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Lucy la nostra antenata bipede morì cadendo da un albero

Immagino tutti abbiano sentito parlare di Lucy, una nostra lontana trisavola vissuta 3,2 milioni di anni fa, le cui ossa furono rinvenute nel 1974 in Africa.
Nota. In verità più che trisavola sarebbe meglio definirla "cugina" dato che all'epoca in cui visse Lucy, era già avvenuta la separazione tra i rami che avrebbero generato gli Homo e gli Australopiteci 
Credit: W. Sauber/wikipedia
Sebbene il genere Homo fosse ancora ben al di la da comparire, l'importanza della scoperta dei reperti ossei dell'Australopitecus afarensis ribattezzato Lucy era duplice: non solo era il fossile umanoide più antico mai rinvenuto ma indicava la presenza stabile della postura eretta già in quella fase evolutiva (dati ricavati dall'analisi delle 52 ossa ritrovate, tra cui parti del cranio, mandibola, vertebre, costole, arti e bacino).

Perché Lucy? Il nome fu scelto come omaggio alla canzone più ascoltata al campo base, "Lucy in the sky with diamonds" dei Beatles.

Lucy  apparteneva quindi ad una specie in grado di deambulare per lunghi tratti in posizione eretta il che permise agli australopiteci di spingersi negli spazi aperti della savana. Questo non vuol dire che avessero completamente abbandonato gli alberi come si evince dalla lunghezza degli arti superiori. Il cervello era un po' più grande di quello di uno scimpanzé, con un viso caratterizzato da fronte sfuggente, naso schiacciato e mandibola sporgente (prognatismo). Alta circa un metro per 25 kg di peso teorico aveva una alimentazione probabilmente centrata sulle radici come indicano i denti dotati di ampio smalto, tratto distintivo del consumo di cibi coriacei. Probabile che fosse all'occorrenza anche carnivora come del resto è tipico negli scimpanzé. 
Per l'immagine interattiva --> QUI (credit: Smithsonian Institution).
I resti fossili (e le specie di ominidi) relative agli ultimi 6 milioni di anni

I resti fossili degli "antenati di Lucy"


Il dubbio finora irrisolto era come fosse morta. Lucy alla morte era un individuo adulto di circa 18 anni quindi di mezza età se si considera che l'aspettativa di vita era 25 anni.
Grazie ai progressi della medicina forense (vi dice nulla CSI?) è stato oggi possibile ricostruire le cause del decesso; i risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature. La causa della morte sarebbe di tipo traumatico conseguente ad una caduta da notevole altezza (verosimilmente da un albero), come indicato dalla tipologia di fratture (--> QUI la  ricostruzione della caduta). La medicina forense insegna che tali traumi si accompagnano a lesioni interne molto gravi, mortali anche in assenza di terapie adeguate.
Il paradosso della notizia è che la causa di morte sia stata la caduta da un albero in una specie che si stava sempre più affrancando dalla vita arborea.

Se vi interessano articoli sul tema dell'evoluzione umana vi suggerisco la lettura di articoli precedenti sul tema
--> "vantaggi e svantaggi dei nostri geni neandertaliani"
--> "Homo denisova"
oppure il tag --> "antropologia evolutiva"

Fonte
- Perimortem fractures in Lucy suggest mortality from fall out of tall tree
John Kappelman et al, Nature. 2016 Aug 29. doi: 10.1038/nature19332

- Plio–Pleistocene hominid discoveries in Hadar, Ethiopia
Johanson, D. C. & Taieb, M. Nature 260, 293297 (1976)

Trattare il diabete di tipo 2 con una singola iniezione? Nei topi ha funzionato

L'omeostasi del glucosio avviene a più livelli e il cervello gioca un ruolo più importante di quanto ipotizzato solo pochi anni fa.
Il glucosio è tra i "carburanti" usati dalla cellula quello di più veloce utilizzo e di "massima efficienza" energetica; non a caso è il "cibo" principale di cellule energivore come quelle muscolari e i neuroni.
Avere "cibo a portata di cellula" non è tuttavia sufficiente ad evitare i rischi di affamamento cellulare come insegna il diabete dove pur in una situazione di normo- o iperglicemia le cellule "non vedono" il glucosio ematico a causa di un difetto nella rete di comunicazione che informa e/o autorizza la cellula a prelevare il glucosio. Diverse sono le cause che possono mandare in tilt il sistema: carenza/assenza del "segnalatore", cioè l'insulina (diabete di tipo 1); minor sensibilità delle cellule all'insulina (diabete di tipo 2).
Quando il sistema va in tilt cronico, si innescano a cascata una serie di problematiche sia acute (legate all'affamamento dei tessuti) che di lungo periodo legate alla iperglicemia (Per altre info--> biologia/wiki).

