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Dormiamo a sufficienza? Le nuove linee guida

Per gli esseri umani il sonno è un indicatore fondamentale sia dello stato di salute generale che dello stato di benessere percepito. Spendiamo fino a un terzo della nostra vita dormendo e, per quanto possa sembrarci improduttivo, non si tratta non di uno spreco di tempo ma di un processo regolatorio fondamentale per la nostra stessa sopravvivenza; tutti gli studi condotti sugli effetti della deprivazione del sonno sono concordi con tale affermazione anche se i motivi fisiologici del perché sia essenziale dormire non trova tutti gli studiosi d'accordo.
Dormire poco fa male non solo perché diminuisce la resa intellettiva, la produttività e la sicurezza (leggi gli incidenti associati) ma secondo alcuni ricercatori potrebbe avere conseguenze sul lungo periodo, come una maggiore predisposizione ad alcune malattie neurodegenerative. Sembra infatti che il cronico deficit di sonno faciliti l'accumulo della proteina beta-amiloide, notoriamente associata con il morbo di Alzheimer.
E' altrettanto vero che viviamo in una società in cui la deprivazione volontaria dal sonno sta assumendo dimensioni globali e contorni sempre più preoccupanti. Sia per lo stile di vita improntato ad una socialità h24 che per la diffusione di strumenti "ritardanti" l'andare a dormire come internet, i social e i videogiochi.
A complicare ulteriormente le cose, l'utilizzo massiccio di bevande stimolanti (dal caffè agli energy drinks) e ogni tipo di strumento in grado di interferire con il nostro "ritmo circadiano" o ritmo del sonno naturale.

Un tema quello del rapporto salute-sonno di cui si occupa da anni la National Sleep Foundation che ha recentemente rilasciato le nuove linee guida, derivate dal consensus di un panel di 18 tra scienziati e ricercatori che hanno analizzato oltre 300 studi scientifici sul sonno pubblicati negli ultimi anni.
Sebbene sia ovvio, vale la pena sottolineare che le raccomandazioni redatte hanno carattere generale e devono essere pesate sulle caratteristiche individuali.
Questa la nuova versione della tabella del "sonno ideale", divisa per fascia di età:
  • Neonati (0-3 mesi): 14-17 ore al giorno (in precedenza 12-18)
  • Infanti (4-11 mesi): 12-15 ore (in precedenza 14-15)
  • Bambini (1-2 anni): 11-14 ore (in precedenza 12-14)
  • Bambini asilo (3-5): 10-13 ore (in precedenza 11-13)
  • Bambini in età scolare (6-13): 9-11 ore (in precedenza 10-11)
  • Adolescenti (14-17): 8-10 ore (in precedenza 8.5-9.5)
  • Giovani adulti (18-25): 7-9 ore (nuova categoria di età)
  • Adulti (26-64): nessun cambiamento (7-9 ore)
  • Anziani (65+): 7-8 ore

All credit to: National Sleep Foundation

Un altro grafico molto interessante è quello che mostra il ritmo sonno veglia nelle diverse fasi della vita di un individuo
Le aree ombreggiate sono quelle del sonno


Sull'argomento "sonno e riposo" vedi anche gli articoli precedenti, "Come dormivano i Flinstones" e "Se siete dormiglioni è colpa dei geni".


Fonte
- How Much Sleep Do We Really Need?
National Sleep Foundation

Dieta, vitamine e gravidanza. Uno studio sui ratti

Una dieta ricca di vitamine nei ratti in gravidanza può alterare lo sviluppo del cervello della progenie e il loro comportamento in età adulta.
Questa la scoperta fatta da un team della università di Toronto.

Lo studio è interessante in quanto sollecita domande sull'effetto delle diete e in genere sull'utilizzo di integratori vitaminici nelle categorie a rischio, cioè le donne in età fertile.

I ricercatori canadesi hanno esaminato gli effetti di una dieta arricchita con vitamina A, D, E e K durante la gravidanza correlandola alla variazione di parametri  come il peso corporeo e le preferenze alimentari nella prole. I dati ottenuti hanno mostrato una scarsa correlazione con il peso corporeo e una ben più rilevante alterazione dello sviluppo cerebrale e delle preferenze alimentari. Variazioni osservabili nella alterazione del sistema dopaminergico, il sistema chiave nel comportamento "ricerca ricompensa", e in una diminuita preferenza per gli zuccheri.

