A causa delle piccole dimensioni la quantità di codice "alieno" era minima; serviva per fare comunicare il dispositivo con vari computer siti altrove su cui erano caricati codici più complessi in grado di trasmettere comandi di riprogrammazione della macchina.
Apple, Super Micro e Amazon hanno sempre negato tutto

Ma questo ha un senso ed è comprensibile. Prima di tutto perché pubblicamente questo è un danno d'immagine (e di affidabilità anche solo potenziale) molto importante quantificabile in "zillioni" di dollari e secondo perché in genere le "contromisure" vengono gestite in modo riservato siano esse prese direttamente dalle aziende (revoca subappalti, reset linee produttive, neutralizzazione chip via software, ...) che dal governo attraverso l'azione di intelligence. Anzi è verosimile che nelle prossime settimane ci sarà un'attacco circa la fondatezza delle rivelazioni di Bloomberg. Chiaramente nessun commento ufficiale può (e verrà mai) dalla Cina o ufficialmente dal governo USA. Pensate all'effetto mediatico di sapere i server della difesa e di grandi realtà economiche (quindi bottini succulenti a cui attingere) bucati in modo così pervasivo.
Nota. Le recenti direttive europee, accolte dall'Italia, IMPONGONO a tutte le aziende, pena sanzioni pecuniarie importanti, di rivelare ogni intrusione nei server e in particolare ogni compromissione dei dati di clienti in essi conservati. Una mossa fondamentale visto che nella maggior parte dei casi le aziende non comunicano (e peggio sono ignare) tali attacchi come ben esemplifica il caso di Yahoo in cui furono compromessi gli account di decine di milioni di utenti comunicando il fatto solo dopo 2 anni.
Alcune cose sono certe e questo spiega il silenzio generale nei media generalisti sulla vicenda: c'era un chip che non doveva esserci e capace di fare cose non pianificate; il montaggio è avvenuto al di fuori in una delle tante piccole aziende subappaltatrici site in Cina o in altre aree dell'estremo oriente dove è nettamente "più semplice" bucare i controlli di produzione.


A proposito, vi dice nulla il fatto che a Huawei e ZTE sia stata (implicitamente) impedita la partecipazione alle aste sul 5G in Australia (--> BBC) e che ci sia un divieto esplicito del Pentagono sulla presenza delle suddette in qualunque azienda che partecipi anche solo indirettamente a contratti governativi (--> The Verge)?
Anche qui se cercate in rete troverete ampie tracce della "controffensiva" mediatica ospitata su blog anche importanti circa l'innocenza cinese scaricando le colpe sulla fobia di Trump (ma anche tedesche, francesi, australiane). Un appunto che omette un dato noto quanto minimizzato cioè che non esiste alcuna possibilità di aziende tech occidentali di entrare (figuriamoci poi di acquisire infrastrutture di rete) in Cina o Russia, mentre per qualche motivo si parla di fobie immotivate quando si pongono paletti all'acquisto di reti nazionali, cioè di infrastrutture strategiche.
Controffensiva per nulla strana se vi guardate attorno e quantificate il flusso di denaro cinese che pervade sempre più settori dell'economia (quindi della comunicazione). I media, notoriamente lontani da ogni condizionamente politico-economico (sono sarcastico!!) e poco propensi ad analisi non etero-dirette sono la migliore cartina di tornasole di tali interessi.