Particolarmente interessanti i risultati presentati in un recente studio  condotto dal team di Michael Schwartz presso l'università di Washington in cui si dimostra come una singola dose di FGF1, una proteina regolatrice, sia capace di indurre la remissione del diabete nei roditori, senza però indurre ipoglicemia (di suo molto più pericolosa nel breve periodo della iperglicemia).
Il FGF1 era stato già indagato in precedenza quando si scoprì che topi incapaci di produrre tale proteina sviluppavano resistenza all'insulina (quindi diabete di tipo 2) se alimentati con una dieta ad alto contenuto di grassi. Se a questi topi venivano però somministrate dosi "ricostituenti" di FGF1, riuscivano a mantenere livelli di glucosio quasi normali per almeno due giorni. Un effetto osservabile, seppur parzialmente, anche con altri membri della famiglia FGF, specificamente FGF19 e FGF21.
Il passo successivo di Schwartz fu allora quello di valutare l'efficacia antidiabetica del FGF1 somministrato centralmente (intracerebrale) mediante una singola iniezione, con l'indubbio vantaggio di ridurre sia il numero di trattamenti che la quantità di proteina usata nella singola dose (un decimo di proteina ricombinante rispetto a quella necessaria con l'iniezione periferica).
Topo normale e topo geneticamente obeso
Il test, condotto su topi geneticamente predisposti a obesità e malattie metaboliche (genotipo ob/ob, incapaci di produrre leptina) ha mostrato che i valori di glucosio nel sangue diventavano normali entro il settimo giorno dal trattamento e, cosa ancora più importante, rimanevano tali per tutto resto dello studio durato 18 settimane con dieta normale; un risultato notevole se si pensa che la vita media di un topo ob/ob è pari a circa 14 mesi (ma SOLO se alimentato con dieta ipocalorica, altrimenti muoiono molto prima).
Vale la pena sottolineare che l'effetto normoglicemizzante e antidiabetico associato ad una singola iniezione intracerebrale di FGF1 è stato riprodotto in altri modelli di roditori predisposti al diabete.

Sebbene il meccanismo alla base di questa specifica azione del FGF1 sia poco compreso, si ritiene che a svolgere un ruolo cruciale siano i taniciti, cellule presenti nel terzo ventricolo cerebrale adiacente all'ipotalamo; l'unico dato certo è che in presenza di FGF1 viene attivata la produzione di HSP25, una proteina con funzioni neuroprotettive.
Quale che sia il motivo, l'esperimento prova non solo l'esistenza di un meccanismo di controllo centrale della disponibilità di glucosio ma che è possibile rendere disponibile glucosio sia nel fegato che nei muscoli, senza passare dall'attivazione della gluconeogenesi epatica o variando la sensibilità periferica all'insulina.

Questo risultato ha un importante potenziale traslazionale permettendo di ipotizzare (anche se i tempi saranno lunghi) la possibilità di fornire la dose di FGF1 terapeutica per via intranasale (metodo già testato nei roditori)
(articoli precedente sul tema --> "diabete") 

Fonte
Central injection of fibroblast growth factor 1 induces sustained remission of diabetic hyperglycemia in rodents.
Scarlett J. M. et al.  (2016) Nat. Med.

L'eluslivo Punto G

L'eluslivo Punto G

Nello stesso momento in cui un ricercatore afferma di averlo identificato, molti altri dubitano perfino della sua esistenza. Del resto se fosse così semplice identificare il punto G non saremmo qui a parlarne. Facciamo un passo indietro e definiamo il punto G come un'area teorica sita a pochi centimetri dalla vagina, che stimolata, senza coinvolgere il clitoride, genera un intenso orgasmo.
Come affermato da Barry Komisaruk della Rutgers University (Newark, NJ, USA) è tutto da verificare se il punto G sia una zona delimitata o una rete di sensori peri-vaginali: "sarebbe come dire che l'Empire State Building è New York".
Partendo da antichi testi indiani del XI secolo per arrivare al lavoro di Emmanuele Jannini, un ricercatore italiano della università romana di Tor Vergata, molti sono stati i tentativi di identificare questa regione. Jannini in particolare identificò a suo tempo delle differenze anatomiche, caratterizzate da un aumentato spessore tissutale, nella zona tra la vagina e l'uretra. Caratteristiche assenti nelle donne che asserivano di non provare orgasmo vaginale.
Questi risultati sono stati tuttavia messi in discussione da una meta-analisi (analisi che raccolgono in un unico studio gran parte degli studi precedenti aumentando quindi la forza dell'analisi statistica) che considerando tutti i lavori pubblicati dal 1950 ad oggi sull'argomento non è riuscita a trovare una conferma, statisticamente valida, sull'esistenza di tale struttura anatomica (vedi The Journal of Sexual Medicine, 1743-6109, 2011).
Un lavoro successivo ci aiuta a capire meglio le basi strutturali di una fisiologia ancora oggi troppo poco compresa.
© NewScientist, April 2012
 Adam Ostrzenski, direttore del Institute of Gynecology a St Petersburg (Florida, USA) affermò in seguito di avere identificato una struttura anatomica sfuggita fino ad allora a molti a causa della dimensione e posizione ben nascosta entro il tessuto vaginale (The Journal of Sexual Medicine, 2012). Si tratterebbe di una struttura in un'area prossima a quella descritta da Jannini, a circa 16 mm di distanza dall'apertura uretrale, con una angolazione di 35° rispetto ad essa e di lunghezza di circa 1 cm.
Particolarmente interessante l'osservazione circa la somiglianza con i tessuti erettili presenti nel clitoride. 
L'ovvia replica della comunità scientifica fu che senza una validazione funzionale (quindi in vivo) sarebbe stato molto difficile fare supposizioni sulla funzionalità di tali strutture. Affermazione condivisa dallo stesso Jannini il quale rimarcò che bisognerebbe anche escludere che tale struttura non fosse rappresentativa in realtà di una patologia in atto, visto che il tessuto è stato ottenuto da  una dissezione autoptica di una donna anziana.

