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Science from the Cloud (dicembre)

Direttamente dal Cloud, alcune tra le tante notizie scientifiche ignorate dai media generalisti
(qui le precedenti sul tema "Science from the Cloud")



Grazie al ghiacciaio il Monte Bianco non si consuma

(The Bossons glacier protects Europe's summit from erosion)
A cavallo tra le Alpi italiane e francesi il familiare profilo innevato del Monte Bianco ha sfidato gli scalatori (più per l'altezza che per l'oggettiva difficoltà) e gli scienziati, interessati a capire come la montagna venga modellata dal ghiacciaio.
Ghiacciaio del Bossons
L'erosione della superficie su cui poggia (o meglio scorre) un ghiacciaio contribuisce sia a trasportare a  valle sedimenti che a modellare nel corso di centinaia di migliaia di anni le profonde valli che noi vediamo oggi incunearsi tra le catene montuose. Questa l'azione classicamente attribuita ad un ghiacciaio.
Negli ultimi anni tuttavia, i geologi hanno ipotizzato nuovi "ruoli" tra cui quello, apparentemente opposto ai due precedenti, di protezione delle vette, in modo particolare di quelle poste a latitudini lontano dall'equatore. Sebbene questa ipotesi venne formulata inizialmente per le montagne a latitudini elevate, oggi si ritiene che essa via valida anche per montagne a medie latitudini come il Monte Bianco, e forse perfino più a sud (o a nord nell'altro emisfero). Questo almeno è quanto sostiene Jean-François Buoncristiani, uno degli autori dello studio apparso qualche settimana fa su Earth and Planetary Science Letters. Alla base dell'ipotesi vi è l'osservazione che il Monte Bianco cresce di 1 millimetro all'anno, in virtù della pressione tettonica (la placca africana che preme quella europea), apparentemente indifferente all'azione erosiva ambientale. Una azione in grado di annullare facilmente questa modesta crescita. Il calcolo è stato fatto confrontando la velocità dell'erosione del ghiacciaio del Bossons con le zone adiacenti prive di ghiaccio. Nelle zone prossime alla vetta, coperte dagli strati più freddi (e stabili) del ghiacciaio, la velocità dell'erosione è 16 volte inferiore rispetto alle zone ghiacciate più a valle e ancora più ampia rispetto alle zone adiacenti scoperte.
Da questo emerge che un ghiacciaio stabile ha una azione molto importante nel ridurre le conseguenze dell'erosione, e quindi i problemi a valle. Un dato cruciale in un paese dissestato geologicamente come il nostro aggravata dalla ben documentata riduzione dei ghiacciai causata dal cambiamento climatico globale.
Alcuni sono però di parere opposto come Mark Brandon, un geofisico presso la Yale University, il quale afferma che i ghiacciai con una base bagnata sono in realtà altamente erosivi. "Rimane da vedere come i ghiacciai perenni agiscano sulle montagne più alte al mondo", ha sostenuto Brandon.
C. Godon et al, Earth and Planetary Science Letters.  2013, 375 pp135–147

Il clima cambia e così gli equilibri naturali e ...
(The one that got away - higher temperatures change predator-prey relations)
Le variazioni climatiche hanno effetti non solo sul comportamento animale ma, cosa più problematica, alterano il rapporto preda-predatore.  Un effetto che può avere ripercussioni su ampia scala e non facilmente prevedibili.
L'articolo dell'università di Sidney indaga il fenomeno analizzando il mosquitofish (Gambusia affinis) e la sua aumentata capacità di sfuggire i predatori.
The University of Sydney, news

... anche il bioritmo annuale dello scoiattolo americano
(Climate impacts on hibernating squirrels)
Un altro esempio della conseguenza delle variazioni climatiche è osservabile nello scoiattolo. Lo studio condotto su una specie delle montagne rocciose, in cui l'intensità delle nevicate è aumentata negli ultimi anni, evidenzia un aumento nel tempo di letargo invernale e a cascata un minor tempo per la riproduzione e la preparazione al successivo inverno.
The University of Edinburgh, news

L'inquinamento sonoro negli oceani
(Noise cuts whale communications in Northeast sanctuary)
L'inquinamento acustico riguarda anche gli oceani soprattutto considerando che alcune frequenze basse, tipo quelle usate dalle balene, sono trasmesse "intatte" a grande distanza. L'aumentato traffico nel nord-Atlantico ha ridotto, in particolare nella baia del Massachusetts, la capacità comunicativa delle balene di almeno il 60 per cento. Un evento tutt'altro che marginale data la correlazione (ipotizzata) tra inquinamento sonoro e il fenomeno dello spiaggiamento dei cetacei.
National Oceanic and Atmospheric Organization, news

Le immagini del 2013 secondo la rivista Nature

TUTTI I DIRITTI DELLE IMMAGINI APPARTENGONO AI RISPETTIVI AUTORI
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Di seguito una carrellata di alcune delle immagini del 2013 scelte dalla rivista Nature. Il pdf originale è disponibile nel link a fondo pagina.


Qui la versione in HD (®NASA/JPL-Caltech/SSI e nature.com)

Una immagine spettacolare che mostra Saturno in contro-luce visto dalla sonda Cassini. Riuscite a vedere il puntino sulla destra? Quella è la Terra distante 1 miliardo di chilometri. Non la distinguete? Nessun problema seguite i due link sottostanti (sito della Nasa) e vi diranno "dove è che cosa".
fig2 e fig3 (entrambi in HD)

Link al sito della Nasa

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(®Marat Ahmetvaleev / nature.com)

Vi ricordate il meteorite esploso sopra i cieli della Russia qualche mese fa? Questa è la foto che mostra l'esplosione, conseguente all'entrata nell'atmosfera, avvenuta a 30 chilometri di altezza. Un fenomeno analogo avvenne sempre in Russia nel 1908 e portò alla distruzione di ettari di foreste (cerca Tunguska).

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(®Xiaohui Qiu/Science/AAAS e nature.com)
Una immagine fino a poco tempo fa impossibile. Quella dei legami idrogeno (e quindi indirettamente degli atomi) tra quattro molecole di 8-idrossichinolina ottenuta con un microscopio a forza atomica.


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(®Dominic Clarke/Science/AAAS e nature.com)
Una immagine raffigurante le deboli linee del campo elettrico intorno ad un fiore. Secondo gli autori le api sarebbero in grado di percepire questi campi e lasciando come segnale uno ione positivo facilitare la scelta delle compagne.


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(®Jamey Stillings e nature.com)

l'energia solare comincia a diventare una risorsa appetibile? Ecco allora uno scorcio dell'avveniristica centrale solare presso il Ivanpah Dry Lake in California.


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(®Jose Jacome/EPA/Corbis e nature.com)
L'eruzione del vulcano Tungurahua in Ecuador continua ininterrotta dal 2010 ma iniziata 10 mila anni. Le devastazioni sull'abitato uman provocate da questo vulcano sono le più antiche tra quelle registrate (1100 A.C.)


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(®Kirsten Faurie/Kanabec County Times/www.MoraMinn.com)

Il recupero di una aquila calva ferita, da parte di una volontaria della università del Minnesota.

(per le immagini più interessanti del 2012, guarda qui)


Fonti
- 365 days: Images of the year
  Nature, 18 dicembre 2013 (PDF)


Medicina alternativa - dalla erboristeria alla meditazione

Nell'articolo precedente sul tema "medicina alternativa e uso responsabile" (QUI) ho voluto sottolineare alcuni dei criteri che ogni persona dovrebbe usare prima di fruire di tali trattamenti. Infatti se da un lato è vero che alcuni degli approcci appartenenti al variegato mondo della medicina alternativa si sono dimostrati con il tempo indubbiamente utili è anche vero che il motivo del loro successo è spiegabile scientificamente. L'esempio fatto in precedenza delle proprietà della corteccia del salice è illuminante: non si tratta di proprietà taumaturgiche di natura trascendentale ma della presenza di principi attivi che, una volta isolati, hanno reso possibile ottenere lo stesso effetto, ma in modo più semplice e riproducibile, con una pastiglia di aspirina o derivati. Per motivi simili il non conoscere esattamente le molecole presenti in un infuso derivato da una o più erbe espone al rischio concreto di effetti non caratterizzati e quindi non soppesabili per il rapporto rischio/beneficio.

A posteriori mi sono accorto che in quell'articolo mancava una parte che riassumesse anche solo brevemente gli studi scientifici volti a valutare, e nel caso validare, l'efficacia di tali trattamenti. Ancora una volta, mi riferisco a solo a branche "serie" della medicina alternativa e non a pratiche cialtronesche. Rimedio con questo articolo.