Si tratta né più né meno che di uno scontro geopolitico in cui noi europei siamo nel mezzo e su cui possiamo poco se non quella di evitare di venderci per ... qualche smartphone.
Nota. Un giorno qualcuno spiegherà per quale motivo l'affaire NSA (totalmente centrato sull'antiterrorismo e che non ha avuto ALCUNA attività su spionaggio industriale) abbia occupato le prime pagine dei giornali per mesi mentre si fanno spallucce alle intrusioni cinesi e soprattutto non si citi mai quella gigantesca opera di controllo della navigazione (e dei commenti) in Cina nota come Great FireWall. Un sistema di controllo a cui negli anni hanno accettato di partecipare big come Yahoo prima e Apple oggi (attraverso "l'apertura" di backdoor di controllo governativo utilizzate in teoria solo nel cercato cinese) pur di essere ammessi all'immenso e redditizio mercato locale.
Qualcuno di voi ha mai sentito di azioni di Anonymous su siti russi o cinesi? No? Delle due l'una, o agiscono per conto terzi oppure in certi ambienti è ben chiaro che è meglio evitare di entrare sotto i riflettori di certe intelligence la cui reazione non si limiterebbe a reprimende verbali.
Aggiornamento 05/2019
Come dovevasi dimostrare il bubbone è scoppiato con lo scontro diretto Google (quindi Android) e Huawei. Nei mesi intercorsi tra l'allarme della stampa oltreoceano e l'inizio delle ostilità, l'Italia ha visto un incremento delle azioni di marketing dell'azienda cinese per acquisire nuove fette di mercato. Con prevedibili, ottimi risultati.
Prova è che nell'ultima settimana i forum e i siti dei giornali sono stati invasi da utenti (nuovi e vecchi) che ponevano tutti la stessa domanda: cosa fare qualora il play store non fosse più accessibile agli smartphone Huawei e venissero meno anche gli aggiornamenti Android?
I rumors dicono che Huawei darà una accelerata al progetto già in atto con l'EMUI, cioè quello di creare un proprio sistema operativo. Mossa prevedibile, prevista per il futuro ma obbligata ora.
La domanda che mi pongo è: le persone (e saranno tante) che installeranno il S.O. totalmente made in China, quindi fuori da ogni controllo reale,  avranno poi ancora il coraggio di gridare allo scandalo quando si scoprissero nuove falle come la recente su Whatsapp (Zuckerberg sempre lui ...)? Un vulnus che, sia detto per inciso, non aveva alcuna rilevanza per l'utente medio a meno che non fosse targettizzato dai servizi o dalle procure (nel qual caso avrebbe almeno dovuto usare Telegram ...).


Fonti
- The Big Hack: How China Used a Tiny Chip to Infiltrate U.S. Companies
Bloomberg Businessweek - ottobre 2018

- Senate Panel Seeks FBI Briefing on Super Micro Hacking Report
Bloomberg Businessweek - novembre 2018

-  RottenSys: il malware preinstallato in alcuni smartphone
Avira blog - aprile 2018

- Malware preinstallato su centinaia di smartphone Android
android.hdblog - giugno 2018

-  Smartphone Android: occhio ai virus sui modelli low cost. Ecco cosa fare 
Altroconsumo - novembre 2016

-  Telefonini Android preinfettati, ci casca anche Altroconsumo 
Il Disinformatico - novembre 2016

-  The great firewall of China: Xi Jinping’s internet shutdown

- China's Surveillance State Should Scare Everyone
The Atlantic - febbraio 2018

- Chinese spies responsible for surge in cyber hacking 
Australian Financial Review, novembre 2018

-  Chinese intelligence officers charged in U.S. with jet engine hacking conspiracy 
San Diego Tribune, ottobre 2018

- Chinese Officer Is Extradited to U.S. to Face Charges of Economic Espionage
NYT - ottobre 2018