L'invito ad evitare facili generalizzazioni viene da Harvey Anderson, l'autore senior dell'articolo: "se da una parte questi dati ci forniscono nuove informazioni sul ruolo delle vitamine liposolubili nello sviluppo del cervello, è importante precisare che tale sviluppo presenta delle differenze tra essere umano e ratto. E' però chiaro che questi dati ci aiutano a fare luce sull'azione delle vitamine nel cervello in via di sviluppo".

Gran parte della ricerca fatta in questo settore si è, giustamente, concentrata sull'effetto della carenza di vitamine e sulla tossicità sistemica legata ai sovradosaggi. E' la moda odierna di assumere integratori vitaminici in persone altrimenti sane ad avere sollevato la domanda sui potenziali effetti di tale assunzione nei soggetti più sensibili. Ricordiamoci infatti che sebbene le dosi raccomandate degli integratori tengano conto delle vitamine assunte con il cibo, sia naturale che addizionato artificialmente per legge (vedi le vitamine presenti nei cereali da colazione), la variabilità dei comportamenti dei consumatori non esclude che si possa eccedere nelle dosi assunte. Con effetti ignoti sui soggetti a rischio.
La ricerca futura dovrà appurare se quanto scoperto in ratti è osservabile anche nei bambini.

Fonte
- A gestational diet high in fat-soluble vitamins alters expression of genes in brain pathways and reduces sucrose preference, but not food intake, in Wistar male rat offspring

GIovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per non dimenticare

Oggi è l'anniversario della morte di Giovanni Falcone e degli uomini della scorta. Falcone, una persona a cui tutti noi dobbiamo molto e che troppi dimenticano o semplicemente ignorano. Faccio quindi una eccezione (come la feci il giorno dell'attentato a Charlie Hebdo) al carattere monotematico, totalmente centrato sulla scienza, di questo blog per un post di omaggio ad un vero servitore dello stato, parola da intendersi nel senso più alto, come servitore e garante della comunità di onesti.
Giovanni Falcone (†23/5/92) e Paolo Borsellino (†19/7/92)

Il nostro è un paese troppo propenso al passare da critiche e denigrazioni in vita di persone impegnate nella lotta a mafie e crimine, alla faciloneria celebrativa postuma che culmina inevitabilmente nelle grida di "Santo subito". Non è un caso se isolamento mediatico e minimizzazione del lavoro di queste persone presso l'opinione pubblica precede la loro eliminazione.

Come tutte le persone che sostennero e seguirono sui giornali il suo lavoro in vita, oggi non posso esimermi dal ricordare la sua opera. Da quel giorno l'Italia non è stata più la stessa, ma non nel modo in cui gli attentatori speravano. La reazione c'è stata ed è stata forte. Non completa ma di entità inaspettata per i mandanti.

Onore a Giovanni Falcone e agli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Vito, Rocco e Antonio


Chiudo questo articolo una tantum con una canzone scritta anni prima da Virgilio Savona (membro del sottovalutato Quartetto Cetra). Lo spunto per il testo della canzone venne dopo che gli furono riferite minacce velate affinché evitasse di occuparsi di "cose delicate". 
Se pensate che questa canzone è stata scritta nel 1971 (quando ufficialmente certe faccende ... "non esistevano") non si può non togliersi il cappello di fronte ad un autore coraggioso. Una canzone di fronte alla quale le pseudo canzoni di denuncia di alcuni artisti odierni, appaiono come la satira da cortile, completamente innocua anche se venduta come trasgressiva.