Sulla omeopatia non mi esprimo ulteriormente  in quanto condivido in pieno la posizione di Silvio Garattini, una persona che ha fatto del rigore scientifico e della lotta alle fandonie il perno della sua attività di farmacologo (vedi la sua lotta con l'ignominia del metodo Stamina, vedi qui). Potete quindi dare uno sguardo all'articolo di Garattini "Ma è mai possibile curare i malati con il "nulla"?" citato a fondo pagina.

Agopuntura
®wikimedia
In favore dell'agopuntura ci sono i risultati di numerosi studi clinici che dimostrano il suo funzionare meglio di un trattamento placebo (consistente nel fittizio inserimento di aghi che il paziente non vede) nel trattamento del dolore cronico. Un dato positivo oscurato tuttavia dal fatto che il sollievo provato era indipendente dal punto in cui gli aghi venivano inseriti!
Nel caso del trattamento del dolore cronico tuttavia la componente fisiologica è fortemente legata alla componente "percettiva" (personale) del dolore; va da se che questo è uno dei casi in cui, come abbiamo visto in precedenza, l'effetto placebo amplifica i suoi effetti. Questo per dire che se anche il trattamento ha una efficacia teorica non totalmente spiegabile con un effetto fisiologico, la componente di soddisfazione personale (lenimento del dolore) diviene centrale. Se quindi il paziente in piena autonomia di giudizio ritiene di provare maggiore beneficio con questo trattamento rispetto a quando utilizza un anti-dolorifico, non vedo grossi problemi. E in effetti questi trattamenti non hanno mai la pretesa di sostituirsi a trattamenti salva-vita consolidati.

Erboristeria
Nel caso dei prodotti erboristici il discorso è molto più complesso date le indubbie proprietà farmacologiche associate a molte piante. Il problema in questi casi è stato (ed è ancora oggi) identificare, nel caso di un effetto "reale", quali e quante fossero le  molecole associabili al principio attivo.
©wikimedia commons (see here)
Lavoro complicato dalla necessità di valutare in primis la sicurezza del trattamento, la tolleranza sul breve-medio periodo (reazioni allergiche e durata dell'effetto nel tempo) ed infine la identificazione delle specifiche della malattia da trattare. Quest'ultimo fatto potrà sembrare ovvio ma per i trattamenti, anche funzionanti, della tradizione popolare non è immediato; pensiamo come esempio ad un unguento contro l'irritazione cutanea indotta da una pianta. L'azione lenitiva potrebbe essere specifica per la tossina rilasciata dalla pianta (magari presente esclusivamente in Amazzonia) o magari agire come anti-infiammatorio locale. La differenza tra i due casi ci dice se la sua azione è generale o estremamente specifica, e quindi non utile a chi cerca un rimedio contro l'irritazione da ortica.
Ad oggi pochi farmaci prettamente botanici (quindi NON il solo principio attivo) hanno effettivamente ottenuto l'approvazione, anche se molti sono oramai in una fase avanzata della sperimentazione clinica. Tra questi abbiamo:
  • l'anti-reumatico PMI-001 è un estratto derivato dalla Tripterygium wilfordi, della famiglia delle Celastraceae (principalmente piante rampicanti), usato in Cina per secoli per curare febbri, come contraccettivo maschile e più recentemente per malattie infiammatorie e autoimmuni. Nella sua  corteccia esterna sono stati identificati circa 400 composti alcuni dei quali dotati di attività anti-infiammatoria, con bersaglio l'attività trascrizionale di geni pro-infiammatori come IL- 2, TNF,  iNOS e COX-2. (PRNewswire)
  • Miele di Manuka. Ricavato da piante (nulla ha a che fare con le api) è dotato di una interessante attività antibiotica ad ampio spettro che gli è valsa la recente approvazione per uso medico. Piccole concentrazioni di questo estratto uccidono in solo due ore l'85 % della popolazione batterica presente in un biofilm. Tra questi, il batterio Streptococcus pyogenes, il batterio responsabile delle problematiche connesse alla lenta guarigione delle ferite, soprattutto tra i pazienti immunocompromessi. Mai nome (miele) si è rivelato più adatto allo scopo dato il momento attuale in cui la carenza di antibiotici funzionanti rende "dolce" questa scoperta.
Fitness e meditazione
®wikimedia
Tra i vari rimedi appartenenti alla medicina alternativa vale la pena considerare anche l'esercizio fisico e la meditazione. Tra i molteplici studi condotti sull'uno o sull'altro approccio cito uno studio americano condotto su entrambi contemporaneamente. Nel lavoro condotto da David Nieman e pubblicato nell'agosto del 2012, sono state studiate 149 persone divise in tre gruppi a cui è stato chiesto di dedicarsi a sessioni quotidiane di 45 minuti (per un totale di 2,5 ore alla settimana) di esercizio fisico, meditazione (del tipo "di consapevolezza") o a fare quello che fanno di solito. I tre gruppi sono stati poi confrontati tra loro valutando su base annua l'incidenza e l'intensità di affezioni comuni come raffreddore o influenza
Sia l'esercizio fisico che la meditazione hanno mostrato benefici significativi rispetto al controllo.
Mentre il gruppo di meditazione e quello impegnato in attività di esercizio fisico intenso hanno cumulato un totale di 257 e 241 giornate di assenza dal lavoro, rispettivamente, a causa di disturbi derivanti da raffreddori o influenza, il gruppo di controllo ha totalizzato 453 giorni di disturbi. Una riduzione pari al 50 %!
E' bene precisare che in un lavoro di poche settimane fa l'effetto "protettivo" è apparso maggiore nel gruppo di meditazione rispetto a quello "sportivo".
Comunque sia il dato è interessante anche se è ovvio che saranno necessarie casistiche più ampie e controllate prima di pronunciarsi in merito.
Lo studio di Nieman mostra come siano sufficienti 30-60 minuti di moderato esercizio cardiovascolare al giorno (jogging, camminata veloce o bicicletta) per raggiungere la massima protezione contro tutti i tipi di malattie comuni. Un valore per nulla difficile da raggiungere, con un po' di buona volontà, per l'adulto medio. Certamente più facile che chiedere alla stessa persona di meditare (NON oziare, cosa ben diversa) per 45 minuti ogni giorno.

Un libro interessante sull'argomento recentemente pubblicato:
 "Do You Believe in Magic? The Sense and Nonsense of Alternative Medicine" di Paul A. Offit. Harper, 2013 hardcover, $26.99 ISBN: 006222296


(prossimo articolo sul tema, QUI)


Fonti
- Alternative medicine on trial
  EMBO reports (2012), 11(12)

- Sham acupuncture may be as efficacious as true acupuncture: a systematic review of clinical trials.
  Moffet HH (2009), J Altern Complement Med 15: 213–216

- Upper respiratory tract infection is reduced in physically fit and active adults.
  Br J Sports Med (2011) 45: 987–992

- Ma è mai possibile curare i malati con il "nulla"?
http://www.cicap.org/new/articolo.php?id=101576

- Advantage Of Meditation Over Exercise In Reducing Cold And Flu Illness Is Related To Improved Function And Quality Of Life
Chidi N. Obasi, Influenza Other Respir Viruses. 2013 November; 7(6)