Alcuni dei pianeti più "bizzarri" finora scoperti

Solo 10 anni fa la semplice idea di identificare pianeti al di fuori del sistema solare sarebbe apparsa al più un argomento per amanti della fantascienza, letteraria o cinematografica che fosse. Oggi si stenta quasi a credere a quanto si siano evoluti gli strumenti e le metodiche per inferire (osservare è un'altra cosa) l'esistenza degli esopianeti (qualunque pianeta al di fuori del nostro sistema) come dimostra la crescita esponenziale del loro numero nei cataloghi astronomici.
Al 10 novembre 2015 il numero di esopianeti identificati e confermati è 1905 (su 5609 scoperti), un numero destinato a crescere con il miglioramento delle tecniche di analisi e l'utilizzo di nuovi strumenti che prenderanno il posto dell'ottimo satellite Keplero.
Leggi --> qui per i dati aggiornati sulla conta degli esopianeti
Nota. Tra gli strumenti utili per cercare informazioni sui sempre nuovi esopianeti che si aggiungono alla "collezione", segnalo il sito exoplanet.eu e l'ottimo planetquest della NASA.
L'aggettivo "bizzarri" inserito nel titolo è ovviamente una semplificazione lessicale condizionata dal fatto che la nostra idea di "normalità" per un pianeta è riferita a quanto osservato nel nostro sistema solare: i pianeti giganti, gassosi o ghiacciati, nella parte esterna e i pianeti rocciosi (di taglia minore) all'interno. Questo è stato da subito il nostro metro di paragone e spiega lo stupore che è seguito alla scoperta di pianeti giganti prossimi alla stella, di "super-terre" più esterne o perfino di pianeti "di diamanti". Considerando che il nostro punto di riferimento è un infinitesimale angolo di universo è più che verosimile che siamo noi la bizzarria planetaria.
Siamo qui
Nota. Allo stato attuale delle conoscenze si stima che esistano 100 miliardi di galassie, in ciascuna delle quali vi è una media di 100 miliardi di stelle. Moltiplichiamo per 3 pianeti per stella (numero minimalista) e il numero di esopianeti potenziali è presto evidente. Certamente noi dovremo accontentarci, anche con il migliore degli strumenti possibili, di sbirciare solo in un'area ristretta della nostra galassia (il cui diametro è 100 mila anni luce e dal centro della quale noi distiamo 26 mila anni luce); mai potremo non dico desumere la presenza di un pianeta anche in una galassia a noi prossima ma nemmeno allontanarci troppo (direi ben entro i 1000 anni luce) dalla nostra posizione su un braccio della spirale galattica.
Fino a non molto tempo fa la "bizzarria" dei pianeti scoperti era in realtà una diretta conseguenza di un nostro "vizio di osservazione" causato dai limiti delle tecniche disponibili; dato che un pianeta grosso e orbitante vicino alla stella è più facile da scoprire di uno piccolo e a distanze "terrestri" (qualunque sia il metodo usato, "oscuramento" della luce o perturbazione dell'orbita stellare) e che al di sopra di certe dimensioni un pianeta non può non essere gassoso, allora si capisce per quale motivo la quasi totalità dei pianeti scoperti in questi primi anni si collochi dimensionalmente tra quelli denominati super-Terra (roccioso) e gli hot-Jupiter (un pianeta come Giove ma "bollente" data la sua prossimità alla stella, spesso in orbite interne a quella del nostro Mercurio).
Negli ultimissimi anni, il miglioramento delle tecniche ha in parte riequilibrato questo vizio di osservazione ma nondimeno la conclusione emersa è che non esiste una relazione a priori tra dimensione dei pianeti e vicinanza alla stella.
La distribuzione dei pianeti (candidati) scoperti in base a a dimensione (rispetto alla Terra) e periodo orbitale
in giorni (inversamente proporzionale alla distanza dalla stella). Credit: NASA Ames/W. Stenzel
Nota. Una descrizione sintetica delle tecniche in uso per l'identificazione degli esopianeti è stata fatta in un precedente articolo sul tema --> qui (ulteriori link sono disponibili nell'articolo)
Al momento in cui ho deciso di schematizzare in una classifica i pianeti più bizzarri finora scoperti ho tenuto conto solo di pianeti "inattesi" che abbiamo incontrato, forse, solo in alcune opere di SF. In altri casi la loro bizzarria è tale che sono "opere prime" dato che nessuno scrittore di fantascienza li avrebbe mai inseriti in una sua opera per evitare di subire il "declassamento" da narratore di SF a scrittore Fantasy.
Rapporto tra dimensione, massa e composizione dei pianeti (credit: Marc Kuchner/NASA GSFC)
Molti di questi pianeti sono ad oggi vere "meraviglie" e in alcuni casi sono veri punti interrogativi circa le dinamiche all'origine della loro formazione. Le immagini eventualmente associate sono, ovviamente, rappresentazioni artistiche su come potrebbero apparire se potessimo inviare in loco una sonda.
Nota. La nomenclatura degli esopianeti è diretta conseguenza di quella stellare, per cui al numero di catalogo della stella (tipicamente legata allo strumento/progetto che l'ha caratterizzata) segue una lettera minuscola ad indicare il pianeta. L'ordine delle lettere indica in genere la progressione temporale della scoperta e non la vicinanza alla stella.