Nel 2014 arrivò la doccia fredda in una review pubblicata su Nature Reviews Urology dove si affermava che "no single structure consistent with a distinct G-spot has been identified".

Insomma ben difficilmente si troverà un singolo "interruttore" ad indicare che le donne sono sicuramente persone più complesse (ed interessanti) di noi uomini.


 Fonti
- G-Spot Anatomy: A New Discovery
Adam Ostrzenski (2012) Journal of sex medicine, 9(5) 1355–1359
- Beyond the G-spot: clitourethrovaginal complex anatomy in female orgasm
EA Jannini et al (2014) Nat Rev Urol. 11(9):531-8

Non solo cani guida per ciechi ma anche capaci di "monitorare" i diabetici

L'olfatto è una delle caratteristiche più "apprezzate" tra le tante possedute dai nostri amici a quattro zampe. Caratteristica questa molto amata dai nostri antenati e che pose le basi per una partnership plurimillenaria tra umani e cani.
Dai cani poliziotto ai cani da caccia, innumerevoli sono le mansioni che un cane può svolgere grazie al proprio olfatto, non da ultima la capacità che alcune razze hanno di percepire la presenza di neoplasie o di problemi circolatori nel soggetto "annusato". 
Uno dei cani in grado di percepire l'ipoglicemia
(credit:medical detection dogs)
Nota. Tale sensibilità è il frutto di un insieme di caratteristiche "strutturali" presenti negli animali macrosmàtici come l'estensione dell'epitelio olfattivo (nei cani è circa 160 cm² rispetto ai 5 nell'essere umano), l'estensione delle zone corticali deputate all'elaborazione dei segnali catturati dai recettori olfattivi e ovviamente il numero di tali recettori (sia in termini assoluti che come diversità). Se il numero assoluto già spiega molto della diversa sensibilità (circa 5 milioni negli umani e fino a 300 milioni nei cani) un elemento chiave è la loro diversità intrinseca che si rifletta nella gamma di "odori" catturabili: sia noi che i cani abbiamo un migliaio di geni "olfattivi" ma nell'essere umano il 56 % di questi non è funzionante contro il 20 % nei cani e nei topi. In altre parole con l'evoluzione noi abbiamo perso il 70% dei geni olfattivi (divenuti pseudogeni). L'insieme di questi fattori spiega perché i cani abbiano una percezione sensoriale dell'ambiente molto più ricca della nostra. Volendo fare una similitudine sarebbe come confrontare il mondo visto e percepito da una persona normale con quella di una persona miope, leggermente sorda e raffreddata ... ; non si tratta soltanto di una maggiore sensibilità olfattiva dato che come tutti sappiamo i cani usano l'olfatto per esplorare l'ambiente in tutte le sue sfumature, dal cibo alla esplorazione di oggetti ignoti al riconoscimento di un "simile" come amico, nemico o partner potenziale). Rispetto al nostro antenato arboricolo noi ce la passiamo, probabilmente, peggio in quanto a sensibilità olfattiva ma nemmeno tanto; studi di genomica comparativa tra primati non umani e noi hanno evidenziato che il numero di geni olfattivi funzionanti è sostanzialmente simile (circa 400 --> tabella)  ad indicare che tale capacità è andata persa durante la prima fase dell'evoluzione dei primati (in quanto non più selezionata come fattore in grado di aumentare la fitness) in favore dell'acutezza visiva.
Quali siano le molecole "emanate" nei soggetti malati che i cani riescono a percepire è al momento poco chiaro, ma qualcosa si sta imparando come insegna il caso dei cani addestrati dall'ente inglese Medical Detection Dogs, capaci di capire  se il diabetico annusato è ipoglicemico.
Le persone che hanno avuto in prova questi cani hanno dichiarato il loro entusiasmo come riassume Claire Pesterfield, infermiera affetta da diabete di tipo I: "non solo [il cane] è un compagno meraviglioso, ma funziona da "naso" in grado di avvertirmi mettendo le sue zampe sulle mie spalle se sono a rischio di una crisi ipoglicemica".
Nota. L'ipoglicemia può causare problemi come tremori, disorientamento e una sensazione di spossatezza. Se il paziente non rimedia con un po' di zucchero si può andare incontro a convulsioni, perdita di coscienza e coma. Il vero problema è che in alcune persone con diabete, questi episodi possono verificarsi improvvisamente, preceduti da sintomi quasi impercettibili.
Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Diabetes Care, fa ora luce su quale sia la molecola prodotta dal corpo prima della crisi che i cani sono in grado di percepire e (se addestrati) "riferire" al loro padrone.