Medicina alternativa. Usare con cura

Ancora oggi la medicina alternativa è per molte persone un approccio alternativo (nel senso di sostitutivo e di pari valore) alla medicina moderna. Una valutazione dettata da una serie di ragioni molto diverse tra loro che vanno dall'ignoranza assoluta alla ricerca di rimedi naturali per affezioni non gravi. Quindi uno spettro che comprende sia scelte errate e potenzialmente molto pericolose che atteggiamenti tutto sommato condivisibili, se non addirittura consigliati, purchè limitati a malattie autolimitanti e a decorso benigno.
by wikimedia commons
© see here
 Sia chiaro che qui non prendo nemmeno in considerazione pratiche cialtronesche quali quelle propagandate dal mago o guaritore di turno (a cui sia il metodo Stamina che la mai troppo condannata cura Di Bella appartengono pur apparentemente ammantati di un'aura para-scientifica).
Mi riferisco invece alla vera medicina alternativa, l'erboristeria e l'agopuntura ad esempio. Entrambe discipline derivanti da studi millenari e il cui effetto è scientificamente spiegabile anche se non ancora del tutto caratterizzato in alcuni dei loro principi base.
Che scienza e erboristeria vadano a braccetto non è un mistero. Le proprietà della corteccia del salice bianco hanno permesso di isolare il principio attivo dell'aspirina (o sarebbe meglio dire uno dei principi attivi data la complessità dell'azione della aspirina), l'acido acetilsalicilico. Stesso discorso con l'arsenato come trattamento di seconda istanza per la leucemia promielocitica acuta o la digitalina per alcune patologie cardiache. Non a caso molte aziende farmaceutiche hanno implementato costosi programmi di ricerca volti ad una scansione a tappeto di tutte le "ricette" della medicina popolare per verificarne gli effetti, validarli ed infine identificarne i principi attivi.
Sarebbe tuttavia errato, guardando al mondo della medicina alternativa, non considerare approcci come l'omeopatia, la meditazione e perfino l'esercizio fisico. Approcci invero molto diversi tra loro ma che sono stati sostanziati, soprattutto gli ultimi due, da evidenze cliniche interessanti (per approfondimenti leggete su questo blog l'approfondimento a questo articolo, QUI). Del resto sul legame tra mente e corpo, e tra fitness e salute generale ci sono ben pochi dubbi, anche se ovviamente i benefici di queste due attività sono limitati (ovvio che nulla può fare la meditazione o la corsa campestre su, ad esempio, il rene policistico).
Sull'omeopatia invece sono meno possibilista, non avendo mai trovato (ne le basi teoriche mi hanno mai convinto) evidenze scientifiche serie. Possiamo tuttavia farla rientrare tra i rimedi accettabili PURCHE' le seguenti condizioni siano verificate:
  • non pretenda di sostituirsi alla medicina ufficiale, soprattutto in malattie a decorso anche solo potenzialmente importante. 
  • nel caso di malattie autorisolventesi (ad esempio raffreddori e malanni stagionali) o come supporto per effetti secondari della malattia (le tisane sono un esempio).
  • sempre dietro consiglio di professionisti del settore ed informando il medico dell'avvenuto trattamento. Non sono rari i casi in cui la contemporanea somministrazione di un farmaco standard e di una erba per se assolutamente non pericolosa diano un effetto combinato negativo.
Potranno sembrare precisazioni ovvie ma come si suol dire "prevenire è meglio che curare". Non sono stati rari in passato i casi che hanno visto delle madri (che si suppone volessero solo il meglio per la propria prole) trattare i figli diabetici con surrogati naturali al fine di evitare gli innaturali trattamenti farmacologici (in questo caso l'insulina). Con conseguenze ovviamente nefaste. E non si tratta di casi limite di persone poco istuite. Lo stesso Steve Jobs rifiuto' nelle fasi iniziali della malattia (il temibile tumore del pancreas) i trattamenti "ufficiali" (chirurgia e chemioterapia) per rifugiarsi in trattamenti naturali (New York times).

La medicina alternativa è un utile complemento di quella tradizionale, NON un sostituto. Un concetto non sempre chiaro in chi fa uso o propaganda questi trattamenti. 
Questi i punti "fallaci" più comuni nell'utente medio:

1. Visto che molti ne fanno uso, vuol dire che il rimedio funziona
Un errore concettuale, dato che la popolarità non è un indicatore assoluto di efficacia. La storia della medicina è piena di esempi in proposito: salassi e purganti erano universalmente considerati un rimedio molto efficace. Fatti salvi per quelli che ne morivano a causa del ripetuto trattamento e sulla pretesa di curare malattie molto diverse tra loro con lo stesso rimedio.

2. Il motto "post hoc, ergo propter hoc"
Usare come elemento fondante il concetto "ha funzionato in passato per me, mia zia, il mio gatto, …" è molto diffuso nella cultura popolare. Se un paziente riceve un trattamento e migliora è immediato (nel sentire comune) associare il trattamento ad un beneficio. Ma la domanda vera e corretta da porsi dovrebbe essere "è stato il trattamento ad indurre il miglioramento?". Una domanda per niente peregrina quando si parla di trattamenti su malattie autorisolventesi (come il raffreddore) in cui il trattamento inizia nella fase sintomatica (che generalmente  coincide con il culmine della malattia); per forza di cose nei giorni successivi al trattamento (cioè al culmine della malattia) i sintomi diminuiranno.

3. Effetto placebo
In farmacologia questo fenomeno è molto studiato e rappresenta un serio problema nella validazione dei dati sperimentali; soprattutto in quelle malattie in cui la componente psicosomatica è rilevante. L'effetto placebo è l'effetto fisiologico percepito dal paziente (come miglioramento o anche peggioramento) in seguito alla assunzione di un prodotto privo di alcuna azione farmacologica, mentre il paziente lo ritiene un vero farmaco. In pratico lo zuccherino di una volta, oggi invece un trattamento in tutto e per tutto uguale a quello vero tranne per l'assenza del principio attivo.
Attenzione pero'! Non parliamo di malattie psichiatriche o di ipocondria. Parliamo di malattie vere, con disturbi organici veri, ma profondamente influenzati da fattori terzi come stress, etc. Uno degli esempi più importanti a tal proposito è la sindrome del colon irritabile dove la componente stressogena legata alle difficoltà a cui tale sindrome inevitabilmente si associa, fa si che  l'effetto placebo possa raggiungere valori anche superiori all'80% (nella maggior parte dei casi il valore medio è intorno al 25%). Vale a dire che l'80% dei pazienti trattati con il placebo dichiara di stare meglio rispetto a prima. E' evidente che in queste situazioni l'effetto placebo è un fattore in grado di nascondere l'efficacia di farmaci funzionanti. Una situazione particolarmente comune quando la malattia non ha una unica causa ma è eterogenea. E' cioè il risultato di alterazioni fisiologiche molto diverse tra loro che si manifestano con sintomi praticamente identici.
E' bene chiarire che il trattamento con il placebo negli studi clinici (il controllo è SEMPRE necessario) è utilizzato solo in quei casi in cui la malattia non sia, anche solo potenzialmente, grave. In tutti gli altri casi il controllo consiste nel migliore tra i trattamenti/farmaci consolidati. Il punto che mi premeva qui sottolineare è l'esistenza e l'importanza dell'effetto placebo.
4. I sostenitori delle medicine alternative citano spesso i dati che mostrano come molti dei farmaci sperimentali non hanno (per definizione) una prova di validità ... essendo sperimentali. Quindi, aggiungono, tanto varrebbe usare la medicina alternativa. Peccato che si manchi di sottolineare che un farmaco sperimentale è tale in quanto ci sono delle evidenze che giustificano il protocollo sperimentale. Evidenze che non sono certamente prove conclusive (è appunto sperimentale) ma sono basate su dati documentati.
Diverso il discorso ovviamente per quei malati terminali a cui la medicina può offrire solo una terapia palliativa per minimizzare i dolori associati. In quei casi, e postulato che non esista nessun tipo di trattamento, anche solo sperimentale, e che non elimini i benefici delle cure palliative, la medicina alternativa potrebbe fornire una speranza (non logicamente supportata però) a chi è senza speranza o anche solo una riduzione del dolore percepito.

5. Altro punto spesso sollevato è che la medicina alternativa "non ha effetti collaterali rilevanti".
Anche in questo caso il concetto è vero ma per un motivo opposto a quello voluto dai sostenitori della medicina alternativa: estremizzando il concetto sarebbe come confrontare un farmaco con acqua fresca. E' ovvio che un farmaco, avendo un effetto farmacologico, induce modificazioni e quindi, anche, effetti collaterali.
Il punto fallace è ancora una volta nell'errata comprensione di come si valuta "realmente" un effetto farmacologico. Il valore reale di un qualunque farmaco non è legato al suo rischio assoluto ma al rapporto tra rischio e beneficio. Il beneficio deve essere sempre tale da giustificare il rischio aggiuntivo (che ogni farmaco comporta). Questo è il motivo per cui gli effetti collaterali considerati accettabili per un farmaco oncologico sono ben diversi da quelli accettabili per un farmaco contro il dolore muscolare. Farmaci oncologici di vecchia generazione che magari aumentavano il rischio a vent'anni di altre malattie anche molto gravi avevano un senso in quanto senza il trattamento il paziente non avrebbe superato l'anno, quindi un effetto ipotetico a vent'anni è un trade-off più che accettabile. Discorso del genere non avrebbe senso per un altro farmaco.