Rappresentazione artistica di un pianeta gioviano (alto a
sinistra) in un sistema stellare ternario, visto da una sua luna
,
Credit: NASA / JPL PlanetQuest / Caltech (by space.com)
Pianeta sito a 151 anni luce da noi caratterizzato dall'orbitare intorno a tre stelle, in pratica una sorta di pianeta Tatooine (vedi Star Wars).
La stella principale ha caratteristiche solari mentre le altre due sullo sfondo nell'immagine, sono strettamente associate ed hanno una massa combinata pari a 1,6 volte quella solare (e si trovano ad una distanza dalla stella principale pari a circa quella di Saturno dal Sole).
In qualunque momento del giorno è possibile assistere ad un tramonto. Non è chiara la dinamica orbitale, se cioè il pianeta orbiti intorno alla stella più vicina e questa a sua volta sia in orbita reciproca con le altre due stelle o se l'orbita planetaria assuma connotati bizzarri ad oggi difficilmente calcolabili.
Pensate che sia un luogo strano? Sappiate allora che pochi mesi fa è stato identificato un pianeta che deve fare i conti per la sua orbita con QUATTRO stelle (il sistema 30 Ari).
Altre info sul sito astronomynow.com (credit: NASA/JPL-Caltech)




WASP-17b
credit: wikipedia
Grande due volte Giove ma con metà della sua massa è caratterizzato da un'orbita retrograda (opposta rispetto alla rotazione della stella).
 Di questi due misteri solo il primo (la bassa massa) può forse essere spiegato grazie ad una terza caratteristica del pianeta: orbita ad una distanza pari a circa 1/7 di quella di Mercurio dal Sole, sufficiente perché una buona parte della sua massa sia stata portata via dal pianeta. Un pianeta gigante gassoso che è di fatto un inferno di gas incandescente.

Un'altro pianeta che ama gli incontri ravvicinati con la sua stella è KIC 12557548 (di cui ho già trattato, vedi link associato); talmente vicino da essere vaporizzato in tempo reale come si evince dalla scia di materia che lascia dietro di se (come se fosse una cometa).
 
GJ12144
Battezzato waterworld è una superterra (massa e raggio 6 e 2 volte quelli terrestri, rispettivamente) in cui non si è ancora capito bene se sia veramente un pianeta roccioso ricoperto da un unico oceano (da cui il nome evocativo) o se sia una sorta di mini-Nettuno, quindi un pianeta gigante ghiacciato ricco di idrogeno, elio ed altri elementi a costituire un nucleo metallico (diverso da Giove e Saturno che sono veri e propri giganti gassosi, quindi "stelle troppo piccole per accendersi).


Gliese 581c
Pianeta orbitante sufficientemente vicino ad una nana rossa (quindi meno luminosa e calda del Sole) da essere situato in orbita sincrona (--> tidal locking) quindi il tempo di rotazione intorno al proprio asse (il giorno) equivale al tempo di rivoluzione intorno alla stella (l'anno).
Ne consegue che una faccia del pianeta sarà perennemente esposta alla luce mentre l'altra al buio.
Sebbene questo fenomeno sia ipotizzabile sul lunghissimo periodo per ogni coppia pianeta-stella o pianeta-satellite, il tempo necessario per raggiungerlo è al di fuori della portata di una stella come il  nostro Sole ma non della longeva nana rossa. Pur essendo difficile fare calcoli precisi dato il numero di variabili da considerare si valuta in 10 miliardi di anni il tempo necessario (link).
Nota. In modo simile si può ricavare la distanza perché si abbia un tidal lock dalla osservazione di un pianeta in tale stato. Sostituendo il tlock dell'equazione classica (qui) con l'età della stella e in riarrangiando l'equazione si ottiene "a". 
e da qui il grafico che indica la distanza in funzione del rapporto di massa tra stella e pianeta
credit: daviddarling.info

