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Dove inizia l'Alzheimer

L'aumento dell'età media della popolazione mondiale pone diversi problemi (economici, sociali, sanitari) che hanno come minimo comune denominatore il peso sempre maggiore di patologie prima ristrette ad un numero ridotto di individui. Sebbene le anomalie funzionali legate all'invecchiamento possano colpire più distretti e funzioni, sono quelle neurologiche e più precisamente quelle che impattano le capacità cognitivo-comportamentali le più problematiche. Il deterioramento repentino o graduale è di fatto un processo senza ritorno che porta con se un carico difficilmente quantificabile in coloro che assistono inermi al processo.
La degenerazione cognitiva è un processo affatto omogeneo che può sottintendere patologie completamente diverse, come eziologia, tra loro. La demenza senile è un termine "ombrello" che copre in modo generico sintomi potenzialmente associabili alla demenza frontotemporale, al morbo di Alzheimer, alle complicanze tipiche delle fasi avanzate del Parkinson o alla summa di eventi vascolari di per sé "asintomatici" (ictus in aree limitate).
Ad aumentare la complessità del fenomeno è la coesistenza di componenti genetiche (facilitanti) e ambientali (ad esempio dieta, fumo, inquinanti, ...) di entità diversa a seconda della patologia sottostante.

Il morbo di Alzheimer (AD da qui in avanti) è forse la patologia più temuta in quanto, pur nel permanere di condizioni fisiche anche ottime, comporta un inesorabile "distacco" dal mondo reale del paziente con la progressione di deficit cognitivi, mnemonici e comportamentali.
Non sono ad oggi disponibili terapie efficaci (anche solo intese come "congelanti" lo status quo) ma non per la mancanza di risorse investite nello studio e nella sperimentazione di farmaci. Il vero problema di questo tipo di patologie è paradossalmente legato alla estrema plasticità cerebrale che è capace di compensare i deficit funzionali almeno finché i danni non diventano così estesi (o colpiscono regioni chiave) da emergere; alcuni studi hanno infatti dimostrato che il processo degenerativo inizia 10-20 anni prima che compaiano i sintomi. Ed è paradossalmente proprio in questa resilienza funzionale che si annida il problema; quando il paziente manifesta i sintomi l'entità dei danni è talmente estesa che la sola ipotesi di potere scoprire un farmaco in grado di ripristinare i circuiti neuronali distrutti è meno che improbabile. D'altra parte un farmaco anche rivoluzionario nella sua azione preventiva non potrebbe mai dare risultati positivi su soggetti con danni così estesi e quindi si perderebbe nelle prime fasi dei test.
La sperimentazione clinica si basa su prove di funzionalità e di sicurezza delle molecole candidate. Tuttavia se i soggetti testati hanno danni "non riparabili" è evidente che dallo studio non potranno emergere farmaci in grado di prevenire la comparsa dei danni ma, nella migliore delle ipotesi, solo quelli in grado di rallentare il decorso.
Il che non è sufficiente. Corollario a questo concetto è che fintanto che non saremo in grado di identificare i soggetti nella fase asintomatica della malattia non potremo nemmeno sviluppare farmaci preventivi.
In assenza di sintomi precoci, che precedono cioè i danni irreparabili su larga scala, gli approcci possibili sono due, basati sull'esistenza di due forme di AD, una familiare e l'altra sporadica. La familiarità della malattia (sebbene con diversi gradi di penetranza) è chiaramente indicativa dell'esistenza di mutazioni predisponenti (ad esempio APOE4 ε4) più o meno comuni nella popolazione di malati, che una volta identificate potrebbero essere utili per identificare i soggetti a rischio e testare su essi i farmaci più promettenti estrapolando poi i risultati su tutti i pazienti con AD. Il problema in questo approccio è che le due forme di AD  non sono propriamente la stessa cosa sia come tempistica (la forma familiare ha in genere un esordio precoce) che come base genetica. I geni mutati nei pazienti con AD sporadico (mutazioni ex-novo) non sono esattamente gli stessi di quelli mutati nelle forme familiari della malattia, quindi sebbene le manifestazioni tardive della malattia e alcuni parametri fisiologici come la presenza di aggregati amiloidi nei neuroni siano simili, è probabile che l'eziologia sia diversa.
L'alternativa sarebbe uno screening a tappeto mediante tecniche di imaging su migliaia di persone asintomatiche, seguite poi negli anni fintanto da identificare i soggetti sintomatici e da lì rielaborare i dati accumulati sperando che emerga un qualche nesso causale utile a fine diagnostico. Un approccio chiaramente complicato sia da un punto di vista logistico che economico.