5. Molto spesso (sono i numeri che parlano) le sperimentazioni cliniche falliscono o peggio alcuni farmaci devono essere ritirati. Meno dell'1% dei farmaci che entrano in fase 1 arrivano alla fine della fase 3 quando il farmaco è registrato e può entrare in commercio. Ma questo è ben lungi dall'essere un difetto della medicina ufficiale. Vuol dire che i farmaci sono sottoposti ad un scrutinio molto rigoroso prima di essere considerati "adatti". Cosa dire allora quando un farmaco registrato, quindi definito sicuro, viene ritirato dal mercato a causa della pericolosità eccessiva? 
Quando questo avviene le ragioni possono essere di due tipi diversi:
  • il numero casi trattati (di solito molte migliaia) durante la sperimentazione sebbene alto è insufficiente per smascherare effetti collaterali gravi molto rari (ad esempio 1/10 mila); 
  • quando un farmaco entra in commercio la tipologia delle persone che ne faranno uso è per definizione molto eterogenea, per età e condizioni di salute pregresse (e quindi di farmaci in uso). Questo può scoperchiare effetti negativi che nelle condizioni controllate di uno studio clinico non era possibile valutare.
L'obiezione quindi dei fautori ad oltranza delle medicine alternative è che la scienza non può prevedere tutto e che quindi alcuni fenomeni non prevedibili esistano in realtà. Ancora una volta il punto è portare evidenze di un effetto che siano riproducibili e documentabili. Del resto la maggior parte dei farmaci approvati fino alla metà degli anni '80 non poteva avvalersi di studi approfonditi come quelli oggi disponibili. Nella maggior parte dei casi la via metabolica bersaglio del farmaco era molto poco compresa. Tuttavia anche in quei casi l'approvazione si basò non su quanto non si conosceva ancora ma su dati oggettivi di efficacia.
Questo è quello che conta. Portare prove ed una documentazione scientifica che sia in linea con le conoscenze del periodo.

Una volta comprese questi concetti allora si che si avranno gli strumenti per comprendere quando e se utilizzare i rimedi della medicina alternativa.

Lettura consigliata
- Thirteen follies and fallacies about alternative medicine 
EMBO reports, 2013 (14), pp 1025-1026

- Nonconscious activation of placebo and nocebo pain responses
  KB. Jensen, PNAS (2012), 109 (39)
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per articoli simili vedi il tag "Dimensione-X" (quando la scienza si scontra con l'antiscienza)




Stamina. Perchè si è dovuto aspettare così tanto per intervenire?

Stamina. Perchè non si è dato retta prima a ne capisce?

Questo è il vero mistero.
Nonostante le continue spiegazioni di una persona competente come Garattini abbiamo dovuto sorbirci le opinioni da bar dello sport.
Ho sentito parlare di sperimentazione negata, cura miracolosa, insensibilità e amenità simili da chi non saprebbe descrivermi l'essenza del metodo scientifico o anche solo capire la differenza tra chi opera seguendo i dettami della scienza e chi fa l'opinionista a tempo perso (vero caro il mio giornalista sportivo che ha scritto cose talmente ignobili scientificamente comprensibili solo grazie alla sua esperienza ... nel calciomercato - e non è un modo di dire).
Nel caso di Stamina il termine terapia è fuorviante. Solo fuffa para-scientifica
Sono mesi che la comunità scientifica si è mobilitata per bloccare una sperimentazione priva di basi teoriche propugnata da chi (come scrissi qui) non solo non aveva alcuna esperienza di cellule staminali ma non era nemmeno un ricercatore!!!! Fino a ieri l'ideatore del metodo si pensava fosse uno psicologo (!?!?!?) ma con il vezzo di dichiararsi neuroscienziato (da manicomio in effetti).
Ovviamente nessuno dei due titoli era corretto: è laureato in lettere ... .

Questo il commento riportato oggi sulla prima pagina del Corriere.
Nuove accuse su Stamina, la cura contro le malattie neurodegenerative con le staminali, la cui efficacia è da tempo all’esame del ministero. Indagine sul- l’ospedale di Brescia. I pubblici ministeri hanno messo sotto inchiesta la di- rettrice degli Spedali Civili, dove si somministrano le cosiddette «cure compassionevoli». «Terapia inefficace», sostiene la Procura di Torino, che aggiunge: «I malati sottoposti al tratta- mento non migliorano». E ancora: Davide Vannoni, «papà» del metodo, si fingeva medico. Nel mirino degli investigatori ci sono conti e procedure. Dodici sono gli indagati nel filone torinese su Stamina, una decina in quello bresciano
 Vale la pena allora ripescare un articolo di Michele De Luca pubblicato su "Il Sole24ore" di domenica 1 dicembre (quello che segue è solo un estratto, a fondo pagina i link per la versione completa. Tutti i diritti al ®ilsole24ore.it)

Michele De Luca
1 Dic 20
Michele De Luca
1 Dic 2013
Mai come in questi mesi  le cellule staminali sono  assurte agli onori  della cronaca: se ne  parla ovunque e, a  onor del vero, quasi  sempre a sproposito. Non solo in Italia,  sempre a onor del vero. Nell’immaginario  collettivo, complici alcuni ciarlatani, speculatori  e fenomeni mediatici le cellule staminali  sono viste come la panacea per tutti i  mali, noti e persino ancora ignoti, e le regolamentazioni,  incluse le famigerate GMP  (Good Manufacturing Practice), un complotto  ordito dalle industrie farmaceutiche  per impedire ai pazienti di esercitare un  presunto diritto alla "libertà di cura". Posizioni,  queste, spesso sposate da incompetenti  in materia e in qualche caso appoggiate,  in modo più o meno velato, da alcune  istituzioni dimentiche del fatto che dovrebbero  essere le prime a tutelare la verità dei  fatti e la salute dei pazienti.  Credo sia utile provare, ancora una volta,  a fare chiarezza. Qualche settimana fa un  articolo dell’Economist ha suscitato reazioni  di protesta per aver sostenuto che la  scienza è inaffidabile perché sbaglia troppo.  Nulla di più lontano dal vero. La scienza  sbaglia perché dispone di un metodo che  consente di avanzare nella conoscenza, e   solo se si è in grado di scoprire gli errori ci si  avvicina progressivamente a sapere come  stanno le cose.  (...) Ma proprio per ovviare a questi  problemi la scienza si è dotata di strumenti  di auto-controllo assai efficaci e ha potenziato  il metodo scientifico (ovviamente inviso  a ciarlatani e speculatori), per esempio  sviluppando la cosiddetta "medicina basata  sulle prove di efficacia". (...) Quali sono i pilastri della medicina basata  sulle prove di efficacia? Sostanzialmente  tre: una solida ricerca di base, una ricerca  pre-clinica meticolosa e una sperimentazione clinica rigorosa (...) per garantire ai pazienti  la sicurezza (fase 1) e l’efficacia (fasi 2  e 3) dei farmaci che vengono loro proposti.  (...)  Chi propone una derubricazione delle colture  cellulari a trapianti o chi si fa promotore  di iniziative che tendono a mettere sul  mercato terapie di non provata efficacia e  non vagliate (...) mina alla radice il concetto  di medicina scientifica, con potenziale  danno per i pazienti che si dovrebbero e vorrebbero curare. Perché lo fa? (...) un movente di tipo economico speculativo  e la consapevolezza dell’improbabilità  dell’efficacia delle terapie che si tenta  di mettere comunque sul mercato.  
(...)
 Come si può dunque conciliare l’irrinunciabile  necessità di sicurezza ed efficacia  con la peculiarità delle colture cellulari? (...)  Accanto ad una semplificazione di alcune  regole, sarebbe necessario applicare alle  terapie avanzate basate su colture di cellule  regole ancora più severe e stringenti  sui razionali e sulla ricerca di base e pre-clinica, che giustifichino la prosecuzione dello  sviluppo del prodotto fino all’applicazione  clinica, anche se sperimentale. Questo  perché la cellula è una entità più complessa  di un composto chimico e le sue potenzialità  terapeutiche meno immediatamente note. Tale cambiamento di prospettiva permetterebbe  di ottenere almeno due risultati:  rendere disponibili per i pazienti i prodotti  di terapie avanzate a base di colture  cellulari in tempi più brevi e con costi inferiori,  e prevenire la diffusione di trattamenti  come quelli tipo "Stamina", privi di qualsiasi  plausibilità scientifica.  Ricordiamoci che la vera compassione,  in campo medico, sta nel fornire ai pazienti  garanzie e informazioni a cui ancorare razionalmente  le speranze che, per definizione,  nella medicina scientifica possono essere  basate solo su solide prove scientifiche.  Tutto il resto non può essere in alcun modo  definito né compassione né medicina. È solo  illusione. 

Testo completo disponibile nella sezione rassegna stampa della Associazione Luca Coscioni (qui) o sul sito scienzainrete.it (pdf)

La mia domanda è una sola. Perchè è stato permesso a chi non ha titoli (manifestanti, politici, TAR del Lazio) di condizionare decisioni che spettano solo e soltanto a chi si occupa di ricerca biomedica e agli enti regolatori?
Domanda superflua nella repubblica delle banane.