Il lavoro, condotto da un team dell'università di Cambridge, ha preso in esame una decina di volontari tra le donne diabetiche analizzandone il fiato al variare dello stato glicemico; analisi effettuata sull'espirato mediante una tecnica nota come spettrometria di massa. Tra le molte molecole presenti, l'isoprene spiccava per il suo netto aumento di concentrazione al calare della glicemia.
Sebbene l'isoprene sia una delle molecole più comuni nel fiato umano umano, poco si sa della sua origine; si ritiene che sia un sottoprodotto della produzione di colesterolo, ma questo non dice molto sul perché aumenti con l'ipoglicemia.
isoprene (wikimedia commons)
Nota. L'isoprene NON è la molecola responsabile del comune "fiato" diabetico (chetoacidosi diabetica) causata dall'elevata quantità di chetoni nel sangue che compare quando il corpo, non potendo usare il glucosio ematico a causa dell'assenza di insulina, attiva le vie di emergenza basate sulla digestione delle proteine. Uno stato di "affamamento" paradossale in quanto il sangue è iperglicemico.

Gli esseri umani non sono in grado di percepire la presenza di isoprene nel fiato di un individuo, ma i cani si e questo spiega la loro capacità di avvertire il padrone dello stato di rischio.
La scoperta apre prospettive interessanti nella diagnostica; nota la molecola responsabile si può pensare di sviluppare test diagnostici di facile utilizzo per minimizzare il rischio di complicanze potenzialmente letali per i pazienti diabetici.


Come i cani sentono il diabete (credit video: università di Cambrige)


Fonte
-  Exhaled Breath Isoprene Rises During Hypoglycemia in Type 1 Diabetes
Sankalpa Neupane et al,

- Evolution of Olfactory Receptor Genes in Primates Dominated by Birth-and-Death Process
D. Dong et al, Genome Biology and Evolution, volume 1, pp. 258-264 

- Canine Olfaction: An Overview of the Anatomy, Physiology and Genetics
Kathryn A. Bamford

- Loss of Olfactory Receptor Function in Hominin Evolution
Graham M. Hughes et al, PLoS One (2014)



Lo scandalo del trapianto di trachea e i dubbi sull'opportunità di assegnare quest'anno il Nobel per la medicina

Non è ancora chiaro se il nobel per la medicina e la fisiologia verrà quest'anno assegnato. 
I dubbi non sono legati alla difficile scelta di chi premiare per il contributo alla conoscenza biologica (i nominativi sono da tempo al vaglio della giuria) ma allo scandalo che, ahinoi, vede un chirurgo italo-svizzero imputato in una inchiesta su interventi chirurgici troppo frettolosamente testati su esseri umani.
Uno scandalo che ha scosso le fondamenta del Karolinska Institute portando alle dimissioni forzate di due dei cinquanta giudici coinvolti nel processo di attribuzione del Nobel. Da sempre infatti i giudici sono scelti tra i membri del Karolinska Institute; per il ruolo che ricoprono, il loro profilo deve essere immacolato dato che ogni ombra anche indiretta su di essi minerebbe la credibilità di un premio assegnato la prima volta nel 1901.

Mancano pochi giorni oramai al 3 ottobre, data prefissata per l'annuncio e ancora aleggia la decisione di una eventuale moratoria di un anno per fare pulizia e ristabilire la trasparenza. Il problema è, come anticipato, non nella valutazione dei candidati, ma in uno scandalo che getta le sue basi nel 2011 quando venne annunciato al mondo che era stato eseguito a Stoccolma il primo trapianto di trachea grazie ad una tecnica centrata sull'utilizzo di un sostituto di plastica precedentemente trattato con le cellule staminali del paziente in modo da assicurarne l'integrità funzionale e impedire i processi di rigetto. L'ideatore ed esecutore di questa tecnica, il chirurgo italiano Paolo Macchiarini, fu successivamente accusato di avere falsificato (o omesso) i dati post-operatori e di avere agito in assenza di sufficienti prove di fattibilità, basate sui modelli animali, che devono sempre precedere le sperimentazioni in essere umano (sebbene alcune anime belle da tempo ripetano il mantra che sarebbe più etico saltare il passaggio su animale e fare i test direttamente su umano ...). Lo stesso decorso operatorio di questo e altri pazienti (ad oggi 7 deceduti su 9 interventi, non tutti effettuati a Stoccolma e/o dal chirurgo italiano che nel frattempo aveva iniziato ad operare in Russia) non fu riportato in modo trasparente nelle cartelle mediche associate agli studi, dati questi emersi dal lavoro della commissione d'inchiesta attivata quando i dubbi cominciarono a circolare. 
Sebbene il medico si sia sempre difeso affermando che tutti questi interventi furono effettuati attenendosi alle regole degli interventi compassionevoli (imminente rischio di decesso dei soggetti e nessuna terapia alternativa disponibile) e con l'autorizzazione esplicita dei pazienti e del comitato etico dell'ospedale, l'accusa che cominciò a serpeggiare già nel 2012 era che non solo i pazienti non vennero adeguatamente informati dei rischi sottostanti e della natura totalmente preliminare dell'approccio ma che vi siano state pesanti negligenze da parte dei comitati di controllo che hanno autorizzato il primo e i successivi interventi. Negligenze legate alla non adeguata valutazione dei criteri scientifici alla base dell'intervento, dell'assenza di dati sperimentali su modelli animali e alla verifica indipendente del decorso post-operatorio.
In tutto questo a scatenare la tempesta mediatica fu un reportage del canale tv svedese SVT (-->QUI), seguito dal 15% della popolazione, che nel 2015 portò il caso fuori dall'ambito clinico-accademico e all'attenzione dell'opinione pubblica mostrando i "buchi" nei controlli e le coperture fornite dai responsabili del Karolinska University Hospital; copertura attivata anche dopo che una commissione d'inchiesta esterna aveva fatto presente che vi erano sostanziali prove di "misconduct" (accusa più grave di aver agito sottovalutando i rischi potenziali). Un reportage ricco di interviste e frutto di almeno due anni di indagini minuziose che verteva su una domanda cruciale "se noi che siamo giornalisti abbiamo scoperto tutto questo come è possibile che gli apparati di controllo non si siano mai accorti di nulla?"
Come immaginabile il programma provocò un tale clamore nell'opinione pubblica da provocare il licenziamento del medico e le dimissioni oltre che del vice direttore del Karolinska anche di Urban Lendahl, personaggio che aveva tra l'altro un ruolo di spicco nel comitato del Nobel.
Questa è la ragione dei dubbi sollevati da alcuni se non sia il caso di bloccare per quest'anno l'assegnazione dei Nobel per la medicina per sgombrare il campo da ogni ombra (articolo riportato sul sito della radio svedese --> "Call for the Nobel Prize in Medicine to be temporarily suspended").