"Sono cose delicate" di Virgilio Savona

La risonanza magnetica per capire l'autismo

Comprendere l'autismo vuol dire studiare cosa va storto durante lo sviluppo embrionale e perché.
E' la genetica o l'ambiente a giocare un ruolo chiave? Molto probabilmente si tratta di un concorso di eventi il cui peso relativo non è univoco per tutte le forme dell'ASD (Autism Spectrum Disorder --> qui) data la eterogeneità delle anomalie sottostanti.
Molti sono gli approcci di studio finora usati, da quelli prettamente genetici (ad esempio mediante la comparazione del genoma di gemelli o fratelli in cui almeno un individuo è affetto ASD --> qui) a quelli morfologico-biochimici il cui fine è identificare i circuiti neurali alterati.
A quest'ultimo approccio appartiene lo studio che riassumo oggi, centrato sull'utilizzo della risonanza magnetica funzionale, una tecnica in grado di "fotografare" il funzionamento del cervello di un paziente e compararlo con quello di un soggetto non malato. Un approccio, come vedremo, potenzialmente utile anche per studiare anche altri disturbi come il disturbo ossessivo-compulsivo, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e la schizofrenia.
La MRI è una tecnica in grado di generare una mole impressionante di dati, quindi la sua utilità pratica va di pari passo con la potenza di calcolo dei computer che maneggiano i dati (e ovviamente a software adeguati). Lo sviluppo di una tecnica denominata Brain Wide Association Analysis (BWAS) in grado di elaborare questa enorme quantità di dati ha permesso ad un team di ricerca della università di Warwick di ottenere, in modo totalmente non invasivo e grazie alla comparazione tra centinaia di soggetti sani e con ASD (452 e 523 rispettivamente), un modello in 3D del cervello autistico.
Ho scritto "enorme quantità di dati" non a caso: la tecnica BWAS ha gestito 1.134.570.430 informazioni singole provenienti da 47.636 aree del cervello (voxel). Un passo avanti netto rispetto alle precedenti analisi che potevano gestire solo aree e quantità di dati limitati.

Aree del cervello con anomala funzionalità nel cervello autistico
(immagini da altri studi disponibili al Weizmann Institutequi)
Credit: Cheng et al; Univ. Of Warwick
Dall'analisi sono emerse almeno 20 differenze nelle connessioni funzionali nel cervello autistico, consistenti in una maggiore o minore connettività. Una conferma indiretta della bontà dell'analisi viene dal fatto che le aree identificate sono note per essere sede di alcuni dei processi cognitivi classicamente alterati nei soggetti autistici.
Queste le parole di Jianfeng Feng responsabile del progetto: "Abbiamo identificato nel cervello autistico un'area chiave sita nel lobo temporale della corteccia visiva in cui vi è una ridotta funzionalità corticale. Si tratta di un'area importante per il controllo dell'espressività facciale, attività chiave in un normale contesto sociale. Per di più quest'area ha negli autistici una ridotta connettività con la corteccia prefrontale ventromediale, che agisce tra tramite tra i processi emotivi e la comunicazione sociale".
Un'altra delle aree a funzionalità anomala è stata identificata in un'area del lobo parietale nota per il ruolo nella "gestione" dello spazio circostante.

Due aree che sottintedono due processi notoriamente anomali nei soggetti autistici, l'espressività facciale relativa allo stato emotivo e la gestione del proprio spazio rispetto a quello circostante.

Capire dove è il "danno" potrebbe un giorno aiutare a sviluppare terapie da implementare nella prima fanciullezza (quando il cervello è ancora in fase di sviluppo) per compensare i deficit nella connettività neuronale.
L'approccio descritto potrebbe offrire molte informazioni anche su altri disturbi cognitivi, ancora oggi troppo poco compresi.
Articolo successivo sul tema --> "Infezioni in gravidanza e rischio autismo"


(Articoli precedenti sul tema autismo da questo blog --> qui)

Fonte
- Autism: Reduced Connectivity between Cortical Areas Involved with Face Expression, Theory of Mind, and the Sense of Self
 Cheng W et al, Brain. 2015 May;138(Pt 5):1382-93

Un aracnide preistorico ci svela l'evoluzione della sua famiglia

Un aracnide vecchio di 305 milioni di anni fa luce sull'origine dei moderni aracnidi 
L'immagine a raggi X dell'aracnide preistorico. Altre
immagini QUI
(©Paris NHM/R. Garwood / Un. Manchester)
Una delle caratteristiche principali del fossile mostrato a lato, immagine tratta da un lavoro pubblicato su Current Biology, è l'avere due paia di occhi,  sia i classici occhi mediani che un paio laterali. L'esemplare appartiene all'ordine degli opilionidi, quindi non è il classico ragno che invece appartiene al gruppo degli Araneae; dovendo semplificare le sue parentele possiamo dire che è più "vicino" agli scorpioni.
La scoperta di questo fossile è importante per comprendere la storia evolutiva di questo eterogeneo gruppo di artropodi, che è riuscito a colonizzare tutti i continenti eccetto l'Antartide.