  • Prossimo articolo sull'argomento qui 
  • Sulla medicina alternativa vedi qui una breve disamina ... ma solo degli approcci "seri" come la erboristeria e l'agopuntura

Siete stonati? La neurobiologia indaga

Perché molte persone sono stonate e come mai alcune di loro non sanno di esserlo non è un problema banale. La neurobiologia è la scienza giusta per scoprirlo.

A chi non è capitato di ascoltare lo strazio di note gorgheggiate da un amico mentre cerca invano di riprodurre la canzone prediletta?
Una esperienza abbastanza comune e imbarazzante quando l'esecutore è convinto di non stonare ... almeno finché qualcuno non lo mette di fronte alla prova registrata facendogli riascoltare la sua esecuzione. Uno stratagemma invero non sempre risolutivo perché un manipolo non irrilevante di chi si riascolta (circa il 4% della popolazione) non riuscirà a percepire la distonia musicale.
Fortunatamente per i vicini nella maggioranza dei casi gli stonati sono ben consapevoli dei loro limiti canori e si regolano di conseguenza limitando i gorgheggi ai momenti di solitudine sotto la doccia o in macchina con i finestrini ben chiusi. Tasso alcolemico permettendo.
Una situazione che non è una condanna senza riscatto: maestri di canto o semplici tutor musicali possono insegnare a correggere l'impostazione vocale riducendo al minimo le dissonanze. A volte però anche il più paziente tra i maestri deve arrendersi di fronte a casi senza speranza, individui agli antipodi di chi possiede il cosiddetto orecchio assoluto, cioè la capacità di riprodurre perfettamente una musica dopo averla ascoltata una sola volta.

Solo il 4% della popolazione mondiale è irrimediabilmente stonata. Lo rivela Isabelle Peretz, che insieme a Robert Zatorre, nell’ottobre scorso ha dato vita al Brams (Brain, Music and Sound Research), un centro internazionale per lo studio della relazione tra cervello, musica e suoni.
L'incapacità (perdonatemi il termine che può apparire brutale) musicale, intesa come il non riuscire ad applicare toni alle scale, ha basi genetiche e non solo culturali. Nulla ha a che fare, è bene precisarlo, con il porre correttamente i toni all'interno di una frase. Per intenderci provate a "far leggere" un testo qualsiasi al miglior lettore di testi sul mercato e coglierete una distonia che rende fastidioso, innaturale, l'ascolto prolungato della lettura.
Bene, anche il peggiore e irriducibile stonato musicale NON ha problemi, salvo danni di altra natura, nel tonalizzare una frase. In un amusico la corretta accentazione e il ritmo (prosodia) sono intatti.
Le regioni cerebrali coinvolte in questi due processi sono infatti diverse.
Semplificando possiamo distinguere due tipi di "stonati": sordi tonali (incapaci di riprodurre una melodia e/o di riconoscerla correttamente) e sordi ritmici (coloro che non vanno a tempo). Caratteristiche fastidiose ma tollerabili se paragonate a quella di altre categorie di amusici che non riescono a distinguere suoni ambientali standard (pianto, abbaiare di un cane, etc) da quelli  potenzialmente pericolosi (immaginate il non riuscire ad identificare il suono di un clacson). Questi problemi NON sono legati alla corteccia uditiva ma risiedono nell'emisfero destro. 
L'amusia ha una forte componente genetica, dato dimostrato dal confronto tra gemelli monozigoti ed eterozigoti. L'analisi mediante tecniche di imaging cerebrale mostra che le zone coinvolte NON sono quelle della corteccia uditiva o quelle in cui ha sede il linguaggio ma si trovano nella zona subcorticale.
Questo ovviamente non vuol dire che gli amusici abbiano difetti cognitivi. L’abilità musicale non è correlata al quoziente intellettivo, essendo presente (e in alcuni casi estremamente sviluppata) in soggetti con altre e serie deficienze cognitive. Concetto ribaltabile visto che persone in tutto brillanti e di successo possono essere amusiche.
Di più, il possedere il cosiddetto orecchio assoluto non è correlato alla capacità di solfeggio: capire e catturare la musica ascoltata (trascrivendola sullo spartito, fischiettandola o risuonandola) non ha niente a che vedere con l'essere intonati.
Percepire la dissonanza musicale è necessario ma non sufficiente per essere intonati (problemi di natura fisica potrebbe alterare la vocalizzazione). Come scrivevo sopra se la maggior parte degli "stonati" si rende conto di esserlo (e questo rende fattibile il lavoro di coaching musicale), un certo numero di persone non riesce a percepire che un dato accordo (un insieme di note o in generale la tonalità) è diverso da un altro. La dissonanza è l'ovvia conseguenza in questi casi.

Lo studio della dissonanza è molto complesso e rimando a libri e siti specializzati per avere maggiori ragguagli sul perché alcuni insiemi di note siano da noi percepiti come dissonanti.
Cito come semplice esempio lo studio del canadese Steven Brown volto a comprendere perché alcune persone non riescano a riprodurre nel modo corretto suoni peraltro correttamente percepiti. Secondo Brown  molte persone non cantano bene in quanto il cervello non riesce a coordinare bene le aree uditive con le aree motorie della laringe. Il suono risultante è diverso da quello voluto; riescono a riconoscere perfettamente la tonalità ma non riescono a riprodurla.

L'orecchio assoluto è una condizione innata ma può, secondo Lutz Jäncke (Dipartimento di Neuropsicologia dell’Università di Zurigo), essere acquisito anche un certo numero di soggetti dopo un training specifico. Per studiare le peculiarità funzionali del cervello in chi possiede l'orecchio assoluto Jäncke ha seguito due strade. In un caso ha voluto vedere quanta parte delle proprietà dell’orecchio assoluto dipenda dal training musicale. Quello che è emerso è che l’abilità di identificare le note dopo il training migliora fino ad eguagliare, solo in alcuni soggetti, l'abilità innata delle persone con orecchio assoluto. La seconda parte dello studio invece si è focalizzata sulle differenze anatomiche; dai suoi lavori emerge che chi ha l’orecchio assoluto ha una diversa distribuzione della sostanza bianca (fondamentale per la comunicazione tra i diversi distretti cerebrali).
Il lavoro manca di alcuni dati. Sarebbe stato interessante ad esempio avere un confronto neurofunzionale tra i "nativi assoluti", coloro che riescono a diventare tali dopo il training e chi pur essendo naturalmente intonato è privo dell'orecchio assoluto.

Ovviamente le domande senza risposta, di natura neurofunzionale, sono ancora molte. A questo proposito, particolarmente interessante è lo studio in preparazione che indagherà il peso della componente genetica nella capacità di cantare. I soggetti studiati saranno, non a caso, gemelli, essendo questo il modello ideale per ponderare la componente ambientale rispetto a quella genetica e distinguere la diversa penetranza (cioè quanto sia da solo in grado di indurre un certo carattere) dei polimorfismi eventualmente coinvolti. 
Quanto pesa l'apprendimento ed il contesto ambientale e quanto invece la predisposizione personale? Domande non irrilevanti nelle neuroscienze.
Il team coordinato da Sarah Wilson della università di Melbourne, è nella fase di reclutamento di 120 coppie di gemelli, monozigoti e dizigoti, di età superiore ai 15 anni. Non è richiesto che abbiano pregresse competenze canore, una istruzione musicale o esperienze pregresse amatoriali. Per essere ammessi dovranno completare una serie di test online per misurarne le "capacità" intrinseche.
Maggiori informazioni su   www.twins.org.au .


Fonti
- The Cognitive Neuroscience of Music 
  Edited by Isabelle Peretz and Robert J. Zatorre
- Pitch discrimination without awareness in congenital amusia: Evidence from event-related potentials
 Patricia Moreau et al,  Brain and Cognition  Volume 81, Issue 3, April 2013, Pages 337–344


- Tone Deafness: A Broken Brain? 
  Lindsay Abrams. The Atlantic, maggio 2013

- BRAMS – International Laboratory for Brain, Music and Sound Research

- Musicofilia (versione italiana) e Musicophilia (edizione originale in inglese)
  Oliver Sacks, Adelphi

Great book!