Per la cronistoria completa del caso (di cui vi ho fatto un semplice e semplicistico riassunto) vi rimando all'eccellente articolo della BBC di pochi giorni fa 
e agli articoli apparsi settimana scorsa su Nature
--> "Macchiarini scandal is a valuable lesson for the Karolinska Institute",
--> "Culture of silence and nonchalance protected disgraced trachea surgeon",
--> "Prestigious Karolinska Institute dismisses controversial trachea surgeon",
--> "Artificial-windpipe pioneer under scrutiny again"




Scoperto un esopianeta (finalmente) vicino? Si, per quanto possa esserlo Proxima Centauri

Introduzione
La ricerca di esopianeti è la nuova frontiera dell'astronomia, tramutatasi da mera possibilità teorica a campo di studio applicato nell'arco di un solo decennio.
Un balzo in avanti reso possibile sia dalla disponibilità di telescopi, terrestri e orbitali (come ad esempio TRAPPIST, Kepler, TESS, Spitzer, ...), che di sistemi di rilevazione indiretta; se infatti visualizzare una stella della nostra galassia è "facile", vedere qualcosa di piccolo e non luminoso come un pianeta è impresa al limite del possibile, se non in casi molto specifici (stella molto vicina a noi e un suo pianeta, grosso e in orbita interna, transitante esattamente sulla linea retta tra noi e la stella).
Per ulteriori dettagli sulle diverse modalità di rilevazione, vedi gli articoli precedenti (-->QUI e il box introduttivo in --> "Un pianeta dove piove vetro fuso").
Ognuno dei metodi disponibili ha punti di forza e limiti intrinseci; più metodi si usano e maggiore è la potenza analitica e la possibilità di "indovinare" la presenza di un pianeta sebbene non direttamente visibile. Tutti questi approcci hanno però un limite insuperabile, legato alla distanza massima da noi, circa una trentina di anni luce. Se consideriamo che il diametro della nostra galassia è superiore a 100 mila anni luce, abbiamo un'idea di quanto il nostro sguardo sia limitato al "nostro circondario". In altre parole sarebbe come cercare sugli spalti di uno stadio una persona con i baffi guardando dal buco della serratura del cancello di ingresso.

Altro problema è che, anche limitando la ricerca agli esopianeti "nelle vicinanze", le distanze sottostanti sono tali da rendere ogni idea di missione in loco non possibile, a meno di non ipotizzare viaggi della durata di diverse centinaia di anni, sola andata (e previa la disponibilità di razzi in grado di raggiungere almeno l'1% della velocità della luce). Al momento un tale problema non si pone in quanto mancano pianeti "interessanti"; all'interno del migliaio di esopianeti confermati (3350 ad oggi, --> NASA) le due tipologie dominanti sono gli "hot Jupiter" (pianeti gassosi come Giove ma molto vicini alla stella) o le "super Terre" (2-3 volte la massa terrestre ma talmente vicine alla stella da essere inferni di rocce fuse). Certo, se identificassimo un pianeta interessante veramente vicino a noi (meno di 5 anni luce), allora progettare il viaggio di una mini-sonda robotizzata ad alta velocità sarebbe una sfida fattibile anche se non nell'immediato futuro.
Di certo la sua vicinanza, anche se fosse un pianeta del tutto inospitale, lo rende ben più accessibile rispetto ad altri magari più interessanti ma intorno a sistemi di fatto inaccessibili con i nostri mezzi (--> "Pianeti intorno ad una stella distante 40 anni luce")

