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Sclerosi multipla. Il contributo dei pazienti e i nuovi approcci terapeutici

Donare il proprio corpo alla ricerca, dopo il decesso ovviamente, è una pratica abbastanza comune nei paesi anglosassoni. Un atteggiamento che ha avuto il duplice merito di fornire agli studenti di medicina uno strumento di conoscenza diretto (a differenza di quanto avvenieniva nelle università italiane dove un solo corpo era osservato da una intera aula di studenti) e di permettere di studiare estensivamente le malattie grazie alla comparazione di molteplici pazienti.
Ed è proprio grazie allo studio dei cervelli donati da pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) che i ricercatori inglesi stanno mettendo a punto nuove strategie terapeutiche.

Nel Regno Unito si stima che i malati di sclerosi multipla siano 100 mila (in Italia 61 mila, dato 2012). Un numero importante dati gli effetti invalidanti della malattia, la sua progressione inesorabile e l'assenza di farmaci in grado di bloccarne il decorso. Gli unici farmaci disponibili sono specifici per la fase iniziale della malattia, permettono di ridurre la frequenza degli episodi acuti. Nessun effetto apprezzabile è invece osservabile sul decorso di lungo periodo.

La sclerosi multipla non compare in modo eclatante ed univoco; si può manifestare con un semplice formicolio ai piedi, associato a volte a dolore locale. La maggior parte dei malati mostrano i primi sintomi ad una età compresa tra i 18 ei 40 anni. Con il progredire della malattia la deambulazione e l'equilibrio diventano problematici, fino a che la sedia a rotelle diviene l'unico mezzo per spostarsi (per una descrizione dettagliata consiglio il sito sclerosi.org).
schema illustrativo dei danni nervosi (®hsw)
I sintomi sono il risultato di una battaglia innescata dal proprio sistema immunitario contro se stessi, cioè contro il rivestimento mielinico delle proprie cellule nervose. A mano a mano che la guerra procede lo strato di mielina diventa sempre più discontinuo, rendendo sempre meno efficiente il trasporto del segnale elettrico da parte dei neuroni.
Per quale motivo il sistema immunitario non riconosca più la mielina come parte del self, non è chiaro. Come ipotizzato per il diabete di tipo I, alla base di tutto potrebbe esserci un connubio fra predisposizione genetica e un infezione virale a cui il corpo (per mezzo del sistema immunitario) risponde in modo eccessivo e/o poco attento. Nessuno dei due fattori per se è sufficiente a provocare la malattia, ma è in grado di aumentare la probabilità che essa si sviluppi.

Molti dei farmaci finora testati, progettati per spegnere il sistema immunitario, si sono mostrati solo parzialmente utili e solo in una finestra limitata della malattia, quella iniziale chiamata sclerosi multipla recidivante-remittente. Quando però la malattia progredisce entrando nella fase secondaria progressiva i farmaci diventano inefficaci (data anche l'entità dei danni oramai accumulatisi).

Qualcosa si muove però. E' iniziata da poco una sperimentazione, gestita dal Imperial College e dal Charing Cross Hospital di Londra, volta a valutare l'efficacia e la sicurezza sul lungo periodo del farmaco Tysabri (natalizumab).
Lo studio clinico, progettato in doppio cieco, usa come controllo negativo un placebo. E' fondamentale infatti (e le regole della sperimentazione lo impongono) che i controlli siano presenti sia per valutare la sicurezza del farmaco (ricordo che si tratta di un farmaco anticorpale) che per valutare la reale efficacia del farmaco. Il controllo standard, quindi il riferimento, è il miglior trattamento disponibile. Nei casi come la SM purtroppo tale trattamento di riferimento non esiste. Non avendo la malattia una progressione acuta, la scelta migliore è quella di usare controlli trattati con placebo.
Va detto che, qualora durante la sperimentazione le analisi mostrino un consistente effetto positivo del trattamento, il doppio cieco viene interrotto e si procede a somministrare anche ai pazienti nel ramo di controllo il farmaco. Una eventualità ovviamente non molto comune. Più facile (da un punto di vista probabilistico) che avvenga il contrario e che si riscontrino effetti collaterali tali da sospendere la sperimentazione. Da qui la fondamentale importanza di usare controlli adeguati.