Il lavoro nato dalla collaborazione tra l'università di Manchester e l'American Museum of Natural History, si è avvalso di molte tecniche analitiche tra cui imaging a raggi X, utili per estrarre la massima quantità di informazioni ottenibili da un fossile unico per il suo grado di conservazione.
L'aracnide primitivo, chiamato Hastocularis Argus, è stato trovato nella Francia orientale e la sua scoperta è un evento data la scarsa conservabilità dell'esoscheletro degli artropodi terrestri. Come già scritto, il fossile è dotato anche di occhi laterali, una caratteristica presente negli aracnidi in generale ma non negli opilionidi. Questo elemento ha spinto i ricercatori ad analizzare l'espressione dei geni dello sviluppo oculare nei moderni opilionidi; si è così scoperto che il gene responsabile dello sviluppo dell'occhio laterale è presente nello sviluppo embrionale dell'opilionide ma è tenuta spento. 
Un esempio classico di ontogenesi, cioè della memoria evolutiva che viene ricapitolata (e modificata) durante lo sviluppo embrionale.
(Alcune immagini degli opilionidi --> QUI )

Fonte
-  A Paleozoic Stem Group to Mite Harvestmen Revealed through Integration of Phylogenetics and Development
  Russell J. Garwood et al, (2014),  24(9)p1017–1023 

I pipistrelli vampiro preferiscono la pancetta

Data la cattiva fama che da un po' di tempo perseguita i pipistrelli (fonte di patogeni come il virus della rabbia ed Ebola) la notizia di oggi serve a togliere qualche ombra da questi interessanti animali.
Il loro volare al crepuscolo, il rintanarsi in grotte e la scoperta fatta nel sedicesimo secolo nelle americhe di pipistrelli con abitudini alimentari "riprovevoli" (succhiare il sangue ad altri mammiferi) sono tutti elementi che indubbiamente hanno inciso nell'immaginario collettivo. Se a questo aggiungiamo la letteratura, la cinematografia ed infine le malattie trasportate, non si può essere sorpresi della cattiva fama di cui godono.

Ricostruzione museale
(© Natural History Museum, Vienna)
Eppure si tratta di animali sostanzialmente pacifici con una alimentazione basata su insetti (da qui il loro reintegro nelle città dato il contributo alla lotta alle zanzare) o frutta. L'unico esempio di pipistrello ematofago è il Desmodus rotundus abbastanza diffuso nelle foreste del centro e sud-America, le cui abitudini alimentari lo rendono più simile a quello di una enorme zanzara rispetto ad un Dracula sotto mentite spoglie. Cioè non in grado di provocare una perdita di sangue rilevante nel bersaglio scelto, tra cui spesso animali domestici.
Una domanda ovvia è chi siano gli animali di cui preferisce nutrirsi e, soprattutto, se l'essere umano sia un bersaglio.
A questa domanda hanno cercato di rispondere dei biologi brasiliani nell'articolo pubblicato su Journal of Mammalogy. Il modo scelto non è tale da indurre molti altri ricercatori a cercare di riprodurne le osservazioni dato che Rogério Gribel e collaboratori si sono concentrati nell'analisi degli escrementi di questi animali per risalire alla provenienza del sangue ingerito. Per fare questo i biologi hanno soggiornato per 47 notti in 18 villaggi amazzonici, catturando 157 pipistrelli vampiro allo scopo di raccoglierne le feci.
La tecnica utilizzata è oramai un classico, cioè l'analisi del DNA, uno strumento sufficientemente potente per analizzare le tracce ancora presenti nei resti digeriti e espulsi. 
Ebbene si è scoperto che il 60% dei campioni analizzati conteneva tracce di pollo e il 30% di suino. Un dato che pesato per la diffusione (e il numero) di questi animali nei villaggi hanno di fatto inverte il rapporto: sono i suini gli animali del cui sangue il Desmodus si nutre preferenzialmente (la stima è di 7 a 1).
Un dato che mostra un chiaro adattamento di questi animali alla disponibilità di animali facilmente parassitabili rispetto a quelli liberi nella foresta, sicuramente più difficili da avvicinare.
Chiamali stupidi!