Un esopianeta "vicino"
Noi abitiamo una zona a bassa densità stellare posta su uno dei bracci esterni della Via Lattea. Il che è un vantaggio in termini di stabilità locale ma che ci isola da potenziali vicini. Tra le stelle vicine (--> lista completa) solo Alfa Centauri si trova entro i 5 anni luce mentre nel raggio di 10 anni luce, 10 sono le stelle con esopianeti (--> lista).
Caratteristiche dimensionali e di distanza degli esopianeti.
Già nel 2012 avevo riportato la possibilità che nella "zona" di Alfa Centauri (--> "Un pianeta terrestre intorno a ... ") ci fosse un pianeta interessante; in realtà nonostante il clamore mediatico i dati erano troppo preliminari per capire se il pianeta identificato si trovasse ad una distanza adeguata dalla stella (nella cosiddetta zona abitabile, l'area in cui l'acqua può esistere allo stato liquido) e avesse veramente le caratteristiche base per un pianeta terrestre (Venere e Marte sono pianeti terrestri e rientrano nella zona di abitabilità eppure sono molto diversi tra loro e, soprattutto Venere, poco "ospitali").
Nota. Alfa Centauri è in realtà un sistema, costituito da tre stelle: Alfa Centauri-A; Alfa Centauri-B e Proxima Centauri. Le prime due sono stelle di massa solare e formano un sistema binario, attorno al quale orbita Proxima Centauri, una nana rossa. Il pianeta identificato nel 2012 dal team di Francesco Pepe orbita attorno ad Alfa Centauri-B.
I nostri "vicini"  
α Centauri e β Centauri (le due più luminose) con Proxima indicata nel cerchietto rosso.
Credit: wikimedia by
Skatebiker
 
A distanza di 4 anni un articolo pubblicato sulla rivista Nature ci "riporta" in questo sistema stellare ma sulla stella più interessante, Proxima Centauri; è stato infatti lì identificato un pianeta terrestre (1,3 volte la massa della Terra) con un periodo orbitale di 11,2 giorni.
Le nane rosse sono oggi considerate tra le migliori candidate per ospitare forme di vita grazie alla loro lunga vita e stabilità (ben superiore rispetto alle stelle "solari"). Per maggiori dettagli vedi anche --> "Cercare ET nel posto sbagliato".
Un periodo orbitale così breve è indicativo della estrema vicinanza del pianeta alla stella. Se si trattasse di una stella come il Sole, il pianeta sarebbe stato messo nello scaffale "inferno di rocce fuse" e si sarebbe passati ad altro; tuttavia essendo le nane rosse molto più piccole, stabili e a minor temperatura, la zona di abitabilità è nettamente più prossima alla stella, tra 0,032 e 0,32 UA a seconda della stella (per approfondimenti --> QUI e --> QUI)

Sebbene il pianeta si trovi all'interno di una zona "utile" ciò non implica che il pianeta sia abitato o possa essere colonizzato (vedi quanto scritto su Venere). Molti sono i fattori in grado di influire sul destino di un pianeta, tra cui: struttura ed età del pianeta (da cui deriva se esiste un nucleo - ancora - attivo, senza il quale non può esistere un campo magnetico, lo scudo dalle radiazioni stellari); atmosfera (troppa o troppo poca?); rotazione sincrona (molto probabile per sistemi molto vecchi) che esporrebbe sempre la stessa "faccia" alla stella; stabilità di Proxima Centauri (una stella mediamente attiva ha "brillamenti" saltuari che proiettano dosi massicce di raggi X all'esterno; anche se avvenissero una volta ogni milione di anni il risultato sarebbe la sterilizzazione della superficie del pianeta); etc etc.

Nei prossimi mesi i ricercatori sperano di cominciare a rispondere ad alcune di queste domande grazie alla osservazione del passaggio del pianeta di fronte a Proxima Centauri (possibilità scarse invero); qualora fossero così fortunati da osservarla, l'illuminazione "laterale" della stella sul "bordo del pianeta" fornirebbe informazioni spettrali sulla presenza di una atmosfera e sulla sua composizione.



Video by Nature

(Articolo successivo sul tema --> "Una flotta stellare spinta da un raggio laser"


Fonte
- A terrestrial planet candidate in a temperate orbit around Proxima Centauri.
G. Anglada-Escudé et al, (2016), Nature, Aug 24; 536(7617):437-40

- Earth-sized planet around nearby star is astronomy dream come true
Nature, news