Tornando al farmaco in sperimentazione, Tysabri ha già ricevuto l'approvazione per il trattamento della fase precoce della SM. Mancano invece i dati di efficacia sia sugli effetti a lungo periodo (oltre due anni) che sull'efficacia nelle fasi avanzate della malattia. Tysabri è un anticorpo umanizzato diretto contro l'α4-integrina presente sulle cellule immunitarie. Il suo utilizzo è limitato dato il potenziale effetto collaterale di aumentare le infezioni cerebrali causate da virus opportunistici quali il JC virus, in seguito alla diminuita funzionalità del sistema immunitario indotta dal farmaco. I pazienti che ricevono il trattamento NON devono essere sieropositivi per tale virus.

"Nelle prime fasi della SM si può osservare un consistente afflusso di cellule del sistema immunitario nei tessuti cerebrali," afferma il professor Richard Reynolds. Le cellule immunitarie normalmente pattugliano il sistema circolatorio, uscendo dai vasi solo in presenza di agenti esogeni o di anomalie. Nella SM invece queste cellule migrano massicciamente, senza apparente ragione, nel cervello dove causano l'infiammazione. Per fuoriuscire dai vasi le cellule devono prima aderire alla parete del vaso sanguigno. E' in queste prime fasi che Tysabri agisce  bloccando l'attracco delle cellule immunitarie.

L'analisi del tessuto cerebrale post-mortem donato dai pazienti ha mostrato che nelle fasi avanzate della SM, l'infiammazione non era più causata da cellule del sistema immunitario in uscita dai vasi, ma da cellule del sistema immunitario rimaste li intrappolate. "Se si riuscisse a bloccare queste cellule, potremmo arrestare la progressione della malattia," continua Reynolds. "Dobbiamo capire se Tysabri sia in grado di fare questo. Pensiamo di ottenere i dati conclusivi da questa sperimentazione entro i prossimi due anni"

Per capire cosa non funzioni nei meccanismi di controllo del malato bisogna analizzarne i tessuti coinvolti. Per avere a disposizione materiale sufficiente, Reynolds ha iniziato da una decina di anni a immagazzinare in una banca istologica il cervello dei malati deceduti, previo il loro consenso precedente. Reynolds e collaboratori hanno viaggiato in lungo e in largo per l'Inghilterra per incontrare i malati e le loro famiglie, chiedendo loro di considerare la donazione dei loro organi per la scienza.

"Penso di avere incontrato qualcosa come 170 gruppi di pazienti nel corso degli anni," dice. "Andiamo e diciamo loro a che punto è la ricerca, come essa sta contribuendo allo sviluppo di nuovi trattamenti farmacologici e perché abbiamo bisogno del tessuto umano per farlo. L'atteggiamento che abbiamo trovato è sempre stato di ampia collaborazione. Abbiamo scoperto che le persone con SM e le loro famiglie sono consapevoli dell'importanza di questa donazione. Hanno fame di conoscenza e vogliono contribuire a questa conoscenza ".
A differenza di altre malattie, data la complessità dell'organo e le conseguenze di ogni sua alterazione, le patologie neurodegenerative non permettono di ottenere biopsie soddisfacenti dai pazienti. Da qui l'importanza dei donatori. E' vero che ora è possibile studiare il cervello (sia morfologicamente che funzionalmente) mediante le tecniche di imaging. Tuttavia i due approcci non sono alternativi ma complementari.