Fonte
- Prey preference of the common vampire bat (Desmodus rotundus, Chiroptera) using molecular analysis
Paulo Estefano D. Bobrowiec et al, Journal of Mammalogy (2015)

Nell'autismo la genetica esercita un ruolo dominante

Tra le cause dell'autismo la genetica occupa un ruolo di rilievo ma da sola non sufficiente a spiegare la eziogenesi di una malattia ancora troppo poco compresa. Siamo solo all'inizio di una strada che forse tra qualche anno porterà allo sviluppo di strumenti diagnostici prenatali ed è per questo motivo che tanto interesse destano le nuove ricerche.

Uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry da ricercatori del King's College di Londra ha quantificato il contributo genetico al rischio autismo (o meglio della serie di malattie raggruppate sotto il termine Autism Spectrum Disorder - ASD) in un range tra il 74 e il 98 per cento.
Se è vero che il contributo della componente ereditaria (quindi il rischio di avere un secondo figlio malato se in famiglia è già presente un caso) era noto, lo studio attuale aiuta a fare luce sui numeri di una malattia che nell'immaginario collettivo assume i canoni di una vera e propria epidemia.
Uno dei problemi centrali della diagnostica è proprio nel conteggio dei casi e nel raffronto con il passato. Quello che potrebbe sembrare un compito molto semplice, contare nella popolazione il numero di nuove diagnosi di ASD, è in realtà alquanto problematico data la eterogeneità della malattia (intesa come forme con cui si può presentare). Il fatto stesso che il termine ASD sia un termine di comodo utile per definire casi molto diversi tra loro con alcuni punti in comune (e verosimilmente con una base genetica diversa) rende evidente quanto la diagnosi di autismo, in assenza di biomarcatori affidabili, sia fallace e quindi anche i numeri dei malati siano soggetti ad ampie fluttuazioni a seconda di chi fa la diagnosi. Difficile quindi prendere seriamente i numeri lanciati da alcuni media che fanno credere che ci sia stata una esplosione di casi negli ultimi anni.
E' vero che l'inquinamento ambientale potrebbe avere avuto un ruolo nell'aumentata prevalenza (numero di soggetti diagnosticati nella popolazione) dei casi negli ultimi 20 anni, ma è altrettanto vero che usare come raffronto i numeri del passato è, nel caso di malattie a difficile diagnosi, poco affidabile. Molti dei soggetti oggi definiti autistici fino a pochi anni fa ricadevano in quell'ampio calderone diagnostico che va dal soggetto con un comportamento "strano" ma socialmente competente alle persone incapaci di vita sociale passando attraverso quelli che venivano genericamente etichettati come "ritardati mentali".
Tutte definizioni oggi non più accettabili in quanto semplicistiche oltre che non corrette.
Lo studio inglese si è basato sui dati pregressi ottenuti nell'ambito di uno studio ventennale noto come "Twins Early Development Study" (TEDS), il cui fine era l'analisi continuativa di gemelli (sia monozigoti che dizigoti) nati in Inghilterra e Galles tra il 1994 e il 1996. All'interno di una casistica di oltre 6 mila coppie di gemelli i  ricercatori ne hanno selezionati 258, 160 dei quali con ASD. Su questo campione è stata fatta l'analisi epidemiologica.
Il metodo di analisi usato che raggruppa nello stesso studio sia gemelli "uguali" che gemelli "fratelli" è particolarmente potente in quanto permette di estrarre il contributo genetico per uno specifico fenomeno e, per converso, di valutare l'ipotetico impatto ambientale.
Sebbene si sia ancora ben lontani dalla identificazione dei geni responsabili di quella che è una anomalia dello sviluppo embrionale del sistema nervoso centrale (e data l'eterogeneità della malattia è verosimili che i geni coinvolti non siano pochi), l'articolo ora pubblicato aggiunge un importante tassello per la comprensione del fenomeno e per smentire ancora una volta le idee strampalate su cause "magiche" dell'autismo (vedi le folli idee che indicano nei vaccini o nelle carenti cure parentali la causa della malattia --> qui).
Idee non solo folli ma anche non rispettose dei problemi che avere in casa un figlio autistico ingenera.