Libro consigliato
--> link 



ADHD. Una molecola capace di ripristinare la funzionalità neuronale nei topi

Più di 3 milioni di americani soffrono di un disturbo diventato "di moda" negli ultimi decenni, il deficit di attenzione e iperattività (ADHD), una condizione che di solito emerge durante l'infanzia e può portare a difficoltà a scuola o al lavoro. Sebbene le cause della sindrome siano poco comprese alcuni ricercatori hanno ipotizzato che una dieta squilibrata (ricca di zuccheri e grassi) durante le gravidanza possa aumentare la frequenza di disturbi comportamentali nella progenie (--> Edward et al doi: 10.1111/jcpp.12589)
L'attività cerebrale differenziale (evidenziata dal consumo di glucosio) in soggetti normali e con deficit di attenzione (Alan J. Zametkin et al, NEJM 1990)
Nota. Ho volutamente stigmatizzato la "moda" dell'etichettare in modo troppo lasso alcuni comportamenti individuali con una diagnosi di "non normalità". Rispetto ai tempi non così lontani di quando ero alle scuole elementari sembra che nelle classi attuali (peraltro molto meno affollate di un tempo) ci siano sempre almeno 1-2 bambini con sintomatologie associabili a sindromi come l'ADHD o l'ASD. Il che è francamente ridicolo in quanto se tali percentuali fossero reali saremmo di fronte ad una rapida perdita di fitness del genere umano. Soprattutto considerando che le condizioni di vita (ivi compreso l'inquinamento) sono nettamente migliori oggi rispetto a quelle delle città fino a tutti gli anni '80, periodo di massiccia industrializzazione e totale assenza di misure ecologiche. Molto più probabile che dietro l'eccessiva tendenza diagnostica ci siano interessi farmaceutici che vedono nella vendita di Ritalin e simili delle galline dalle uova d'oro; tendenza rinforzata da manuali come il DSM (specie la quinta versione) e da una genitorialità ossessiva che scarica i sensi di colpa per la scarsa presenza (e una minore pazienza generale) con ansie di controllo. Il problema che deriva da tale attitudine iperdiagnostica è, oltre alla deresponsabilizzazione dei figli, che rischia di "diluire" i casi veri, rendendo difficile l'appropriata allocazione delle risorse disponibili (scarse per definizione economica).

Tornando alla scienza vera, riporto oggi un articolo frutto della collaborazione tra gruppi di ricerca del MIT e della NYU, in cui emergono nuovi dati sulla neurochimica della ADHD. A giocare un ruolo centrale nella sindrome sarebbero alterazioni dell'area nucleo talamico reticolare (NTR), il cui ruolo è quello di filtrare gli stimoli esterni (grazie a neuroni inibitori) quando si è concentrati su un dato compito, evitando così che raggiungano le aree corticali, sede delle funzioni cognitive superiori.
Se l'azione di filtraggio viene meno, si ha un sovraccarico informativo che rende più difficile eseguire compiti banali e concentrarsi in un dato compito; una difficoltà di concentrarsi tipica delle persone con ADHD (simile allo stato di iperattività evidente nei bambini che mangiano molti dolci).
Lo studio americano si è avvalso di topi modificati geneticamente nel gene Ptchd1 per riprodurre una mutazione identificata in circa l'1 per cento dei pazienti autistici. La localizzazione del gene sul cromosoma X spiega anche il motivo per cui la ASD sia nettamente più frequenti nei maschi (--> QUI). La mutazione di Ptchd1 altera il funzionamento dei canali del potassio, rendendo più difficile la iperpolarizzazione neuronale e quindi l'azione filtrante dei neuroni del NTR. La funzionalità neuronale può essere ripristinata (e con essa una riduzione dei sintomi) nei topi mutati grazie ad una molecola in grado di aumentare l'attività del canale del potassio, il canale alla base della iperpolarizzazione di membrana.
I modelli animali, pur nella difficoltà di riprodurre sindromi complesse, sono necessari per distinguere tra mutazioni "casuali" e mutazioni "causali".
Gli esperimenti condotti hanno dimostrato che la mutazione testata era in grado di causare aggressività, iperattività, deficit di attenzione e difficoltà motorie. Quando il gene veniva "spento" solo nel NTR l'effetto si focalizzava su sintomi di iperattività e deficit di attenzione.
In primo piano il talamo e sulla sinistra il nucleo reticolare (credit: dana.org)


Stabilire il nesso causale è un passaggio essenziale per progettare farmaci in grado di agire specificamente su alcune zone del cervello.
Altro elemento di interesse il fatto che la disfunzione del NTR è presente (insieme ad altre alterazioni poco note) non solo nella ADHD ma anche in un certo numero di pazienti affetti da ASD e schizofrenia.

Molto c'è ancora sulle basi neurochimiche di queste sindromi dato che il gene Ptchd1 è alterato solo in un ristretto sottogruppo di pazienti. La prima domanda a cui rispondere sarà capire se e quanto la rete neuronale "alterata" sia la stessa anche negli altri pazienti.

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Fonte
- Thalamic reticular impairment underlies attention deficit in Ptchd1(Y/-) mice.
Wells MF et al, Nature (2016); 532(7597):58-63


Terremoti e altre catastrofi. Se vivi in Italia preferisci affidarti ai santi.

Una frase quanto mai profetica scritta in un editoriale del National Geographic quasi 10 anni fa da uno sconsolato responsabile della sicurezza