- A group study of adults afflicted with a music‐specific disorder
  Julie Ayotte  Brain 125(2) 2001

- The Genetics of Congenital Amusia (Tone Deafness): A Family-Aggregation Study
  Isabelle  Peretz  Am J Hum Gen 2007

- Congenital Amusia Persists in the Developing Brain after Daily Music Listening 
  Geneviève Mignault Goulet PLoS ONE 2012

- Perfect harmony: Is singing ability in twins inherited?
  Università di Melbourne, Maggio 2013

Ragionare sugli OGM è utile, se la discussione è scientifica e non ideologica

(Continua da qui)

Nel precedente articolo ho voluto evidenziare i limiti intrinseci di una discussione sugli OGM basata su una asimmetria informativa. Dannosa in quanto impedisce ai non addetti ai lavori di comprendere sia le potenzialità che ovviamente i limiti di questo approccio. E' chiaro che la tematica è complessa e non può essere troppo semplificata per non banalizzarla; tuttavia affrontare l'argomento con presupposti tipo "OGM = creatura di Frankenstein = pericolo = potere delle multinazionali" è dannoso soprattutto per "l'uomo della strada" in quanto è l'anello debole della catena informativa e quindi il bersaglio privilegiato della lobby anti-OGM.

Al contrario, gli addetti ai lavori hanno tutti gli strumenti per analizzare e soprattutto soppesare i dati disponibili dalla letteratura scientifica. Per questo motivo si trovano spesso spiazzati quando devono fronteggiare assalti puramente ideologici che per definizione non sono contrastabili con i dati. Pensate che stia esagerando? Avete mai provato a spiegare ad una persona imbevuta di un credo religioso o politico un concetto assolutamente oggettivo e chiaro per voi ma estraneo o contrapposto alle conoscenze dell'interlocutore? 
Nella migliore delle ipotesi vi guarderà sorridendo ironico; molto più spesso vi considererà una persona in malafede o peggio un provocatore che vuole cancellare ciò che per lui è ovvio con numeri e parole, per lui, chiaramente false.

Molte possono essere le obiezioni sensate all'uso indiscriminato degli OGM, in nessun caso tuttavia sono riferibili a rischi reali (cioè basate su evidenze) per la salute. 
Una obiezione fondata è quella relativa alla dipendenza dal fornitore di sementi, l'unico in grado di fornire ad ogni stagione dei semi attivi. Se da un punto di vista economico questa obiezione è sensata va però ricordato che la stragrande maggioranza dei coltivatori già oggi non usa semi derivanti dal precedente raccolto ma li acquista periodicamente. In genere il motivo è da ricercare nella maggiore qualità della semenza acquistata (selezionata dal produttore quindi a maggiore resa) mentre quella ottenuta dal raccolto ha, per motivi naturali, una resa "funzionale" estremamente variabile. In altre parole per avere la stessa resa di una identica pianta il coltivatore dovrebbe usare quantitativi almeno (se va bene) doppi della propria semenza rispetto a quella acquistata.
Altro punto importante da considerare è che la sterilità delle piante OGM non è unicamente legata alla logica di profitto di multinazionali come la Monsanto (anche se chiaramente è un motivo). Una pianta sterile ha anche l'indubbio vantaggio di cancellare proprio il pericolo paventato dagli anti-OGM di una diffusione incontrollata delle piante OGM grazie al loro vantaggio competitivo (ad esempio la resistenza agli insetti).
Una pianta OGM sterile al contrario non potrà mai "invadere" diffondere i propri semi nemmeno su un terreno adiacente, a soli 10 metri di distanza, lasciato incolto o magari coltivato con piante diverse e "normali".
 
L'esempio fatto non vuole né potrebbe essere esaustivo in quanto molte sarebbero le obiezioni e le contro-obiezioni da discutere. Serve soltanto a dimostrare come affrontando un argomento complesso in modo a-ideologico le possibilità di approfondimento, e sicuramente di miglioramento, sono reali e non sterili comizi. Purchè ovviamente la discussione sia sempre e solo basata su dati reali e non su preconcetti.

Avevo anticipato la volta scorsa che avrei usato molti degli argomenti esposti da Raymond St. Ledger in un suo recente seminario e così sarà. I successivi paragrafi ricalcheranno molti degli esempi da lui fatti. Prima di tutto però faccio alcune considerazioni su cui ognuno dovrebbe, in totale autonomia e libertà, riflettere.
  • L'espansione umana del neolitico fu possibile solo e soltanto grazie alla nascita dell'agricoltura e dell'allevamento stanziale
  • Queste pratiche hanno necessariamente portato alla selezione di animali e piante con caratteristiche talmente diverse da quelle originarie da risultare "innaturali": i bovini selezionati per il latte (la Frisona, etc) oppure il grano moderno ben diverso dall'antenato teosinte, sono gli esempi più ovvi.
    Il pomodoro selvatico a destra vs. quello selezionato dall'uomo e completamente innaturale (nel senso che in natura non potrebbe mai sopravvivere essendo privo delle difese antiparassitarie)
    Sicuri di preferire il grano selvatico da quello "mutato" moderno?
  • L'innovazione alimentare che permise di sconfiggere la fame cronica nella sovrappopolata Europa venne dall'importazione della patata.
  • Questo stesso evento fornisce anche l'esempio dei pericoli insiti nella monocoltura. La malattia delle patate nell'Irlanda della metà '800 (aggravata dalla politica protezionistica inglese) fu causa di una spaventosa carestia che ridusse di quasi un terzo la popolazione locale.
  • La popolazione mondiale ha raggiunto i 7 miliardi nel 2011 e punta decisamente ai 10 miliardi. La sola popolazione europea (assolutamente minoritaria) non avrebbe di che sfamarsi (anche se attualmente iperalimentata) se le tecniche agricole fossero rimaste all'era pre-DDT. E' sufficiente comparare due terreni di pari dimensioni e localizzazione coltivati in modo "biologico" (vero però, non con qualche aiutino chimico) e "moderno" (disinfestanti di nuova generazione) per osservare la differenza di resa e di edibilità dei prodotti ottenuti. Non esiste paragone.
  • Ora bisogna decidersi. Soddisfare il fabbisogno alimentare mondiale senza agire sul controllo delle nascite nei paesi che per definizione non possono sfamare più persone di quanto le risorse locali permettano vuol dire fare un atto umanitario ipocrita; l'unico risultato è quello di generare popolazioni ancora più povere e disperate di quelle in cui il controllo delle nascite era legato alle condizioni ambientali. Pensate alla popolazione delle baraccopoli kenyote e confrontate con la qualità di vita dei loro bisnonni all'inizio del '900. Chi viveva meglio? Vogliamo alimentare la spirale negativa di "maggiore popolazione-minore cibo-continui aiuti-emigrazioni di massa-nuova povertà" o vogliamo utilizzare piante modificate in grado di crescere in un clima arido e senza troppi disinfestanti chimici?
  • Le popolazioni che si stanno emancipando dalla povertà non vogliono cibo "biologico" come i nostri grassi e viziati cultori dello "slow food". Vogliono proteine e in genere proteine animali (a loro prima precluse). Gli allevamenti "biologici" tipo il bovino da pascolo al più soddisfa una regione a bassa densità di popolazione, non una megalopoli. L'attività di pesca industriale già ora, con una domanda bassa rispetto al potenziale, ha depauperato i mari imponendo dei limiti per assicurare il necessario ripopolamento. Solo l'acquacoltura (cioè l'allevamento di pesce) può scongiurare un imminente disastro ecologico. Ricordate che non parliamo qui della vecchia Europa e della consapevolezza ambientale. Parliamo di paesi tipo la Cina le cui flotte hanno di fatto preso possesso di molti porti africani o dei giapponesi che si spingono nel mediterraneo alla ricerca del tonno (per non parlare della caccia alla balena). Due paesi di fatto non autonomi da un punto di vista alimentare. Contrastare questi paesi è alquanto improbabile, anche se non è chic ricordarlo visto che gli strali sono guarda caso sempre indirizzati contro le multinazionali USA.
  • Impedire l'OGM in Europa quando le decisioni sono prese altrove ha poco senso. Molto meglio essere parte del processo per scegliere il meglio. Soprattutto quando ad essere coinvolti sono paesi come la Cina che (vedi il disastro ambientale locale) sembrano non avere un equivalente linguistico per il termine "equilibrio ecologico".
  • Vogliamo sfamare il pianeta? Non ci sono molte vie di uscita: miglioriamo la resa alimentare o andremo incontro a disastri ambientali e a carestie globali.
  • Non è vero che un prodotto "biologico" è per definizione innocuo. Pensate alle aflatossine. Meglio del DDT? A dire il vero non vorrei dovere mangiare cibo contaminato con nessuna di esse.
  • Minimizzare l'utilizzo dei prodotti chimici è un obbligo per la tutela dell'ambiente. L'OGM nasce appunto per questo motivo. Parlate di lobby? Certo ma in questo caso sarebbe corretto ricordare che la lobby dell'OGM è contrastata dalla lobby dell'industria chimica. Se una va su l'altra ci perde. Quindi attenzione da dove vengono le soffiate ai media sugli svantaggi di una tecnologia rispetto all'altra.
  • Una pianta/animale trangenico non è un Frankestein derivato da una carota con le corna di una mucca. Nella stragrande maggioranza dei casi esprime un gene "alieno" in mezzo agli oltre 20 mila del suo corredo genetico. Anzi in molti casi non si tratta neppure di un gene esogeno ma di un promotore diverso, un elemento genetico che regola quanta proteina viene prodotta.
  • Un OGM è anche il batterio che negli anni '80 permise di ottenere l'insulina da dare ai diabetici mentre prima doveva essere estratta dai cadaveri! Avreste voluto bandire anche quello?