La ricerca sta cercando di fare luce all'interno di un fenomeno complesso e chiaramente ci vorrà ancora del tempo. Alcune speranze (ma non sul breve tempo) arrivano da Guoping Feng (Broad Institute, USA) uno dei più conosciuti ricercatori nel campo, che spera di potere un giorno revertire almeno alcuni dei sintomi dell'ASD ripristinando la funzionalità del gene Shank3. Questo gene, alterato nell'1 % dei malati, codifica per una proteina importante per la funzionalità di alcune sinapsi neuronali. In presenza di anomalie strutturali è verosimile che la comunicazione interneuronale sia deficitaria con conseguenze a diversi livelli.
In breve. Il team coordinato da Feng ha creato topi geneticamente modificati in cui l'espressione del gene Shank3 era regolabile con la semplice aggiunta di una molecola nella dieta dei ratti. Con una dieta standard il gene era spento e i topi sviluppavano comportamenti ripetitivi e deficit nella loro capacità socializzante. Se si aggiungeva alla dieta dei topi adulti modificati (con età tra 2 e 5 mesi) la molecola attivatrice (il tamoxifene) i ricercatori sono stati in grado di eliminare i comportamenti ripetitivi e a migliorare la loro l'interazione sociale. L'analisi istologica ha poi mostrato che che la densità delle spine dendritiche era drammaticamente aumentata nello striato dei topi trattati, dimostrando così che la plasticità strutturale presente anche nel cervello adulto era in grado di compensare alcuni deficit dello sviluppo embrionale.
 I dati sono al momento limitati ai ratti (vedi "McGovern neuroscientists reverse autism symptoms" , mit/news, febbraio 2016).

Prossimo articolo sul tema autismo --> "usare la MRI per capire il cervello autistico". Per altri articoli sul tema clicca il tag --> autismo nel pannello a destra.


Fonte
- Heritability of Autism Spectrum Disorder in a UK Population-Based Twin Sample’
Emma Colvert et al. JAMA Psychiatry, (2015) 

L'anniversario di Hubble

Il 24 aprile 1990 lo Shuttle STS-31 portò in orbita uno strumento destinato a rivoluzionare l'osservazione astronomica, il telescopio spaziale Hubble, frutto della collaborazione tra NASA ed ESA.
Quindi pochi giorni fa si è celebrato il venticinquesimo anniversario dal lancio.
Una missione nata da subito sotto i peggiori auspici dopo il disastro della navetta Challenger e dei ritardi legati al ripensamento di tutte le misure di sicurezza. Problemi continuati poi con la scoperta di difetti nello specchio primario che rendeva le immagini distorte, fuori fuoco e con risoluzione molto inferiore rispetto a quanto preventivato. Problemi non correggibili nemmeno con l'elaborazione successiva al computer.
Nota. Quando parliamo dei difetti costruttivi dello specchio (2,4 metri le sue dimensioni) parliamo sempre di uno degli specchi più precisi fino ad allora costruiti dall'essere umano. I difetti nella curva furono di 10 nanometri (un cento milionesimo di metro) e di una piattezza al perimetro di 2 micrometri (2 milionesimi di metro) superiori a quanto voluto (QUI il rapporto completo).
Nonostante questo, e anche prima della missione di riparazione (parziale) dello specchio, i dati ottenuti nei successivi tre anni dal lancio furono notevoli. La correzione dell'ottica difettosa è avvenuta nell'ambito della missione STS-61 nel 1993.