La Terra è (fortunatamente) un pianeta dinamico e come tale permane in un perenne stato di precario equilibrio fintanto che le forze accumulatesi nel sottosuolo, raggiunti livelli critici, si scaricano tornando così ad un nuovo stato di equilibrio. Ho scritto "fortunatamente" perché in assenza di tale dinamismo tettonico la Terra sarebbe verosimilmente un ambiente non compatibile con la vita in quanto non solo priva di un campo magnetico (scudo essenziale dai raggi solari) ma incapace di fare circolare il "materiale" (ivi compreso il gas che ha permesso la nascita dell'atmosfera e tutti gli elementi chimici che ci costituiscono) dagli strati interni alla superficie e viceversa.
Questo non minimizza in nulla le tragedie umane che scaturiscono da questi movimenti naturali ma i terremoti in un certo senso sono più "benigni" di altri eventi come eruzioni e tsunami in quanto i primi (da soli) non provocano morti e feriti. La stragrande maggioranza delle tragedie associate ad un terremoto "sulla terraferma" (per distinguerlo da quelli che causano gli tsunami) sono quasi sempre riconducibili al crollo di manufatti umani (edifici, ponti, ...).
Non è il terremoto ad ucciderti ma la casa in cui ti trovi che crolla. Se contiamo il numero di feriti causati dagli effetti di un terremoto in campo aperto (frana, albero caduto, fenditura apertasi sotto i nostri piedi, ...) è evidente quanto tali eventi siano meno che rari; di conseguenza si può e si deve agire nella prevenzione agendo direttamente su cosa e come costruiamo (vedi Giappone).
Se il terremoto è una calamità i cui effetti sono sugli edifici sono "controllabili", ben maggiore è il rischio associato ad eventi come uragani, maremoti o eruzioni vulcaniche specie se si ha la sfortuna di abitare nella zona a rischio; la storia di Pompei è nota a tutti ma vi consiglio di approfondire anche quanto avvenuto nel 1980 in USA con il vulcano Sant'Elena (--> link) o nel 1883 nell'isola Krakatoa  (--> link).

Mi riallaccio a Pompei e al tema attuale "responsabilità umane e gestione rischio vulcanico", per riproporre qui un articolo apparso su National Geographic nel 2007, scritto dal generale Fabio Mini, all'epoca responsabile dell'Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, quindi la persona a cui viene demandato il compito (o meglio su cui si scaricano le responsabilità) di allestire i piani di emergenza.
Prevenzione obbligatoria a qualunque età in Giappone
L'articolo lanciava l'allarme sulla tendenza italica al fatalismo, ad una certa insofferenza della popolazione verso ogni forma di prevenzione e al preferire la comodità della Divina Provvidenza (attraverso l'intercessione di San Gennaro).
A distanza di 10 anni dal grido di allarme sappiamo bene che nulla è stato fatto e possiamo solo immaginare le testate contro il muro che i responsabili hanno sperimentato ogni qual volta cercavano di implementare un piano di sicurezza adeguato (come lo sgombero di alcune aree per creare vie di fuga in un'area ad alta densità abitativa).

Mai avuto dubbi che noi italiani non siamo giapponesi o californiani in quanto ad attitudine alla prevenzione e senso civico, ma forse da oggi bisognerà veramente accendere una candela a San Gennaro per scongiurare quello che di fatto è inevitabile (tra uno, dieci o cento anni).

Il rischio Vesuvio e San Gennaro (Nat. Geo. novembre 2007)
"Se oggi si ha la sensazione che in caso di eruzione del Vesuvio non ci sia molta speranza di scampo è perché, oltre alla fragilità del sistema locale ancora confuso e sconnesso, non si percepisce l'inserimento della dimensione locale dell'emergenza in un quadro d'interventi quanto meno interregionale. Sono necessarie vie di fuga che sbocchino in aree libere e non in aree già congestionate, e tutta l'area napoletana con i suoi tre milioni di persone è di per sé altamente congestionata. Gli interventi di alleggerimento e razionalizzazione del traffico devono arrivare fino ai nodi di Roma, Bari e Reggio Calabria. Oggi si va sul Vesuvio pensando soltanto ad arrivarci in qualsiasi modo. E più il modo è pittoresco e caotico più sollecita la fantasia e il divertimento. Ci sono perciò mille vie e modi per arrivare sul Vesuvio e visitare i paesi dell'intera zona, ma nemmeno uno di essi è adeguato a lasciarli in caso di emergenza. E non c'è dubbio che in caso d'eruzione, l'unico modo per essere salvi è semplicemente quello di non essere lì quando succede. La capacità tecnica di rilevare e interpretare i segni premonitori di un'eruzione ha aumentato il tempo di preavviso: il problema irrisolto riguarda cosa fare durante questo tempo. Molti sperano che non ci sia affatto tempo e quindi non siano costretti a decidere; altri pensano d'impiegare tale tempo discutendo o confutando i termini dei preavvisi. Se viene dato l'allarme e vengono avviate le procedure di evacuazione e poi non succede nulla si è tacciati di allarmismo e si può perfino essere perseguiti penalmente [NdB. una frase premonitrice di quanto avvenuto a l'Aquila nel 2009]: nella migliore delle ipotesi si viene ridicolizzati e presi per fessi. Se non si fa nulla e succede qualcosa si diventa responsabili della morte di migliaia di persone e si è criminali, ma non fessi. A Napoli, dove ho vissuto per qualche anno, ho sentito spesso dire che un cero a san Gennaro fa risparmiare soldi ed evita i disagi e il ridicolo di eventuali falsi allarmi. Si dice anche che le autorità sanno cosa è meglio fare e che la scienza offre nuove possibilità. Autorità e Scienza sarebbero altri San Gennaro ai quali offrire ceri senza passare per fessi e senza darsi la pena di organizzare, addestrare, pianificare e razionalizzare il territorio. Purtroppo, in Italia, e solo in Italia, essere criminali è più onorevole che essere presi per fessi".
Generale FABIO MINI

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