C'è un'altra caratteristica di interesse per questo pianeta: si trova talmente vicino alla stella che il suo tempo di rivoluzione è di soli 13 giorni. Immaginando di essere un ipotetico abitante del pianeta, la stella ci apparirebbe 14 volte più grande di quanto ci appare il Sole. Ho scritto "ipotetico" in quanto qualunque forma di vita verrebbe abbrustolita all'istante date le temperature incandescenti sulla faccia illuminata del pianeta. Non che vada meglio nella faccia non illuminata immersa in un gelo perenne tale da congelare l'azoto.
Volendo fantasticare l'unica area in cui potenzialmente potrebbe formarsi la vita è quella "di mezzo" avvolta in un eterno crepuscolo (o alba a seconda di come la si voglia vedere) con un irradiamento accettabile; un'area che unisce ad anello i due poli e la cui dimensione è pari a quella coperta da 15 gradi di longitudine). Continuando nell'opera di fantasia e immaginando organismi in grado di fare fotosintesi, questa dovrebbe basarsi sull'unica radiazione luminosa utilizzabile, l'infrarosso; per tale motivo un vegetale locale non avrebbe foglie verdi ma sostanzialmente nere. Ma c'è un altro problema: se anche vi fosse una atmosfera (il che la vedo dura data la vicinanza alla stella a meno di non possedere un campo magnetico estremamente potente in grado di deflettere il vento stellare) la superficie sarebbe solcata da venti difficilmente immaginabili a causa del gradiente termico tra la superficie ghiacciata e quella in ebollizione.
Comunque l'ottimismo è di casa sulla Terra visto che nel 2008 è stato inviato un segnale radio in direzione del pianeta che dovrebbe giungere a destinazione nel 2029. Speriamo che nessuno risponda. Non oso immaginare che esseri sarebbero in grado di vivere in quel luogo ... "ai confini della realtà".

Un pianeta simile è COROT 7b che condivide con G581c la sfortuna di essere sufficientemente vicino alla stella da essere in orbita sincrona. Qui le temperature sulla faccia esposta del pianeta possono raggiungere i 2200 gradi e si ritiene che possa piovere roccia fusa. [edit: altro pianeta della stessa "classe è K2-141b"].

Immagine artistica di CoRoT-7b e il suo sole (credit: Credit: ESO/L. Calçada)
Il record però del pianeta con orbita più prossima alla stella va a Gj 367b. Questo pianeta di massa circa la metà della Terra e grande come Marte orbita sincrono intorno ad una nana rossa in circa 8 ore.


WASP-12b
Credit: NASA
Pianeta gassoso caldo (hot-Jupiter) orbitante talmente vicino alla sua stella che la sua massa è risucchiata verso di essa. Per motivi simili è sottoposto ad una tale attrazione gravitazionale da avere una forma ovoidale invece che sferica.
E' considerato tra i pianeti più caldi con temperature intorno ai 2200 gradi.



Gliese 436b
Un pianeta simile a nettuno ma vicino alla stella (15 volte più vicino di Mercurio). 
Un pianeta cometa (ESA/Hubble)
Nonostante la sua prossimità ha una temperatura superiore a quella attesa di circa un centinaio di gradi (440 C), spiegabile solo con un massiccio effetto serra (una sorta di Venere in formato Nettuno). Date le condizioni locali si deve ipotizzare che il ghiaccio che caratterizza questo tipo di pianeti esista solo in forme esotiche come ad esempio ghiaccio bollente possibile grazie alla combinazione unica di pressione, temperatura e forza gravitazionale che impedisce la sublimazione del ghiaccio.

55 Cancri e
Il pianeta di diamanti (ne ho parlato in un precedente articolo --> qui)

TrEs-2b
Un altro hot-Jupiter (ve l'ho detto che rappresentano la maggior parte di quelli scoperti) distante da noi 750 anni luce, la cui peculiarità è quella di essere il pianeta più scuro mai identificato. 
Credit to the uploader
Meno dell'uno per cento (una stima recente parla di 0,04 per cento) della luce che proviene dalla sua stella viene riflesso. Difficile capire il motivo del pressoché totale assorbimento della luce incidente, anche ipotizzando la totale assenza di addensamenti atmosferici (che rendono invece Giove così luminoso). Per avere un termine di paragone considerate che riflette meno luce di quanto faccia il carbone o la vernice acrilica.
Tra le ipotesi formulate vi è la presenza di una atmosfera ricca di elementi altamente foto-assorbenti come sodio, potassio o idrossido di titanio.
A quel poco di luce che viene riflessa si deve la debole sfumatura rossastra del pianeta.