Fuochi d'artificio celesti. Questa l'immagine scelta dalla NASA per celebrare la ricorrenza (credit e link: NASA)
L'idea del telescopio proposta nel 1940 dall'astronomo Lyman Spitzer (a cui è intitolato un recente telescopio spaziale --> qui), dovette aspettare mezzo secolo perché la tecnologia (e i fondi necessari) fosse adeguata allo scopo. Una sfida di cui fortunatamente Spitzer ha potuto gustare il successo essendo vissuto oltre il momento della riparazione dello specchio e il raggiungimento di una quasi ottimale funzionalità del telescopio.
Tra le scoperte rese possibili dai dati di Hubble la visione degli angoli più remoti, ma ricchi di galassie, dell'universo e l'impatto dell'energia oscura sulla dinamica dell'espansione del cosmo.
Le sue immagini mozzafiato hanno trasformato la comprensione scientifica dell'universo rendendo estremamente popolari concetti altrimenti da specialisti.
Una delle foto scelte dalla NASA come la più rappresentativa (--> tutte le altre). Altra collezione di foto e spiegazioni è disponibile sul sito di Nature (qui)

Video della BBC sull'evento.
Altri video su youtube --> QUI.

Chiudiamo con un volo attraverso la nebulosa di Orione.
Altri video --> QUI


Fonte
- il sito di Hubble



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Sterilizzazione isteroscopica Vs. laparoscopia. Una efficienza dieci volte inferiore

Sterilizzazione isteroscopica Vs. laparoscopia. Basso rischio ma anche minore efficacia

Diversi sono i motivi per cui una donna prende la decisione di farsi sterilizzare e quindi di non andare incontro a gravidanze indesiderate: età; motivi familiari o legittima decisione autonoma.
La tecnica "essure" usata in isteroscopia (credit: wikipedia)
Qualunque sia il motivo, si presume che la donna non voglia trovarsi nella spiacevole situazione di rimanere incinta un anno dopo l'intervento. Un conto infatti è la reversibilità della operazione, la possibilità cioè di decidere di tornare sui propri passi grazie a mutate condizioni, un altro è trovarsi in una situazione non solo indesiderata ma anche, in alcune condizioni, pericolosa sia per la donna che per il feto.

Secondo quanto emerso da uno studio condotto dalla Yale School of Medicine, la procedura nota come sterilizzazione isteroscopica, presenta una probabilità 10 volte superiore di contrarre una gravidanza nel primo anno dall'intervento rispetto alla tecnica classica basata sulla laparoscopia.

Questo il commento della dottoressa Aileen Gariepy, "lo studio fornisce informazioni essenziali sia per le donne che per i medici quando l'intento è quello di ottenere una sterilizzazione permanente. Se il metodo è poco affidabile è bene che le donne ne siano consapevoli quando devono scegliere il trattamento".
I numeri non sono bassi, almeno negli USA, dove ogni anno sono 345 mila donne che si sottopongono a procedure di sterilizzazione per un totale cumulato fino ad ora di 10,3 milioni di donne. La procedura isteroscopica, introdotta nel 2001, consiste nell'inserire, mediante uno strumento opportuno (l'isteroscopio) delle barriere all'interno delle tube di Falloppio. Dopo tre mesi, e in associazione ai classici trattamenti anticoncezionali, si va a verificare mediante l'iniezione in utero di un particolare colorante atossico la diffusione dello stesso attraverso le tube; in assenza di diffusione l'intervento si considera riuscito.
I vantaggi di questo approccio sono ovvi, dato che l'isteroscopia avviene in ambulatorio, non necessita né di incisioni né di anestesia; motivi più che sufficienti per preferirla alla più invasiva laparoscopia.

L'assenza di studi comparativi tra le due tecniche ha di fatto limitato la capacità di scelta sia da parte delle donne che dei medici, quest'ultimi chiaramente più a loro agio nello scegliere un intervento soft come quello isteroscopico.

Nello studio si è osservato che la frequenza di gravidanze un anno dopo la sterilizzazione isteroscopica è di 57 su 1000 contro le 4 su 1000 successive alla laparoscopia. Estendendo l'analisi su un tempo più esteso (10 anni) le gravidanze "inaspettate" raggiungono valori superiori a 96 su 1000 e 25 su 1000, rispettivamente.

Fonte
- Pregnancy risk may be higher with newer method of female sterilization
Yale, news
- Probability of pregnancy after sterilization: a comparison of hysteroscopic versus laparoscopic sterilization.
AM Gariepy et al, Contraception (2014) Volume 90, Issue 2, Pages 174–181

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