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Vitamina B e morbo di Alzheimer. Nessun effetto terapeutico dimostrato

E' vero che assumere integratori vitaminici aiuta a contrastare l'insorgenza o a rallentare la progressione di malattie neurodegenerative come l'Alzheimer?

D'istinto direi di no in quanto non è verosimile che vi sia ora (o vi sia stata nelle decadi immediatamente precedenti) una insufficiente assunzione di vitamine con l'alimentazione.
E' vero però che proprio la presunta carenza di vitamine è spesso il fulcro su cui si basano alcuni approcci terapeutici miranti a contenere i danni neurodegenerativi, se non a ripristinare alcune funzionalità cognitive conseguenti all'Alzheimer.
A confermare la fondatezza dei miei dubbi arriva ora uno studio dell'università di Oxford in cui si afferma che le vitamine del gruppo B, non rallentano né il declino mentale legato all'età e tanto meno sono in grado di prevenire la malattia di Alzheimer. Una cattiva notizia certo, ma non inattesa e soprattutto scientificamente fondata.
La forza dell'articolo britannico è la potenza statistica derivante da una metanalisi su un campione complessivo di 22 mila persone, provenienti da 11 studi clinici randomizzati volti ad indagare la relazione tra vitamina B e funzioni cognitive nell'anziano.

Metanalisi. Analisi che raggruppa studi già pubblicati, pesandoli per i diversi parametri usati, in modo da ottenere risultati con validità statistica maggiore di quella presente nei singoli lavori.
Di seguito alcuni elementi per capire su cosa verteva l'ipotesi terapeutica della vitamina B.
  • Nei soggetti affetti da morbo di Alzheimer sono spesso presenti alti livelli ematici di omocisteina
  • alti livelli di questo aminoacido in soggetti sani sono correlati con il rischio futuro di sviluppare tale malattia neurodegenerativa.
La summa di questi elementi è alla base della cosiddetta "ipotesi della omocisteina" secondo la quale
l'assunzione di vitamine del gruppo B (tra cui acido folico e vitamina B12) potrebbe ridurre il rischio di malattia di Alzheimer, riducendo i livelli della omocisteina.
Tale ipotesi aveva ottenuto una prima conferma da uno studio del 2010 in cui si mostrava come soggetti malati con alti livelli di omocisteina sembravano beneficiare dall'assunzione di vitamine del gruppo B (benefici evidenziati con un minor rimpicciolimento del volume cerebrale, tipico delle fasi medio avanzate della malattia).

Lo studio però era troppo piccolo per essere statisticamente significativo. La nuova analisi, sotto l'egida della "B-Vitamin Treatment Trialists Collaboration", nasce proprio dalla necessità di ottenere dati più solidi.

I nuovi dati indicano che da un punto di vista funzionale non si ha alcun miglioramento sulle capacità intellettive dei pazienti. Se si guarda a misure della funzione cognitiva globale - o punteggi per specifici processi mentali come la memoria, la velocità o la funzione esecutiva - non si è osservata alcuna differenza tra coloro che hanno assunto regolarmente vitamine del gruppo B e quelli trattati con placebo.
"Sarebbe stato stato molto bello trovare qualcosa di diverso dai risultati finali" ha affermato Robert Clarke dell'Università di Oxford, che ha guidato il lavoro. "Il nostro studio però mette la parola fine al dibattito in corso: le vitamine del gruppo B (B12 e acido folico) non riducono il declino cognitivo con l'avanzare dell'età."
I risultati sono stati pubblicati sul American Journal of Clinical Nutrition.

Il dato va ad aggiungersi alle evidenze in altri che campi che ridimensionano le leggende metropolitane sulle vitamine come panacea di quasi tutti i mali. L'assunzione di integratori, contenenti tra l'altro vitamine del gruppo B, non ha una dimostrata azione preventiva sulle malattie cardiache, sull'ictus o sul declino cognitivo. Il fatto che circa il 25-30% della popolazione adulta faccia uso di integratori multi-vitaminici, con la convinzione che siano buoni anche per cuore e cervello è privo (stante una alimentazione non deficitaria) di fondamento scientifico. Ha molto più senso mangiare più frutta e verdura (assumendo così anche le fibre), evitare troppa carne rossa e limitare l'eccesso calorico. Soprattutto negli anni che precedono la comparsa dei sintomi!!

Questo non vuol dire che assumere integratori a base di vitamina B (oltre a quelle presenti nella dieta) sia inutile. Soprattutto nel caso delle donne che vogliono diventare madri assumere acido folico regolarmente entro il terzo mese di gestazione, è fondamentale dato il dimostrato effetto protettivo per il nascituro dai difetti del tubo neurale.

Tornando al morbo di Alzheimer, i migliori consigli ad oggi sono una dieta sana e bilanciata, fare esercizio fisico regolare e mantenere la pressione sanguigna e il peso sotto controllo. E soprattutto mantenere attivi i rapporti sociali, un efficace baluardo contro i problemi cognitivi (vedi anche l'articolo "Sono veramente utili i programmi di Brain Training?").
Il lavoro presentato non esclude che l'assunzione di vitamine B possa essere utile in gruppi specifici di persone affette da demenza. Ma non ci sono al momento dati in grado di indicarci quali siano i soggetti (se vi sono) che potrebbero avere un maggior beneficio da tale trattamento; anche se verosimilmente si tratta di quelle persone in cui la decadenza delle facoltà cognitive è legata a squilibri di natura organica.

In conclusione, assumere vitamina B (nelle dosi consigliate) male non fa, ma non ci sono evidenze che serva a qualcosa.

Sullo stesso tema vedi anche "Vitamine e terapia malattie neurodegenerative", "Vitamina B12 e acne"o in generale i tag "vitamine" e "Alzheimer" presenti nel pannello a lato.

Fonte
- Effects of homocysteine lowering with B vitamins on cognitive aging
Robert Clarke et al, American Journal of Clinical Nutrition


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