E' di poche settimane fa la pubblicazione di un articolo capace di aprire uno squarcio nel "buio delle prospettive terapeutiche". Lo studio, pubblicato su Nature Communications da ricercatori della università di Lund, riporta la identificazione di quali siano le aree del cervello in cui inizia la malattia, permettendo di fatto la creazione di un canone diagnostico utile per lo screening di soggetti da reclutare per i prossimi studi clinici e fornire loro terapie capaci (potenzialmente) di bloccare il decorso prima che diventino sintomatici.

Per minimizzare il minimo il numero di soggetti analizzati (sia per ragioni di costo che di accumulo di dati "confondenti") i ricercatori sono partiti dalla nozione che l'accumulo della proteina β-amiloide è uno degli eventi chiave del processo degenerativo e che questo evento inizia decenni prima della fase sintomatica della malattia.
Nota. La centralità della beta-amiloide nella eziogenesi della AD è da qualche anno al centro di un profondo dibattito tra la visione classica che essa sia la causa prima della malattia e un numero non secondario di ricercatori che propendono per il suo essere un epifenomeno della patologia. Rimane il punto fermo che la stragrande parte dei pazienti presenta un accumulo di amiloide nel cervello e quindi la sua presenza può in ogni caso essere utilizzata come marcatore di uno stato patologico.
Lo studio è il risultato dell'analisi dei dati raccolti su più di 400 persone negli Stati Uniti, sani ma classificati come ad alto rischio di contrarre l'AD, a cui si sommano un numero simile di individui reclutati nell'ambito dello studio clinico svedese noto come BioFINDER. I dati ottenuti durante lo studio sono stati infine confrontati con quelli ricavati da soggetti sani e, apparentemente, non a rischio.
In estrema sintesi i ricercatori hanno prima quantificato il livello di proteina beta-amiloide nel liquido cerebrospinale dei volontari per poi passare alla mappatura mediante imaging (specificamente usando una tecnica nota come PET) delle aree in cui si localizzava la proteina. Un passaggio chiave per identificare quali fossero le aree in cui compaiono le anomalie ben prima della comparsa dei sintomi. Le zone identificate (precuneo, corteccia orbito-frontale mediana e cingolata posteriore) sono parte di una delle reti funzionali più importanti del cervello, nota come Default Mode network (vedi nota a fondo pagina),

Le aree in cui compaiono le prime anomalie associate al morbo di Alzheimer
(per l'immagine originale e dettagliata --> S. Palmqvist - Nat. Comm.)

Ora che sappiamo dove inizia la malattia di Alzheimer, potremo migliorare la diagnostica concentrando l'analisi su queste aree su quei soggetti a rischio (vuoi per storia familiare o per sintomi dubbi).
La Default Mode network  è una rete cerebrale fortemente interlacciata la cui attività è evidente quando ci troviamo in uno stato di astrazione vigile, come il tipico "sognare ad occhi aperti" che si svolge mentre si stanno svolgendo altre attività. Si tratta di una sorta di sistema di "pilota automatico" che ci permette ad esempio di camminare mentre siamo assolti nei pensieri senza andare contro un palo pur non essendo "attivamente" consapevoli di ciò che incontriamo. Non è un caso che tale sistema sia classificato tra quelli "superiori" (assente negli altri mammiferi) essendo associato non solo alla "mera" capacità di pensiero ma al pensiero astratto. Funziona, per dirla in termini semplici, come un raccordo tra l'attività corticale e i sistemi "inferiori" che rimangono vigili e "prendono il controllo".
Image credit: Immordino-Yang et al

Articoli precedenti sul tema -->"Una scarica per ricordare" oppure cliccando i tag --> "Alzheimer"  o --> "neuroscienze"


Fonte
- Earliest accumulation of β-amyloid occurs within the default-mode network and concurrently affects brain connectivity
Sebastian Palmqvist et al, (2017) Nature Communications 8, Article number: 121


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