Ora alcune delle considerazioni fatte da St Ledger
Raymond St. Leger
  • La paura di creature Frankenstein con effetti imprevedibili sull'ecosistema mondiale sono in Europa spesso alimentate da un anti-americanismo latente (come s e gli OGM fossero sconosciuti in Cina) e dalla paura di aziende come la Monsanto. In un recente sondaggio YouGov solo il 21 % dei britannici sostiene decisamente la tecnologia GM, mentre il 35 % si è detto contrario. I restanti non esprimono opinioni definitive. Particolarmente interessante il fatto che il risultato si ribalta quando ad essere intervistate sono le persone direttamente coinvolte nella produzione agro-alimentare (il settore primario vero NON le grandi corporation), qui largamente favorevoli: un sondaggio rivela che il 61 % degli agricoltori userebbe prodotti OGM se solo potesse. 
  • I timori europei riguardo ai pericoli degli OGM sono datati e non basati su prove. Spesso la resistenza a nuove tecnologie è puramente ideologica. Come scrisse Jonathan Swift circa quattro secoli fa "non è possibile ragionare con qualcuno di qualcosa su cui non ha mai voluto ragionare" ("It is useless to attempt to reason a man out of a thing he was never reasoned into").  
  • Una indagine della Commissione Europea del 2010, condotta analizzando centinaia di studi scientifici, ha mostrato che non esiste alcuna prova oggettiva che gli OGM possano mettere a rischio la salute umana o l'ambiente.
  • La stragrande maggioranza di altre indagini indipendenti mostrano la stessa cosa. Secondo una stima recente nel biennio terminato con il 2011 sono stati consumati due miliardi di pasti contenenti alimenti geneticamente modificati; un campione statistico non irrilevante. Soprattutto perchè molti si dimenticano che il cibo dato agli animali è da anni trangenico.
  • La continua "fame" di nuovi territori da coltivare (spesso malamente sfruttati per poche stagioni) sta portando alla depauperazione di territori naturali come foreste e savane. Ad oggi il 40 % della superficie del pianeta è utilizzato per l'agricoltura. E non è sufficiente con le tecniche attuali per sostenere la crescita del terzo mondo iniziata quasi mezzo secolo fa. Aumentare l'efficienza mantenendo stabili le aree coltivate è fondamentale. Maggiore efficienza uguale minore costo per il consumatore. E non parlo dei consumatori dei paesi ricchi.
  • Ridurre lo sfruttamento del suolo significa anche un minor impatto dei costi indiretti dell'agricoltura: meno serbatoi e deviazioni dei fiumi per l'irrigazione. Attualmente il 70 % del nostro consumo di acqua fresca viene usato per l'agricoltura.
  • Le piante in natura non hanno tutte la stessa efficienza fotosintetica nel fissare il carbonio. Senza entrare in troppi dettagli tecnici possiamo dire che la maggior parte delle piante usa la cosiddetta modalità C3 (ad ogni ciclo sono fissati tre atomi di carbonio, cioè tre molecole di CO2). Una minoranza di piante (grano, sorgo, miglio, canna da zucchero) usa invece la via C4. Alcuni numeri serviranno a chiarire quanto siano più efficienti: le piante C4 rappresentano solo il 5% dei vegetali in natura eppure fissano il 30% della CO2. Una maggiore efficienza che si accoppia ad un minor bisogno di fertilizzanti e ad un minor consumo di acqua. L'idea è quella di convertire piante importanti in agricoltura da C3 a C4. L'impatto sul consumo di risorse scarse (acqua) sarebbe incredibilmente positivo e avvantaggerebbe in primis le aree più disagiate non quelle già ricche e fertili.
  • Gli attivisti anti-biotech sono molto attivi nel condurre una campagna accuratamente orchestrata di opposizione mirante a spaventare la gente e, a catena, i troppi politici più attenti alle prossime elezioni che a fare piani basati su dati reali.
  • Uno degli esempi dei ritardi che questo scontro ideologico comporta è riassunto dal caso AquaBounty, una società biotech americana, che propose già da metà anni '90  di introdurre un salmone modificato variando il promotore (NON la proteina) dell'ormone della crescita. I salmoni, siano essi cresciuti in acquacoltura o liberi in natura, crescono di massa durante i caldi mesi estivi. Risultato, sono necessari circa tre anni per ottenere un adulto. Il salmone modificato raggiunge dimensioni tre volte superiori in un anno e mezzo! Risultato ovvio: molto più prodotto finale con la metà degli inquinanti prodotti (e del cibo fornito che ricordo è di origine animale in quanto il salmone è carnivoro). Gli scienziati che si sono occupati di studiare questo animale, compresa la FDA, la iper-pignola agenzia regolatoria americana, hanno concluso il pesce è altrettanto sicuro da mangiare rispetto al salmone convenzionale. Eppure niente si è mosso a causa della campagna orchestrata dalla Atlantic Salmon Federation (un chiaro conflitto di interessi) che ha sollevato la preoccupazione che il pesce potrebbe alterare l'ecosistema se raggiungesse l'oceano. Una critica curiosa dato che i salmoni modificati sono allevati in apposite cisterne, sono solo femmine e per di più sterili (no! non è possibile che revertano di sesso come avvenuto con i dinosauri di Jurassic Park).
    Il confronto tra il salmone naturale e quello modificato (® ilfattoalimentare)
Fortunatamente migliore fortuna hanno avuto progetti simili condotti su carpe e tilapie e che hanno permesso di risollevare l'economia di molti paesi del terzo mondo.

Il riso modificato (Golden rice) per produrre vitamina A è un altro esempio di un prodotto in grado di fornire un valore aggiunto a popolazioni in cui la carenza vitaminica non è, come da  noi, un elemento di discussione dei fanatici degli integratori vitaminici. E' un problema reale e paesi come Filippine, Bangladesh e Indonesia ne saranno i primi beneficiari.
Un altro esempio di riso modificato per scopi di profilassi è il cosiddetto MucoRice-ARP1, che produce un anticorpo contro il rotavirus, responsabile delle devastanti malattie diarroiche a bassa presenza medica (leggi l'articolo su Journal of Clinical Investigation).
Fondazioni in prima linea per gli aiuti come la Helen Keller International e la Bill and Melinda Gates Foundation hanno sostenuto assiduamente questi progetti.
Vale forse la pena ricordare che le aziende detentrici del brevetto hanno ceduto i diritti dello sfruttamento gratuitamente e a tempo indefinito. Nessun obolo verrà quindi dato ai produttori.

Vogliamo allora pensarci seriamente oppure preferiamo pontificare seduti nei nostri comodi divani e sempre ragionando con la pancia piena?

Qualcosa sta cambiando fortunatamente (anche se l'Italia come al solito sarà ultima). Questo il commento di Mark Lynas (uno dei fondatori del movimento anti-OGM e critico di alcune azioni di Green Peace da lui definite immorali) nel porre le sue scuse su alcune campagne condotte in Gran Bretagna contro gli OGM:
The first generation of GM crops were suspect, I believed then, but the case for continued opposition to new generations – which provide life-saving vitamins for starving people – is no longer justifiable. You cannot call yourself a humanitarian and be opposed to GM crops today (link qui).
Oppure l'ex presidente USA Jimmy Carter da sempre in prima linea nelle iniziative umanitarie
Responsible biotechnology is not the enemy; starvation is. Without adequate food supplies at affordable prices, we cannot expect world health or peace (link qui).

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OGM. Quando un allarme FALSO ha maggiore copertura della smentita VERA

Quale occasione migliore della recente ritrattazione dell'articolo su "OGM e rischio cancro" per tornare sull'argomento copertura mediatica e scienza. Una ritrattazione passata in sordina rispetto alla ampia eco che la pubblicazione dell'articolo ebbe un anno fa.
Faccio un breve riassunto per chi non avesse seguito la vicenda.
L'anno scorso il gruppo di Gilles-Eric Séralini pubblicò sulla rivista Food and Chemical Toxicology un articolo in cui si mostrava la correlazione tra cibo OGM e cancro in animali da laboratorio. Un articolo ovviamente accolto con la fanfara dai tanti detrattori tout court (ma spesso privi di lauree specifiche …) degliOGM e amplificato dai media.