La raccolta dei tessuti da pazienti con SM segue la strada precedentemente percorsa dal progetto Parkinson-UK
Oggi le due collezioni hanno raccolto più di 1.000 cervelli, una delle banche tissutali più grossa al mondo. Quasi 10 mila persone hanno dato la disponibilità a dare il loro cervello, assicurando così una fornitura costante di circa tre cervelli a settimana. Come viene usato tutto questo materiale? L'utilizzo è molteplice e spazia dall'analisi istologiche delle sezioni tissutali alla crescita in coltura delle cellule espiantate in modo da ottenerne un numero sufficiente per verificare la risposta alle molteplici molecole in fase di sperimentazione. Il tessuto cerebrale è inviato inoltre anche in giro per il mondo a ricercatori impegnati in malattie neurodegenerative.
La collaborazione e soprattutto l'altruismo mostrato dai pazienti nel donare i propri tessuti è un tassello fondamentale nella ricerca.

Le conoscenze così ottenute sono state significative. "Dall'analisi delle sezioni istologiche abbiamo visto che il numero di cellule nervose è fortemente diminuito nei pazienti. Una caratteristica che la SM condivide con l'Alzheimer, il Parkinson, e le malattie dei motoneuroni. Il nostro modo di pensare alla malattia e a come può essere combattuta, è molto cambiato grazie allo studio dei tessuti. La maggior parte dei trattamenti farmacologici ora disponibili, grazie alla ricerca dell'ultimo decennio, sono finalizzati a contrastare l'infiammazione nel cervello. Quello a cui si lavora oggi è invece come proteggere i neuroni dalla degenerazione".

Vale la pena menzionare, in aggiunta allo studio di cui sopra, i progressi ottenuti mediante l'approccio molecolare e genetico. Avere a disposizione molti tessuti ha reso possibile confrontare i livelli di specifiche molecole nel cervello di persone che hanno avuto un decorso diverso della malattia, con il loro profilo genetico. "Capire se i livelli di una data proteina sono associati alla gravità della malattia permette ad esempio di sviluppare terapie per modificare i livelli di quella proteina".
 
Si stima che in questo momento siano giunte alla fase della validazione clinica circa 100 farmaci per la SM. Un decennio fa erano meno di 10.
Un approccio più radicale in studio è quello di eradicare il sistema immunitario (responsabile della malattia) mediante chemioterapia o radiazioni e sostituirlo con nuove cellule derivate dalle staminali emopoietiche del paziente stesso. Uno dei ricercatori che segue questo approccio è il neuroimmunologo italiano, Paolo Muraro, che lavora presso il Campus Hammersmith di Londra.
Ad ora circa 600 pazienti in tutto il mondo si sono sottoposti a questo trattamento "radicale". I risultati per i pazienti nello stadio precoce della SM sono promettenti, ma i dati sono preliminari e mancano ancora delle parti riguardanti la sicurezza e l'efficacia della procedura. Dati che necessitano di tempo per essere ottenuti. E' fondamentale infatti essere sicuri che tale trattamento non provochi sul lungo termine altre malattie.

E qui ci riagganciamo al farmaco Tysabri, un cui effetto non previsto è quello di aumentare il numero di cellule staminali emopoietiche nel sangue. Usando queste cellule per ripopolare il sistema immunitario, le recidive della malattia diminuiscono sensibilmente. Si è ipotizzato che la mobilizzazione delle cellule staminali sia la risposta dell'organismo per cercare di riparare i tessuti danneggiati.
In alternativa alle staminali emopoietiche Muraro pensa di usare le staminali mesenchimali per sostituire i neuroni danneggiati e/o le cellule produttrici di mielina o ancora, secondo i dati più recenti, per produrre fattori in grado di stimolare la riparazione dei danni e ridurre l'infiammazione locale. Test che Muraro inizierà a breve all'interno di uno studio clinico che coinvolgerà circa 150 pazienti inglesi.
Articolo successivo sull'argomento qui.  
Potrebbero anche interessare due articoli precedenti sul tema : "SM e infiammazione"; "La vitamina D protegge dalla SM?"

Fonti

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