HD 106906b
La distanza tra pianeta e un ipotetico
 pianeta nettuniano.
Credit: Vanessa Bailey
E' questo il più solitario tra i pianeti che fanno parte parte di un sistema stellare; una precisazione doverosa quest'ultima data l'esistenza di pianeti orfani - a noi praticamente invisibili - che espulsi per varie ragioni dal loro sistema vagano solitari nello spazio.
Dotato di massa circa 11 volte quella gioviana, questo gigante gassoso orbita ad una distanza di 650 UA (una unità astronomica corrisponde alla distanza Terra-Sole) dalla sua stella sita a 300 anni luce da noi, nella costellazione della Croce del Sud. Per avere un termine di paragone su quando distante sia rispetto alla stella, pensiamo che Nettuno dista 30 UA dal Sole. Se si trovasse nel nostro sistema solare l'orbita di HD 106906b potrebbe essere collocata tra la zona nota come eliopausa e la Nube di Oort, ben oltre il punto in cui si trova ora la sonda Voyager 1 (per maggiori dettagli sulla missione e sulla definizione di eliopausa vi rimando ad articoli precedenti: "il lungo addio della sonda Voyager"; "la sonda è uscita dal sistema solare?").
Difficile immaginare un pianeta più solitario e freddo.

J1407b
Altre info su INAF (Credit: Ron Miller)
Altrimenti noto come il pianeta dagli anelli giganti.
Forse il più spettacolare da ossevare, se potessimo dato che si trova a 400 anni luce da noi. E' dotato di un sistema di anelli al cui confronto quelli di Saturno appartengono ad una moda minimalista; non è una esagerazione la mia se considerate che coprono un'area 200 volte maggiore di quella degli anelli di Saturno. Se immaginassimo di trasportare questo pianeta nel nostro sistema sostituendolo a Saturno, il pianeta ci apparirebbe delle stesse dimensioni della Luna.



SWEEPS 10
Di sicuro uno tra i pianeti che percorre più velocemente la sua orbita. Un anno su Sweeps 10 dura soltanto 10 ore.
Il nome curioso deriva dall'acronimo del progetto Sagittarius Window Eclipsing Extrasolar Planet Search (SWEEPS)
 Si tratta, inutile precisarlo oramai, di un pianeta gioviano (1,6 volte la massa di Giove) che è sfuggito finora al destino di essere vaporizzato e/o risucchiato dalla propria stella unicamente per il fatto che quest'ultima è una nana rossa.
Credit:NASA




COROT-EXO-3b
Un pianeta invero curioso questo che pur avendo una dimensione simile a quella di Giove ha una massa 20 volte superiore.
Credit: ESO/OAMP by cosmo.com
(ingrandimento QUI)
 Per spiegarne la composizione bisognerebbe ipotizzare una densità doppia rispetto a quella del piombo che per un pianeta di tali dimensioni è poco verosimile (un pianeta gigante non può che essere costituito da elementi leggeri come idrogeno ed elio altrimenti sarebbe collassato su se stesso a causa della forza gravitazionale.

L'ipotesi più probabile è che il pianeta sia in realtà una nana bruna, cioè una stella mancata (troppo piccola per accendersi) che abbia perso gran parte dei suoi elementi leggeri a causa dei "venti radianti" emessi dalla vicina stella.
Altre informazioni sulle nane brune -->qui.


Keplero 10c
Cosa pensereste se alla fine dell'elaborazione dei dati raccolti su un potenziale esopianeta classificato come super-Terra (dimensioni 2,3 volte quelli terrestri) emergesse che la sua massa è 17 volte quella terrestre?
Credit: David A. Aguilar (CfA)
Io rifarei i calcoli più e più volte, dato che la geometria e la fisica ci insegnano, rispettivamente, che il volume cresce con il cubo del raggio e che un pianeta di quelle dimensioni deve avere massa e densità compatibili con un pianeta roccioso. Invece la sua massa è simile a quella di Nettuno pur essendo molto più piccolo di esso (e quindi NON può essere di tipo gassoso). Una volta escluso l'impossibile non rimane che l'improbabile ma possibile, cioè che si tratti di un pianeta roccioso incredibilmente denso. Il valore della densità indica inoltre che gran parte degli elementi più leggeri come elio e idrogeno sono stati persi il che data la sua massa (gravità sufficiente a trattenere tali elementi) fa pensare che il sistema stellare sia molto più antico del nostro. Le stime attuali parlano di 11 miliardi di anni, poco più di 3 miliardi di anni dopo il Big Bang.
Il pianeta orbita intorno ad una stella non dissimile dal Sole ma in una orbita molto più stretta (dato che il tempo di rivoluzione è pari a 45 giorni la distanza è facilmente desumibile dalla terza legge di Keplero).
dove "T" è il periodo, "a" è il semiasse maggiore dell'orbita ellittica e K è la costante di Keplero. 
A tale distanza la superficie potrebbe arrostire agevolmente qualunque forma di vita anche se la temperatura reale dipende dalla presenza (dato non noto) di una atmosfera.