Chi si occupa di scienza deve avere tuttavia un solo credo, da recitare come un mantra ogni giorno affinché si fissi nel proprio agire quotidiano di scienziato:
ogni dato ottenuto sperimentalmente e/o ogni osservazione fatta DEVE essere presa in considerazione, ponderata per i controlli usati, confrontata con gli altri dati disponibili ed essere riproducibile (non solo nello stesso laboratorio ma soprattutto da terzi). Ogni critica è accettabile purché sia sostanziata da dati e non da impressioni.
Quindi l'approccio corretto su qualunque argomento (OGM compreso) deve essere basato sui dati affinché il confronto sia costruttivo. Si obbietterà che quando il dato viene pubblicato su una rivista scientifica ne deriva il suo essere vero e quindi la risonanza mediatica giustificata.
Non in senso assoluto. Vediamo perché.
E' vero che le riviste scientifiche, prima di accettare un articolo, chiedono a dei revisori terzi e competenti sull'argomento di controllare il livello e la coerenza interna dei dati presentati (un processo tanto più "massacrante" quanto più la rivista aumenta di livello) ma è anche vero che il revisore può SOLO verificare che i dati presentati siano internamente coerenti e di interesse per la rivista in cui si intende pubblicare. NON deve ripetere gli esperimenti, lavoro che richiederebbe interi laboratori dedicati al solo controllo.
Il revisore può chiedere invece che vengano fatti nuovi esperimenti per sostanziare alcune affermazioni poco supportate dai dati presentati o lacune sperimentali.
Una interazione quella tra revisori, autori ed editori che dura nel migliore dei casi pochi mesi ma che spesso si prolunga di molto data la mole di approfondimenti richiesta.
Una volta che il lavoro ha ricevuto parere positivo e viene pubblicato entra in gioco il vero soggetto giudicante, cioè la comunità scientifica. I dati e i protocolli usati sono a questo punto di dominio pubblico e come tali vengono usati, raffrontandoli con i propri e valutando le discrepanze e le eventuali omissioni nei protocolli (fondamentali per ripetere l'esperimento). Solo a questo punto potranno emergere eventuali incongruenze anche sostanziali. Questo distingue la scienza dalla ideologia: la riproducibilità dei dati
E' chiaro che ogni articolo è il frutto delle conoscenze accumulate fino al momento della pubblicazione. Non è quindi raro che l'accumularsi di nuovi dati nei mesi o anni successivi renda il contenuto dell'articolo obsoleto (e questo non è un problema) o addirittura fallace. Non si tratta, in genere, di falsi ma di errori teorici. Quando questo avviene l'articolo rimane disponibile negli archivi della letteratura scientifica (accessibili a chiunque) ed è una traccia di come un certo argomento si è sviluppato.
In altri casi invece il lavoro pubblicato viene contestato da uno o più gruppi di ricerca in quanto palesemente (per gli addetti ai lavori) errato o addirittura falso. Queste contestazioni possono sorgere per diversi motivi, tutti basati sulla scientificità dei dati (NON sul fatto di essere d'accordo o meno con il contenuto). Elementi critici sono ad esempio figure artefatte o incomplete, conclusioni non in linea con i dati presentati, errori/omissioni nei protocolli sperimentali e/o l'impossibilità conclamata da parte di diversi gruppi di ricerca di riprodurre i dati pur usando le stesse condizioni descritte nell'articolo.
Quando le discrepanze superano l'ovvia soglia minima di variabilità concessa, il risultato è la pubblicazione di una correzione o, in casi più seri (vuoi per la presenza di dolo, vuoi perchè gli stessi autori non sono in grado di ripetere gli esperimenti) l'articolo viene ritirato. Il che vuol dire che scompare dalla banca dati della letteratura scientifica.
Un evento lesivo della reputazione di un autore in cui nessun ricercatore vorrebbe mai trovarsi coinvolto.
Ed è proprio quest'ultimo il caso dell'articolo di Gilles-Eric Séralini. A circa un anno dalla pubblicazione, l'articolo è stato ritirato per manifesta irriproducibilità dei dati. Un fatto che rende, in teoria, nulle tutte le chiacchiere apparse sui media (ufficiali o social) circa i pericoli dimostrati degli OGM. Dico in teoria perché come ben sa chi conosce la dinamica delle notizie, un allarme anche se falso sedimenta, una notizia positiva non viene pubblicizzata nello stesso modo e/o passa inosservata.
Risultato? Una asimmetria informativa tra i dati reali e quelli noti al pubblico, diffusi principalmente e in modo asimmetrico, dalle organizzazioni anti-OGM.
Il che non è un bene in quanto impedisce un confronto serio, accessibile anche ai non addetti ai lavori, che per essere tale deve essere sempre e solo basato sui dati e non sulle proprie preferenze intellettuali o emotive.
Tra le eccezioni giornalistiche (cioè quei giornalisti attenti e bravi nel fare il loro lavoro di informazione a 360 gradi) segnalo l'articolo di Danilo Taino apparso su Sette del Corriere della Sera.
Le nuove armi della crociata anti-OGM [da Sette del 13/12/2013, testo copiato da qui].
Lo scorso agosto, un gruppo di 400 militanti ambientalisti ha distrutto un campo sperimentale di Golden Rice nelle Filippine. Questo è un riso geneticamente modificato con l'introduzione di geni beta-carotene: è stato sviluppato per scopi umanitari da un'organizzazione non-profit, International Rice Research Group, con lo scopo di fornire un cibo fortificato in aree del mondo in cui ogni anno muoiono tra i sei e i settecentomila bambini sotto i cinque anni per carenza di vitamina A; altri, per la stessa ragione, perdono la vista. La preoccupazione dei 400 era che il Golden Rice potesse fare male alla salute e intaccare la biodiversità. Che lo scopo del campo sperimentale fosse proprio quello di testare gli effetti del riso ingegnerizzato non li ha trattenuti. Distruzioni di colture di Ogm (Organismi geneticamente modificati) si ripetono spesso e ovunque. Alla fine del 2012, Bo casi di vandalismo del genere erano stati censiti tra Germania, Gran Bretagna, Francia e Svizzera. Superstizione, furore anti-scientifico, ideologia della decrescita, difesa di interessi di gruppo: c'è molto alla base di questa guerra santa che si auto-dichiara contro le multinazionali del cibo ma che spesso sembra più indirizzata a colpire i poveri dei Paesi in via di sviluppo. Ora è venuto alla luce anche un modo più sottile di condurre questa crociata contro gli Ogm.
Nel settembre 2012, la rivista Food and Chemical Toxicologv pubblicò un articolo di Gilles-Eric Séralini, dell'università di Caen (Francia), nel quale si sosteneva che topi nutriti con mais NIuo3 sviluppavano tumori a un tasso due o tre volte più alto del normale. La varietà NIao3 è un mais geneticamente modificato dell'americana Monsanto che resiste all'erbicida Roundup. Lo studio fece colpo: per un anno se n'è discusso con passione ed è stato alla base di reazioni anti-Ogm delle autorità di Russia, Kenya, Francia, California. Bene: l'esperimento non ha resistito alla verifica della comunità scientifica. Istituzioni di primo piano in Germania, Danimarca, Belgio, Canada, Brasile, Nuova Zelanda lo hanno confutato. Sei accademie francesi l'hanno definito un "non evento scientifico". Food and Chemical ha preso atto e lo scorso 28 novembre lo ha ritirato, dopo che Séralini si era rifiutato di farlo. Il professor Séralini è un fondatore di Criigen, un'organizzazione anti-0sgn: qualche volta scienziato, qualche volta agit-prop, attività spesso intercambiabili al giorno d'oggi
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(®DANILO TAINO e CdS)

Nella seconda parte riporto alcuni passi di una conferenza del brillante divulgatore (oltre che biotecnologo) Raymond John St. Leger della università del Maryland riguardo alcuni gli errori concettuali e sostanziali commessi da chi contrasta per principio l'idea degli OGM.
La sua esposizione è stata così chiara che sarà sufficiente riportarne alcuni stralci, tradotti.

(Continua qui)


(Articolo precedente sul tema: OGM si e no)

Fonti
  • Study linking GM maize to rat tumours is retracted (Barbara Casassus, Nature 28 November 2013)
L'articolo "incriminato" ritirato poi dall'autore

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