Allo stesso sistema appartiene il piccolo pianeta Keplero 10b che ha caratteristiche "infernali" molto simili a Keplero 78b, soprannominato il "pianeta di lava" e di cui ho scritto in passato (--> qui).

HD189733b
Un pianeta su cui piove ... vetro fuso (vedi articolo precedente --> qui).

Sulla falsariga di pianeti dove piovono cose strane, in questo abbiamo nuvole di ferro e pioggia di titanio (vedi articolo dedicato).

GJ 3512b
Un pianeta gigante che non potrebbe esistere.
Tale affermazione viene dal suo orbitare intorno ad una stella stella nana grande solo 270 volte il pianeta (come confronto il Sole è 1050 volte Giove) il che pone problemi circa la sua origine: difficile che possa essersi formata dagli avanzi di materiale protostellare non usato per "accendere" la stella. Talmente strano che lo studio ha meritato di essere pubblicato sulla prestigiosa rivista Science
Image credit: Guillem Anglada-Escude, Ieec, SpaceEngine.org via inaf.it



Coku Tau 4
Un pianeta "bambino" questo con una età stimata di solo 1 milione di anni. Una età che non deve stupire; ricordo infatti che il processo che porta alla formazione di un sistema planetario è temporalmente una inezia  rispetto alla sua vita (pochi milioni contro una decina di miliardi di anni per le stelle di massa solare) e sono diversi i casi in cui tale processo è stato osservato nelle sue diverse fasi.
Il pianeta dovrebbe essere di tipo gioviano e quindi assomigliare a come era il gigante del nostro sistema solare qualche miliardo di anni fa.
L'immagine non si riferisce a Coku Tau 4 ma è esemplificativa degli indizi che mostrano la formazione di un pianeta come la comparsa di un gap nel disco di detriti che circonda la protostella. Credit: NASA, ESA


E sui pianeti "abitabili" che cosa si sa?
Non molto e per una serie di ragioni fondate. Un pianeta abitabile (secondo i nostri parametri ovviamente) deve avere una serie di caratteristiche come massa, dimensione e posizione all'interno di un certo intervallo. Ma non basta dato che bisogna rapportare questi dati alle caratteristiche della stella; la cosiddetta zona di abitabilità di una nana rossa è molto più prossima (e limitata) alla stella di quella definita da una stella solare. Il vantaggio di una nana rossa però è che ha molto più tempo "vitale" a disposizione (senza incorrere in fastidiose - e distruttive per i vicini - degenerazioni in gigante rossa come avverrà per il Sole) e quindi se un pianeta è "messo bene" le probabilità che scocchi la scintilla della vita sono maggiori.
Esistono molte variabili da considerare non sempre definibili con gli strumenti attualmente disponibili. Se guardassimo da molto lontano il nostro sistema classificheremmo Venere come un pianeta gemello della Terra (per massa e dimensioni); potremmo ipotizzare l'esistenza di una spessa atmosfera ma difficilmente capiremmo che di abitabile questo pianeta non ha nulla a causa delle temperature locali causate dall'effetto serra.
Per ulteriori informazioni riguardo la scoperta di pianeti "abitabili" rimando al sito dell'osservatorio di Arecibo --> Planet Habitability Laboratory (PHL).
Credit: PHL @ UPR Arecibo

Una lista dei pianeti "estremi" (distanza, massa, ...) è disponibile --> QUI.

Alcune App sul tema:
  • l'app ufficiale della NASA --> NASA app (per Android su sito playstore) o --> QUI (per iPhone)
  • ricerca pianeti sistema solare usando la fotocamera dello smartphone (per Android sul sito playstore)--> Planets oppure Pocket Planets.







Powered By Blogger
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
Clive S. Lewis

"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
Karl Popper
Controllate le pagine delle offerte su questo blog




















Zerbini fantastici